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CHIESE CHIUSE A ROMA

Il bene comune non è questo: ha bisogno di Dio

La situazione grave, ma proprio per questo le chiese devono essere aperte: perché non cessi la speranza e perché si veda che la Chiesa c’è e con un ruolo di guida. Invece con la decisione di chiudere le chiese dell'Urbe è stato trascurato che il bene comune ha bisogno di Dio. 

Ecclesia 13_03_2020

Il Vicariato di Roma ha deciso di chiudere tutte le chiese dell’Urbe. Non si entra più in nessuna di esse, nemmeno da soli, nemmeno per dire una fugace preghiera, nemmeno a 50 metri di distanza dal pellegrino più vicino. La decisione è sensazionale e sarà ricordata nella storia per la sua unicità. Non era mai successa infatti una cosa simile, nemmeno in situazioni molto gravi. Non che questa del Coronavirus non sia una situazione grave. Lo è. E tutti, a poco a poco, si rendono pesantemente conto del nostro futuro incerto, sia sul piano strettamente sanitario, sia su altri fronti, come per esempio quello economico. I superficiali diminuiscono e aumentano i preoccupati. E’ una situazione grave, ma proprio per questo le chiese devono essere aperte, per due motivi: perché non cessi la speranza, che non è solo una virtù umana, e perché si veda che la Chiesa c’è e con un ruolo di guida che le spetta.

La decisione – stando al comunicato del Vicariato di Roma – è stata presa nonostante lo Stato non lo chiedesse. Il riferimento è agli ultimi decreti del Presidente del Consiglio e ai chiarimenti forniti dal capo della protezione civile Borrelli. In chiesa ci si poteva ancora andare, anche dopo la chiusura dei negozi e dei bar. Ed è stata presa – si legge - per il bene comune. Ma in questo modo la Chiesa pensa di collaborare per il bene comune non facendo la Chiesa, cessando fare ciò per cui la Chiesa esiste. Può essere che la decisione sia stata presa per dare una prova di vicinanza alle persone in difficoltà. Ecco, vedete, lo Stato non ci chiede di chiudere le Chiese, ma noi le chiudiamo lo stesso, in via più preventiva della stessa prevenzione, per dimostrare che siamo con voi non perché il governo ce lo dice, ma per il bene comune. Può darsi che questo intento pastorale di vicinanza al bisogno sia stato il motivo di questa scelta. Ma se le chiese vengono chiuse, le persone nel bisogno dove trovano la Chiesa? Dov’è che si può incontrare la speranza cristiana, la fiducia in un aiuto, la spinta ad andare avanti, un bagliore di luce nel buio?

Fin dall’inizio di questa storia la Chiesa italiana ha fatto la scelta di essere più realista del re. Se ora il Vicariato chiude le chiese anche se il governo non lo chiede, all’inizio di questa vicenda erano state sospese le messe quando i bar, i centri commerciali, le palestre, le discoteche, i corsi di danza e le piscine erano ancora aperti. Anche allora la Chiesa ha voluto anticipare le cose, senza procedere come Chiesa, con realismo e buon senso. Ora i vescovi polacchi danno una indicazione interessante: moltiplicare le messe per diradare i fedeli partecipanti. Si dirà che in Polonia le cose vanno ancora abbastanza bene quanto a diffusione del contagio. Può essere vero, ma all’inizio di questa faccenda anche da noi le cose non erano giunte a situazioni estreme. Le soluzioni da prendere potevano essere molte altre (leggi qui la soluzione dei vescovi polacchi), dal celebrare solo nelle chiese ampie, come sono di solito le nostre cattedrali, e non nelle piccole, fino a contingentare le presenze a messa. In molte nostre chiese si potevano garantire non un metro di distanza reciproca ma dieci metri data la loro ampiezza e la scarsità dei fedeli. Invece è stata scelta la strada della chiusura, senza contrattare con lo Stato una soluzione, senza far valere le proprie ragioni che poi sono le ragioni della fede cristiana.

È stato così trascurato che il bene comune ha bisogno di Dio e che la Chiesa rimanga Chiesa. Anche il Concilio dice che la “la missione della Chiesa si presenta religiosa e perciò stesso profondamente umana”. Con la sospensione delle messe prima e adesso con la loro chiusura la Chiesa si è ritirata in disparte, si è resa assente e, paradossalmente, proprio nell’intento di rendersi presente. Ha pensato di aiutare la gente, privandola di quanto di più importante essa possa dare alla gente tenendo aperte quelle porte. Ci sono altre iniziative in atto, ma la chiusura delle porte delle chiese ha un valore simbolico negativo troppo forte.

Questa triste vicenda del Coronavirus sarà probabilmente ricordata in futuro per alcuni elementi che la caratterizzano: dalla crisi della globalizzazione con il ripristino dei vituperati muri all’assenza dell’Unione Europea e della sua Banca Centrale; dal nuovo egoismo degli Stati incapaci di collaborare alla situazione della sanità italiana composta di eroici protagonisti ma sotto-finanziata negli ultimi anni. Con ogni probabilità sarà anche ricordata per l’assenza della Chiesa cattolica che, fatte le doverose distinzioni e lodato alcune testimonianze molto alte, non ha saputo porsi alla guida e a sostegno di un popolo sofferente. È toccato a Mattarella parlare alla nazione, i virologi hanno fatto la parte dei nuovi leader morali, perfino la gente di spettacolo ha espresso adesione ad una causa grande, ma non si è visto da parte ecclesiastica nessuna volontà di porsi alla testa della nazione come guida morale e spirituale, con coraggio e senza chiudere le chiese.