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ASSEMBLEA CEI

Il sacerdote sia strumento della tenerezza di Dio

Anche quest’anno il Papa ha aperto l’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana. Ai vescovi riuniti nell’Aula nuova del Sinodo il Pontefice ha offerto un discorso incentrato sul tema dell’assemblea che si svolgerà fino al 19 maggio in Vaticano: il rinnovamento del clero. Quello che Francesco ha offerto risulta così essere un vero e proprio ritratto del prete, un concentrato di alcuni suoi pensieri che in varie occasioni aveva già espresso.
- IL TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO

Ecclesia 16_05_2016
Il Papa all'assemblea generale della Cei

Anche quest’anno il Papa ha aperto l’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana. Ai vescovi riuniti nell’Aula nuova del Sinodo il Pontefice ha offerto un discorso incentrato sul tema dell’assemblea che si svolgerà fino al 19 maggio in Vaticano: il rinnovamento del clero. Quello che Francesco ha offerto risulta così essere un vero e proprio ritratto del prete, un concentrato di alcuni suoi pensieri che in varie occasioni aveva già espresso.
A partire da tre domande, che il Papa ha lasciato alla riflessione dei vescovi italiani, ecco alcune indicazioni che emergono dal discorso del Pontefice sulla figura del sacerdote.

Che cosa dà sapore alla vita del “nostro” presbitero?

Come già più volte richiamato in tanti suoi discorsi il Papa indica un prete che «è distante dalla freddezza del rigorista, come pure dalla superficialità di chi vuole mostrarsi accondiscendente a buon mercato». 

«Avendo accettato di non disporre di sé», sottolinea Bergoglio, «non ha un’agenda da difendere, ma consegna ogni mattina al Signore il suo tempo per lasciarsi incontrare dalla gente e farsi incontro. Così, il nostro sacerdote non è un burocrate o un anonimo funzionario dell’istituzione; non è consacrato a un ruolo impiegatizio, né è mosso dai criteri dell’efficienza. Sa che l’Amore è tutto. Non cerca assicurazioni terrene o titoli onorifici, che portano a confidare nell’uomo; nel ministero per sé non domanda nulla che vada oltre il reale bisogno, né è preoccupato di legare a sé le persone che gli sono affidate».

È «servo della vita, cammina con il cuore e il passo dei poveri; è reso ricco dalla loro frequentazione. È un uomo di pace e di riconciliazione, un segno e uno strumento della tenerezza di Dio, attento a diffondere il bene con la stessa passione con cui altri curano i loro interessi». Infine, il vero segreto del presbitero è il rapporto intimo con il Signore. «È il rapporto con Lui a custodirlo, rendendolo estraneo alla mondanità spirituale che corrompe, come pure a ogni compromesso e meschinità. È l’amicizia con il suo Signore a portarlo ad abbracciare la realtà quotidiana con la fiducia di chi crede che l’impossibilità dell’uomo non rimane tale per Dio».

Per chi impegna il servizio il nostro presbitero?

Innanzitutto Francesco precisa che prima di chiedersi verso chi è rivolto il servizio bisogna sottolineare che «il presbitero è tale nella misura in cui si sente partecipe della Chiesa, di una comunità concreta di cui condivide il cammino». È questa appartenenza «che libera da un’autoreferenzialità che isola e imprigiona». 

Per richiamare alla missione il Papa utilizza una citazione di dom Helder Camara, il vescovo brasiliano che fu particolarmente attivo durante il Vaticano II nel promuovere istanze riformatrici. E sottolinea che occorre partire «non perché hai una missione da compiere, ma perché strutturalmente sei un missionario».

L’appartenenza alla Chiesa, dice ancora il Papa, «è il sale della vita del presbitero; fa sì che il suo tratto distintivo sia la comunione, vissuta con i laici in rapporti che sanno valorizzare la partecipazione di ciascuno. In questo tempo povero di amicizia sociale, il nostro primo compito è quello di costruire comunità; l’attitudine alla relazione è, quindi, un criterio decisivo di discernimento vocazionale».

Qual è la ragione ultima del suo donarsi?

Fedele alla sua visione di Chiesa come ospedale da campo, Francesco vuole preti che non hanno paura di sporcarsi le mani. «Il nostro presbitero, invece, con i suoi limiti, è uno che si gioca fino in fondo: nelle condizioni concrete in cui la vita e il ministero l’hanno posto, si offre con gratuità, con umiltà e gioia». 

«È uomo della Pasqua, dallo sguardo rivolto al Regno, verso cui sente che la storia umana cammina, nonostante i ritardi, le oscurità e le contraddizioni. Il Regno – la visione che dell’uomo ha Gesù – è la sua gioia, l’orizzonte che gli permette di relativizzare il resto, di stemperare preoccupazioni e ansietà, di restare libero dalle illusioni e dal pessimismo; di custodire nel cuore la pace e di diffonderla con i suoi gesti, le sue parole, i suoi atteggiamenti».

«Ecco delineata», ha concluso il Papa, «la triplice appartenenza che ci costituisce: appartenenza al Signore, alla Chiesa, al Regno. Questo tesoro in vasi di creta va custodito e promosso!».

- IL TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO