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BREXIT

Il Regno Unito vuole ancora uscire dall'Ue

David Cameron ottiene una vittoria a tutto campo a Bruxelles, escludendo il Regno Unito dal programma di una "Unione sempre più stretta" e contribuendo, così, a cambiare il volto dell'Ue. Ma i suoi stessi compagni di partito non gli sono grati. Anche il popolare sindaco di Londra si schiera con chi vuole l'uscita dall'Ue.

Esteri 23_02_2016
David Cameron al Consiglio d'Europa

Mentre l’attenzione dell’opinione pubblica italiana era maggiormente concentrata sul tema dell’immigrazione, il Consiglio d’Europa, a Bruxelles, si occupava soprattutto dell’altro tema in agenda: un compromesso sullo status della Gran Bretagna nell’Unione Europea, per prevenire una sua possibile uscita, la paventata “Brexit”. Gli esiti di quel vertice sono noti da sabato, ma le sue conseguenze, a Londra, iniziano a vedersi solo adesso.

Il premier conservatore David Cameron, dopo aver vinto il referendum contro la secessione della Scozia, si trova ora a dover affrontare la maggior opposizione in casa. E’ soprattutto il suo partito dei Tories, che preme (sin dai tempi di Margaret Thatcher) per un’uscita concordata dall’Unione Europea. E, alla sua destra, il partito Ukip, formato soprattutto da ex conservatori, è nato e si è affermato con questo unico scopo. La crisi economica dell’eurozona, i piani di salvataggio di Stati e banche in rosso, infine l’ondata migratoria, hanno creato le condizioni per una reazione anti-europeista forte come non mai. I sondaggi di febbraio danno il “Sì” e il “No” all’Ue praticamente alla pari. La strategia di Cameron ricalca quella già adottata (e vinta) per far fronte alla voglia di secessione della Scozia: lasciar votare un nuovo referendum, ma nel frattempo disinnescare la voglia di separazione, ottenendo (e concedendo) più ampi margini di autonomia. David Cameron, all’Ue, ha chiesto un cambiamento netto in almeno quattro campi di importanza strategica.

La riforma su cui si è maggiormente discusso riguarda la governance economica. Londra si impegna a rispettare la libera scelta dei Paesi dell’eurozona, ma si riserva il diritto di dire “no” alle richieste di aiuto dei Paesi in crisi. Di fatto, il Regno Unito rimarrebbe fuori dai fondi e dai meccanismi di aiuto destinati alle banche e ai conti pubblici in rosso. Le leggi europee su Unione bancaria e poteri di Bce, Single Resolution Board e altre, si applicherebbero solo ai Paesi che si sono assunti l’onere e l’onore di adottare l’euro. Non su chi ha preferito tenere la sterlina e conservare la propria banca nazionale. Dopo la giornata negoziale di fuoco di venerdì, su questo punto Cameron l’ha spuntata: il Regno Unito non sarà obbligato a salvare sistemi in crisi nell’eurozona.

Per quanto riguarda l’immigrazione, Cameron non ha affatto chiesto di chiudere i confini, come troppo spesso si sente commentare. Semmai, ha voluto riformare l’erogazione di sussidi e benefit statali ai nuovi immigrati che non hanno ancora un lavoro stabile. Alla fine della giornata di trattativa al Consiglio, nonostante l’opposizione dei Paesi dell’Est (fra cui la Polonia, che esprime il presidente del Consiglio), il premier è riuscito a ottenere quello che chiedeva. Di qui ai prossimi sette anni, per chi arriva in Gran Bretagna, occorreranno quattro anni di contributi prima di accedere pienamente al welfare. Sotto l’aspetto giuridico, era stata sollevata l’obiezione di non compatibilità di questa riforma con il principio di libera circolazione dei lavoratori. Ma Cameron ha fatto valere il suo punto di vista: la libera circolazione non viene messa in discussione, semmai a cambiare è la gestione del welfare. Che è un affare interno e riguarda i soli contribuenti britannici.

Infine, ma non da ultimo, Londra si è opposta al concetto programmatico di “Unione sempre più stretta”, interrompendo così un corso predeterminato della storia che vuole arrivare fino all’unificazione di tutti i popoli d’Europa sotto un unico Stato. Anche in questo caso, Cameron ha ottenuto quel che chiedeva: farsi esentare dalla clausola dei Trattati che prevede la partecipazione all’“Unione sempre più stretta”. E’ questo lo “statuto speciale” che il Regno Unito si è ritagliato e che il premier commenta con una battuta in conferenza stampa: “La Gran Bretagna non farà mai parte del super-Stato europeo”.

Cameron è tornato a casa con una bella vittoria in tasca, dunque, asserendo che, ormai, uno strappo formale dall’Ue non sia più necessario. Le isole britanniche hanno praticamente tutta l’autonomia di cui avevano bisogno. Dal loro punto di vista, il continente appare ora semplicemente come un grande spazio politico a cui associarsi e un gigantesco mercato di sbocco. Più un’opportunità che un peso (o un pericolo). Il referendum è stato indetto subito dopo l’accordo di Bruxelles, la data è stata fissata al prossimo 23 giugno.

Contrariamente alle aspettative, però, Cameron ha subito la prima pugnalata alle spalle già nella prima giornata di campagna referendaria. Gli è arrivata direttamente dal popolare sindaco conservatore di Londra, Boris Johnson. “Ho deciso a malincuore, perché l’ultima cosa che volevo fare era andare contro David Cameron e il governo” è stato il primo commento del sindaco. Fra i due protagonisti della politica conservatrice è rottura, forse anche personale, tanto è vero che girano voci (fra i Tories) che la scelta di Johnson sia motivata dalla sua ambizione a diventare premier, una volta vinto il referendum. Il sindaco non è l’unico, perché ben cinque ministri del governo e il capogruppo dei Tories in Parlamento si schierano per la “Brexit”. E quindi, nonostante la vittoria diplomatica a Bruxelles, la battaglia in Inghilterra è ancora tutta da combattere. Mentre in Scozia la premier indipendentista Nicola Sturgeon avverte che, in caso di Brexit, la Scozia chiederà di nuovo la secessione dal Regno Unito: questa volta per rientrare, da sola, nell’Ue.

Il mercato ha già dato la sua risposta. Non solo la solidarietà a Cameron espressa dai manager delle 100 maggiori società britanniche quotate in Borsa, ma anche l’improvviso indebolimento del valore della sterlina, ieri. E’ segno dell’angoscia creata dalla possibilità che le isole britanniche se ne vadano, lasciando il continente isolato.