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ORA DI DOTTRINA / 91 – IL SUPPLEMENTO

Il monotelismo e la grave leggerezza di papa Onorio

Dopo Giustiniano, anche l’imperatore Eraclio tentò di imporre un’unificazione religiosa a scapito della verità. Ne nacque una lunga crisi, con un papa (Onorio) che cadde nella trappola e altri che invece resistettero fino al martirio.

Catechismo 19_11_2023
papa Onorio I

La scorsa volta abbiamo visto il tentativo da parte di Giustiniano (482-565) di riunificare religiosamente l’impero con la condanna dei Tre Capitoli. Ne venne fuori una divisione ancora più profonda ed estesa. D’altra parte, anche l’arianesimo prima e il semi-arianesimo poi vennero imposti per decreti imperiali. E sappiamo quali furono le nefaste conseguenze.

A circa cinquant’anni dallo scisma dei Tre Capitoli, un nuovo imperatore decise di battere la stessa strada e imporre un’unificazione religiosa a scapito della verità. L’imperatore Eraclio (575-641), in un delicatissimo momento storico nel quale l’Impero romano d’Oriente rischiava di sgretolarsi sotto l’assalto dei Sasanidi e degli Arabi, ai quali vanno aggiunte le invasioni longobarde nell’Italia bizantina, avvertiva più che mai il bisogno di compattare religiosamente l’Impero. L’obiettivo lodevole era quello di ricondurre i monofisiti all’unità della Chiesa, cercando di diffondere il più possibile il monoenergismo.

Di cosa si trattava? In sostanza, era un nuovo tentativo di far digerire le decisioni del Concilio di Calcedonia ai monofisiti, bilanciandole con l’affermazione che, sebbene in Cristo vi fossero due nature, uno era però il principio di operazione. Dunque μονος (monos) - ἐνέργεια (enérghĕia): una sola energia o operazione. Sebbene il monoenergismo potesse essere inteso in senso ortodosso, il suo linguaggio non era tuttavia chiaro. In particolare, era così insistente l’affermazione dell’unica Persona divina come principio delle operazioni, che si perse per strada il fatto che ognuna delle due nature, considerate nella loro integrità ‒ da cui l’espressione “vero Dio e vero uomo” ‒, aveva operazioni proprie.

Come dicevamo, era appunto l’imperatore a sponsorizzare questa dottrina, sostenuto da Ciro, vescovo di Phasis (+641 ca), che Eraclio decise di porre a capo della prestigiosa sede di Alessandria, e dal patriarca di Costantinopoli, Sergio I (565 ca - 641). A drizzare le antenne sulla possibile pericolosità di questa nuova posizione fu san Sofronio di Gerusalemme (560 ca - 638), che subito scrisse a Sergio; il patriarca di Costantinopoli propose questa soluzione: che nessuna delle due parti parlasse più né di una né di due operazioni nel Signore Gesù Cristo. Sergio non voleva far altro che appoggiare la politica di unificazione di Eraclio: bisognava dunque tacere di quanto poteva in quel momento dividere. Perciò, nel 634, emise il decreto Psephos, che provvide ad inviare a papa Onorio I (585-638), probabilmente per anticipare un’analoga mossa di Sofronio. Nel decreto, come promesso, non si parlava di una volontà in Cristo, ma lo si lasciava intendere.

A cadere nella trappola fu proprio Onorio. Nella sua risposta al patriarca Sergio, non solo accettava di non entrare nella questione, che secondo lui andava lasciata semplicemente alla competenza dei “grammatici”, ma di fatto adoperò l’infelice formula ἓν θέλημα (hen thélema), ossia “una volontà”, terminologia ricorrente nella piuma di Ciro di Alessandria: «noi confessiamo una volontà del Signore Gesù Cristo, dal momento che chiaramente la nostra natura fu assunta dalla divinità, nella quale non c’è peccato». Nel contesto, la lettera del Papa non era eretica; Onorio intendeva semplicemente dire che in Gesù Cristo non esistono quelle due volontà in lotta tra loro, di cui parla san Paolo in Rm 7, 14-25. Ma di fatto quell’espressione sdoganò propriamente il monotelismo (da μονος, monos e θέλημα, thélema).

Nel 638, Eraclio firmò un documento, l’Echtesis, scritto dal patriarca Sergio, che riprendeva sostanzialmente lo Psephos, ma questa volta si sentiva “autorizzato” dalla risposta del Papa: impediva di quantificare le volontà in Cristo, ma nel contempo affermava in lui una volontà, senza confusione di nature. In Oriente praticamente tutti i patriarcati accettarono l’Echtesis; quando esso però giunse a Roma, nel 640, venne condannato da tre papi: Severino (+640), Giovanni IV (+642) e Teodoro I (+649).

Quella di Onorio fu una grave leggerezza. La questione delle due volontà di Gesù Cristo era di estrema importanza, come dimostrerà poi con estrema chiarezza san Massimo il Confessore (580 ca - 662), e non poteva essere liquidata con una decisione politica: se Cristo è vero mediatore, allora dev’essere veramente Dio e veramente uomo; ma l’integrità della natura umana esige una volontà distinta da quella divina. Che umanità sarebbe quella privata della volontà? Tacere dunque su questo punto, significava tacere della realtà della mediazione del Signore. C’è poi un altro aspetto, strettamente connesso: già durante la crisi ariana, era emerso con chiarezza il principio secondo cui tutto quello che Gesù Cristo ha assunto è stato redento. Ora, se la volontà umana non fosse stata assunta, non sarebbe stata salvata. E dunque proprio la facoltà più importante dell’uomo sarebbe fuori dalla salvezza operata dal Signore. Errore nell’errore, Onorio, nella risposta al patriarca, aveva utilizzato proprio quell’espressione incriminata.

Le condanne dei Papi indussero il nuovo imperatore Costante II (630-668) ad evitare lo scontro diretto con Roma; decise così di emanare nel 647 un altro editto, il Typos, nel quale proibiva la discussione tra monotelisti e ditelisti. Ma papa san Martino I non accettò questa ulteriore intromissione dell’imperatore e decise di convocare un Concilio in Laterano (649), che condannò il monotelismo, l’Echtesis e il Typos. La rappresaglia imperiale divenne allora feroce: dapprima tentò di uccidere il Papa, servendosi dell’esarca Olimpo. Fallito il tentativo, deportò Martino a Costantinopoli, dove lo incarcerò e ordinò di trascinarlo mezzo nudo tra le strade della città. Venne quindi spedito in Crimea, dove morì di stenti. Martire della fede.

Anche san Massimo, la mente più brillante, che supportò il lavori del Concilio del 649, dovette pagare caramente la sua difesa dell’ortodossia. Venne portato a forza a Costantinopoli, dove subì vari processi e diversi esili. Nel 662, rifiutandosi fermamente di accettare il Typos, venne dapprima flagellato, poi gli furono amputate la mano destra e la lingua. Quindi venne spedito in Crimea, insieme al monaco Anastasio e all’apocrisario omonimo. Nel giro di tre mesi, morirono tutti e tre per stenti.

Papa Onorio verrà in seguito condannato da tre concili ecumenici e da almeno due papi. Per la prima volta nella storia della Chiesa un papa, dopo la sua morte, veniva dichiarato eretico.



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