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BALCANI

Kosovo nella Uefa, una decisione poco sportiva

Con una decisione destinata a far discutere, la UEFA ha ufficializzato che il Kosovo sarà il 55° Stato membro dell’Organizzazione che gestisce il calcio europeo. Il Kosovo è riconosciuto solo da una parte dei membri della UEFA. E si è trattato di una decisione politica, non tanto sportiva, che creerà gravi problemi e un pericoloso precedente.

Esteri 05_05_2016
Kosovo nella Uefa

Con una decisione destinata a far discutere, la UEFA ha ufficializzato che il Kosovo sarà il 55° Stato membro dell’Organizzazione che gestisce il calcio europeo.

Durante l’annuale Congresso della Federazione, che quest’anno si è tenuto a Budapest, la richiesta di Priština è stata accolta con 28 voti a favore, 24 contrari e 2 annullati, cifre che dimostrano ancora una volta il forte contrasto esistente attorno a questa delicata vicenda. In particolare, il fronte del “no” si è scagliato contro quella che, a suo modo di vedere, è una violazione delle attuali norme interne della UEFA, secondo cui per entrare a far parte della stessa è necessario che il Paese richiedente sia ufficialmente riconosciuto come indipendente e sovrano dall’ONU, condizione che non si verifica nel caso del Kosovo. Come riporta Reuters, il direttore degli affari legali della Federazione calcistica europea Alasdair Bell ha giustificato il mancato rispetto di tale aspetto legale affermando che l’interpretazione letterale di quest’ultimo non avrebbe senso da un punto di vista giuridico. Le sue parole, però, non sembrano particolarmente convincenti, anche perché la proposta di modificare questa condizione è stata respinta dall’Assemblea degli Stati membri, il che lascia ragionevolmente supporre che questi continuino ad attribuirle un certo valore. 

Mettendo in secondo piano per un attimo le considerazioni politiche, dal punto di vista calcistico l’ammissione del Kosovo rappresenta un potenziale problema di non poco conto. Priština, infatti, sarà ammessa a giocare sin da subito le gare di qualificazione per gli Europei del 2018, che si svolgeranno in Russia, Paese capofila nell’opposizione al riconoscimento dell’ex-provincia serba. Al di là dell’ovvio imbarazzo che si verrebbe a creare nel caso in cui il nuovo membro UEFA dovesse venire ammesso alle fasi finali della competizione, numerose difficoltà sorgeranno sicuramente sin dalla fase dei “gironi”. Per poter svolgere le partite, infatti, questi dovranno essere necessariamente composti da Paesi che hanno relazioni diplomatiche con Priština. Spagna, Slovacchia, Romania, Grecia, Bielorussia, Bosnia e molti altri, quindi, dovranno accuratamente essere ripartiti in modo tale da non doversi scontrare mai con il Kosovo.

Infine, come sottolinea in un lungo e esauriente articolo il New York Times, rischia di essere complicata, sportivamente parlando, anche la gestione di tutti quei calciatori che in questi anni, pur avendo il passaporto kosovaro, hanno giocato in altre rappresentative, Svizzera e Albania su tutte. Sebbene al momento non sia possibile cambiare federazione se si ha già debuttato con la Nazionale maggiore, secondo alcune indiscrezioni UEFA e FIFA (che deve ancora accogliere la richiesta di adesione da parte di Priština) potrebbero eccezionalmente permettere ai giocatori kosovari di optare per il proprio Paese d’origine. Ad uscirne particolarmente danneggiati sarebbero soprattutto gli elvetici, che potrebbero dover rinunciare, tra gli altri, a Shaqiri, Xhaka e Behrami. 

Ben più complesso, invece, è l’aspetto politico legato alla vicenda. La decisione della UEFA, infatti, sembra essere estremamente politica e poco “sportiva”, come ha affermato il Presidente della Federazione calcistica serba Tomislav Karadži?, evidentemente deluso dalla sconfitta della linea da lui perseguita. Al contrario, grande giubilo è stato espresso dal Presidente kosovaro Hashim Thaçi, che ha ringraziato pubblicamente gli Stati che si sono espressi a favore dell’estensione della membership. Al di là delle posizioni divergenti dei due schieramenti, comunque, l’intera vicenda dimostra come, a distanza di ben 8 anni dall’autoproclamata indipendenza, quasi ogni questione legata a Priština continui a creare malumori e tensioni. Al di là delle ovvie colpe di coloro i quali continuano a negare che ormai la Serbia abbia perso la sua storica e “sacra” provincia, una buona parte di responsabilità va attribuita anche a quella parte di Europa che, sin dal 1999, si è erta a difenditrice della causa kosovara. I sostenitori dell’indipendenza, infatti, non hanno mai cercato un compromesso accettabile per entrambe le parti al fine di risolvere definitivamente questa ridicola impasse, né preteso che l’ex élite dell’UCK ora al potere accettasse di fare dei significativi passi per giungere alla pacificazione interna (la quiete attuale è possibile solo grazie allo sforzo dei militari stranieri che difendono le enclaves serbo-ortodosse). Nonostante ciò, le richieste di Priština vengono quasi sempre accettate, il che contribuisce a creare instabilità nella zona, soprattutto se si tiene in considerazione che qualsiasi decisione presa ha conseguenze importanti, oltre che sulla Serbia, anche sulla Macedonia (nella quale lo scontro fra slavi e albanesi è sempre latente e potenzialmente pericoloso) e Montenegro. 

Oltre a ciò, spingere per una ripresa del dibattito attorno allo status del Kosovo pare essere una mossa politica azzardata in un momento storico in cui i particolarismi e i localismi sono sempre più forti in Europa ed esistono delle importanti zone a noi vicine in cui il fenomeno dell’indipendentismo ha raggiunto o può raggiungere anche l’aspetto di un conflitto armato (si pensi all’Ucraina, al Nagorno Karabakh, alla Georgia o alla vicenda Curda). Alla luce dei criteri adottati pochi giorni fa dalla UEFA non si comprende, quindi, perché in un prossimo futuro dovrebbero essere respinte le domande di ammissione provenienti, ad esempio, da Cipro Nord, Abkhasia, Donbass, Ossezia o, addirittura, Catalogna.