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L'IO E LA CRISI/23

La cultura è il radicamento nella tradizione

Nel termine «cultura» risiede il radicamento nelle proprie origini, senza il quale non è possibile crescere e dare frutti. Non ha a che fare con la conoscenza di tante componenti della realtà, ma deriva da un passato, il terreno in cui siamo cresciuti, la tradizione e si apre ad una domanda sul presente e sul futuro.

Cultura 05_03_2017

Riflettiamo brevemente sull’etimo della parola «cultura». Il fascino di una parola risiede, infatti, nel fatto che essa descrive una storia, racconta una parte dell’avventura umana: non a caso il vocabolo «parola» deriva da «parabola», ovvero racconto. Il verbo latino colo, che è alla base della parola «cultura»,  sottolinea e descrive il passaggio dell’uomo dalla condizione nomade a quella sedentaria. Il verbo significa «coltivare», «abitare», «venerare». Un popolo che diventa sedentario ha imparato a coltivare la terra, la abita e venera le divinità del luogo.

Nel termine «cultura» risiede questo radicamento nelle proprie origini e nella propria terra, senza il quale non è possibile crescere e dare frutti. Da questo radicamento scaturisce la possibilità di trarre linfa vitale, ovvero la possibilità di germogliare, di crescere nel fusto e di dare frutti buoni. Capiamo allora che la cultura non ha a che fare con la conoscenza di tante componenti della realtà, ma deriva da un passato (il terreno in cui siamo cresciuti, la tradizione) e si apre ad una domanda sul presente e sul futuro. La parola «cultura» coinvolge non solo la sfera della materialità (l’aspetto fisico, concreto, pragmatico dell’uomo), ma anche la componente religiosa, include la questione dell’uomo e del suo rapporto con il destino, ovvero le grandi domande dell’uomo. Potremmo anche affermare che il fenomeno culturale si traduce in una capacità di giudizio sul presente e sulla realtà e in un’ipotesi e in una speranza sul futuro radicata nel presente. Un’incursione nella cultura e nell’arte mondiali farebbe emergere fin da subito il loro carattere religioso e metafisico.

Dante esprime una delle più alte attestazioni del compito e della missione culturale nel proemio del Convivio in cui Dante afferma che la conoscenza della verità, ovvero la sapienza, è non solo connaturata all’uomo, ma è addirittura la perfezione ovvero il compimento della natura umana: «Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima filosofia, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere. La ragione di che puote essere ed è che ciascuna cosa, da providenza di propria natura impinta, è inclinabile a la sua propria perfezione». Nella conoscenza l’uomo si realizza, si perfeziona nella sua natura. Riecheggiano le parole evangeliche: «La verità vi farà liberi». I bimbi domandano, si interrogano su tutto, sono curiosi e non smettono mai di chiedere il perché. Questo atteggiamento, che è poi quello proprio della filosofia, si corrompe spesso nel tempo tanto che in molti casi l’uomo sembra considerare la conoscenza come  un pesante fardello e un fastidio. Dante al riguardo seleziona il suo destinatario, non scrive per tutti, esclude quanti siano colpiti da «malizia», ovvero non desiderino il bene per sé. Importante è, infatti, che la libertà si giochi pienamente per il proprio bene.

Che cosa muove l’uomo alla missione culturale? Nel proemio del Convivio ancora Dante scrive di essere stato mosso dalla naturale amicizia che lega l’uomo al proprio simile e, nel contempo, dal sentimento di gratitudine per aver avuto l’occasione di nutrirsi alla mensa della cultura e della verità. La missione culturale non nasce, quindi, dalla presunzione di essere meglio degli altri.

Ci chiediamo a questo punto che cosa sia la cultura. L’esperienza insegna che essa ha senz’altro a che fare con una capacità di agire nella realtà, di capirla e di giudicarla, nel contempo essa presuppone una certezza, un criterio unificatore per ricostruire il proprio sapere e le proprie conoscenze. Se prendiamo l’esempio dei pezzi di un puzzle, potremmo anche dire che la cultura ha a che fare con la capacità di metterli insieme e, quindi, presuppone l’aver intuito almeno a tratti l’immagine complessiva da ricostruire. La cultura riguarda, così, il sapersi orientare e muovere nella realtà. A sua volta, presuppone, quindi, una strada ovvero un metodo.

Il discorso fin qui condotto ci porta ad affermare che la cultura può nascere solo dalla conoscenza della verità o dall’ipotesi che esista una verità da conoscere. Non c’è cultura in un clima relativistico che afferma l’esistenza di tante verità e per ciò stesso nega la verità. «Cultura relativistica» è pertanto un’espressione ossimorica in cui il primo termine è negato dall’aggettivo stesso che l’accompagna. Il fatto culturale è, invece, un evento, un impeto di conoscenza nuova che investe tutto quanto accade. Si comprende bene come la cultura sia legata alla testimonianza (in greco «martirio») e alla missione.

Consideriamo ora le vicende storiche e culturali nella storia umana e riduciamo il campo di osservazione al mondo occidentale. Soffermiamoci sulle massime espressioni nella storia dell’arte e della cultura. Pensiamo all’apogeo della cultura greca nell’età di Pericle o all’età augustea o ancora alla grande cultura medioevale e rinascimentale. La grande cultura è sempre stata espressione di un popolo. La consapevolezza dell’appartenenza ad un popolo e ad una tradizione ha generato sempre frutti fecondi. Ne è ben cosciente Cesare Pavese che scrive ne Il mestiere di vivere: «Quando un popolo non ha più senso vitale del suo passato si spegne. La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. Si diventa creatori anche noi, quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia». Ogni esperienza di vera appartenenza reca in sé la vitalità che proviene dalla verità sulla vita che viene tramandata di generazione in generazione, di padre in figlio. Da questa verità e bellezza nascono l’arte e la cultura.

 

Queste parole rappresentano un auspicio a recuperare il senso di appartenenza alla tradizione e all’humus fecondo da secoli. Da cosa deriva la cultura? Da cosa nasce quella straordinaria fecondità che ha fatto sì che l’Italia generasse da sola la metà di tutto il patrimonio artistico dell’umanità? Questa ricchezza è sempre scaturita dalla consapevolezza di essere preziosi eredi di un bene da altri consegnatoci. La grandezza dei Romani si è tradotta in splendore artistico quando ha innestato gli esiti della cultura greca all’interno della storia e della tradizione romana. L’arte medioevale è nata, a sua volta, dal desiderio di comunicare il fatto cristiano al mondo intero.