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IL PAPA IN KENYA

Il Papa: la famiglia antidoto a corruzione e radicalismo 

Papa Francesco ha concluso la sua visita in Kenya e iniziato quella in Uganda. Dalla bidonville di Kangemi a Nairobi e poi nell’incontro con i giovani il Papa ha nuovamente invitato a difendere la famiglia, luogo primo dell'educazione e antidoto ai mali africani del tribalismo, della corruzione e della radicalizzazione verso l'estremismo e il terrorismo.

Ecclesia 27_11_2015
La festa per il Papa nella bidonville di Nairobi

«Qui mi sento a casa». Così papa Francesco ha salutato le migliaia di persone arrivate dai vicoli fangosi, sotto la pioggia, già prima dell'alba, a Kangemi, una delle bidonville di Nairobi. In slum come questi, secondo la Caritas locale, vive il 60 per cento della popolazione del Kenya. E all'interno della chiesa di San Giuseppe Lavoratore, parrocchia cattolica retta da una comunità dai gesuiti, Bergoglio ha spiegato: «Sono qui perché voglio che sappiate che le vostre gioie e speranze, le vostre angosce e i vostri dolori non mi sono indifferenti. Conosco le difficoltà che incontrate giorno per giorno. Grazie per avermi accolto nel vostro quartiere. In realtà, mi sento a casa condividendo questo momento con fratelli e sorelle che, non mi vergogno a dire, hanno un posto speciale nella mia vita e nelle mie scelte».  

«Qui mi sento a casa». Così papa Francesco ha salutato le migliaia di persone arrivate dai vicoli fangosi, sotto la pioggia, già prima dell'alba, a Kangemi, una delle bidonville di Nairobi. In slum come questi, secondo la Caritas locale, vive il 60 per cento della popolazione del Kenya. E all'interno della chiesa di San Giuseppe Lavoratore, parrocchia cattolica retta da una comunità dai gesuiti, Bergoglio ha spiegato: «Sono qui perché voglio che sappiate che le vostre gioie e speranze, le vostre angosce e i vostri dolori non mi sono indifferenti. Conosco le difficoltà che incontrate giorno per giorno. Grazie per avermi accolto nel vostro quartiere. In realtà, mi sento a casa condividendo questo momento con fratelli e sorelle che, non mi vergogno a dire, hanno un posto speciale nella mia vita e nelle mie scelte». 

Il Papa ha voluto soffermarsi «su un aspetto che i discorsi di esclusione non riescono a riconoscere o sembrano ignorare. Voglio fare riferimento alla saggezza dei quartieri popolari. Una saggezza che scaturisce da un’ostinata resistenza di ciò che è autentico» e di valori comunitari tradizionali che sono anche valori evangelici. «La cultura dei quartieri popolari impregnati di questa particolare saggezza, ha caratteristiche molto positive, che sono un contributo al tempo in cui viviamo, si esprime in valori come la solidarietà, dare la propria vita per l’altro, preferire la nascita alla morte; dare una sepoltura cristiana ai propri morti. Offrire un posto per i malati nella propria casa, condividere il pane con gli affamati». Il Papa si è congratulato per «questi valori che voi praticate, valori che non si quotano in Borsa, valori con i quali non si specula né hanno prezzo di mercato». 

Ma la presenza di questi valori non toglie «la terribile ingiustizia della emarginazione urbana. Sono le ferite provocate dalle minoranze che concentrano il potere, la ricchezza e sperperano egoisticamente mentre la crescente maggioranza deve rifugiarsi in periferie abbandonate, inquinate, scartate». Francesco ha denunciato l'azione di profittatori e usurai, la difficoltà di accesso all'acqua e ad altri servizi essenziali, la presenza di organizzazioni criminali che, «al servizio di interessi economici o politici, utilizzano i bambini e i giovani come “carne da cannone” per i loro affari insanguinati». Non si tratta di «una combinazione casuale di problemi isolati». Sono «piuttosto una conseguenza di nuove forme di colonialismo», denunciate da san Giovanni Paolo II nella sua esortazione apostolica Ecclesia in Africa come pretesa che i Paesi africani siano «pezzi di un meccanismo, parti di un ingranaggio gigantesco». E oggi, ha detto Francesco, «non mancano di fatto, pressioni affinché si adottino politiche di scarto come quella della riduzione della natalità».

La soluzione proposta dal Papa è «una rispettosa integrazione urbana. Né sradicamento, né paternalismo, né indifferenza, né semplice contenimento. Abbiamo bisogno di città integrate e per tutti. Abbiamo bisogno di andare oltre la mera declamazione di diritti che, in pratica, non sono rispettati, e attuare azioni sistematiche che migliorino l’habitat popolare e progettare nuove urbanizzazioni di qualità per ospitare le generazioni future».

Il secondo impegno del Pontefice è stato il dialogo con i giovani del Kenya. Accantonando il discorso preparato in spagnolo, dove li incitava a essere attivi e missionari, Francesco ha preferito ancora una volta rispondere a braccio alle loro domande. La prima domanda ha riguardato il problema molto sentito in Africa del tribalismo. Come vincere l'odio tra tribù e tribù? «Il tribalismo», ha detto il Papa. «si vince soltanto con l’ascolto, con il cuore e con la mano. Con le orecchie: qual è la tua cultura? Perché sei così? Perché la tua tribù ha questa abitudine, questo uso? La tua tribù si sente superiore o inferiore? Con il cuore: una volta che ho ascoltato con le orecchie la risposta, apro il mio cuore e tendo la mano per continuare il dialogo. Se voi non dialogate e non vi ascoltate fra di voi, allora ci sarà sempre il tribalismo, che è come un tarlo che corrode la società». 

Francesco ha poi affrontato il problema della corruzione, che era già stato al centro dei discorsi in Africa di Benedetto XVI. Il Papa ha detto che «non soltanto nella politica, ma in tutte le istituzioni, incluso in Vaticano ci sono casi di corruzione. La corruzione è qualcosa che ci entra dentro. È come lo zucchero: è dolce, ci piace, è facile e poi? Finiamo male! Facciamo una brutta fine! Invece di tanto zucchero facile, finiamo diabetici e anche il nostro Paese finisce di ammalarsi di diabete».

Non poteva mancare in Kenya, teatro in aprile della strage degli studenti cristiani nell'Università di Garissa, una domanda sul radicalismo che trasforma tanti giovani in assassini. «La prima cosa che dobbiamo fare per evitare che un giovane sia reclutato o che cerchi di farsi reclutare - ha detto Francesco - è istruzione e lavoro. Se un giovane non ha lavoro, che futuro lo attende? Da lì entra l’idea di lasciarsi reclutare. Se un giovane non ha possibilità di ricevere un’educazione, anche un’educazione di emergenza, di piccoli incarichi, che cosa può fare? Lì c’è il pericolo!». E la prima educazione la si riceve in famiglia. Non è credibile chi dice di voler combattere il radicalismo e insieme attacca la famiglia. «Difendete la famiglia! », ha implorato il Papa. «Difendetela sempre». «La carne si cura con la carne! E Dio si è fatto carne per curarci. Facciamo anche noi lo stesso con gli altri».

Dio stesso, ha concluso Francesco, ha un unico «difetto»: «Non può smettere di essere Padre». Alla fine qualcuno chiede: come si può vedere la mano di Dio nelle tragedie? «C'è una sola risposta: guardare al figlio di Dio. Dio lo ha consegnato per salvarci. Lui stesso si è fatto tragedia. Quando il mondo ti cade addosso, guarda la Croce. Lì c'è il fallimento di Dio, la sua distruzione, ma anche una sfida alla nostra fede, la speranza perché poi c'è stata la resurrezione che ha rinnovato tutti». 

Nel suo primo discorso in Uganda, il Papa ha definito i martiri «autentici eroi nazionali» e modello per la politica. Il loro esempio dovrebbe parlare soprattutto a quanti hanno «il compito di assicurare con criteri di trasparenza il buon governo, uno sviluppo umano integrale, un’ampia partecipazione alla vita pubblica della Nazione, così come una saggia ed equa distribuzione delle risorse, che il Creatore ha elargito in modo così ricco a queste terre».

Oltre a celebrare i martiri, ha detto Francesco, il suo viaggio vuole sottolineare che l'Africa è importante per il mondo. «Il mondo guarda all’Africa come al continente della speranza» per le sue risorse naturali e i suoi valori tradizionali e familiari. Il Pontefice ha citato due ricchezze dell'Africa, i giovani e gli anziani. Questi ultimi «sono la memoria vivente di ogni popolo. La loro saggezza ed esperienza dovrebbero sempre essere valorizzate come una bussola che può consentire alla società di trovare la giusta direzione nell’affrontare le sfide del tempo presente con integrità, saggezza e lungimiranza». 

Francesco ha anche ringraziato per l'impegno dell'Uganda nell'accogliere rifugiati da Paesi vicini. «In molti modi, ha affermato, il nostro mondo diventa più solidale; tuttavia, nel medesimo tempo, assistiamo con preoccupazione alla globalizzazione della “cultura dello scarto”, che ci rende ciechi di fronte ai valori spirituali, indurisce i nostri cuori davanti alle necessità dei poveri e priva i nostri giovani della speranza». La lunga giornata del Papa si è conclusa, in un clima di grande entusiasmo, con l'incontro con i catechisti ugandesi a Munyonyo. A loro Francesco ha proposto una riflessione sulla figura del maestro. «San Paolo ci dice che il Signore ha voluto per la sua Chiesa non solo apostoli e pastori ma anche maestri». Il vero maestro rifugge dalle ideologie e tiene gli occhi fissi sul Maestro per eccellenza, Gesù Cristo.