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E4IMPACT

La fucina milanese di imprenditori africani

"Aiutiamoli a casa loro". Sì, ma come? Le politiche di cooperazione e sviluppo, in Africa sono state tanto costose quanto povere di risultati. Invece la fondazione E4Impact, iniziativa dell'Altis (l'alta scuola dell'impresa e società dell'Università Cattolica di Milano), pur con un budget ridotto, sta formando 3000 imprenditori in cinque paesi africani, per risvegliare una classe media locale.

Economia 24_09_2015
E4Impact in Ghana

“Aiutiamoli a casa loro” è un motto sulla bocca di molti, in tempi di immigrazione massiccia dall’Africa. Sì, ma come? Non si può dire che nel corso dei decenni il continente nero non sia stato aiutato, con numerose politiche di cooperazione e sviluppo, tanto costose quanto povere di risultati. Qualche organizzazione, però, mira direttamente a far crescere una nuova classe media africana e a sprigionare energie creative. Che ci sono. E4Impact è un’iniziativa dell’Altis, l’Alta Scuola Impresa e Società dell’Università del Sacro Cuore di Milano. Dal 2010, forma giovani talenti, gli imprenditori di domani in cinque paesi, Ghana, Costa d’Avorio, Sierra Leone, Uganda e Kenya e mira a consolidarsi in sempre nuove realtà. Dal 16 settembre scorso, E4Impact è una Fondazione, presentata a Milano da Letizia Moratti (Securfin, già sindaco di Milano), Giorgio Squinzi (Mapei), Pietro Salini (Salini-Impregilo), Franco Anelli (rettore Università Cattolica del Sacro Cuore) e Mario Molteni (Associazione Always Africa), professore di Economia aziendale all'Università Cattolica. La Nuova Bussola Quotidiana ha incontrato il professor Molteni, per parlare del progetto. E delle prospettive di sviluppo del continente più povero del mondo.

Fondazione E4Impact

Dove e quanto mira a espandersi in Africa l’iniziativa E4Impact?

Abbiamo in progetto di arrivare in almeno 15 paesi dell’Africa subsahariana entro quattro anni. L’anno prossimo dovremmo sbarcare in Senegal, Nigeria, Tanzania ed Etiopia. E poi vorremmo crescere al ritmo di due nuovi paesi all’anno.

In base a quali criteri vengono scelti i paesi?

Le variabili sono due, principalmente. Da una parte, i rapporti che stiamo sviluppando con le università, perché noi agiamo sempre organizzando master in partnership con istituti accademici locali. Uno degli obiettivi fondamentali è infatti quello di contribuire allo sviluppo qualitativo dell’insegnamento nei paesi in cui operiamo. Il primo criterio, quindi, è quello di trovare un’università che sia in grado di sostenere il progetto. Il secondo è l’attenzione per le imprese italiane che, nel prossimo futuro, potrebbero essere interessate ad andare a investire e operare in quei paesi.

Formate imprenditori nell’Africa sub-sahariana. Quali sono i candidati ideali per i vostri corsi?

Ci sono due tipi di candidati ideali. Il portatore di un’idea imprenditoriale e l’imprenditore già attivo. Il primo è una persona che ha sviluppato un’idea in grado, sia di assicurare un successo economico, che di dare un contributo sociale significativo al proprio contesto, in termini di occupazione e soddisfazione dei bisogni della popolazione. Il secondo è già in attività, un piccolo imprenditore che ha un significativo potenziale di crescita.

L’Africa sub-sahariana è sempre il continente più povero, fra le realtà in via di sviluppo. E’ sottovalutata o effettivamente ha problemi strutturali maggiori rispetto ad America Latina e Asia?

Entrambe le cose, a mio modo di vedere. E’ vero che ci sono problemi superiori rispetto a quelli di altri contesti, ma è altrettanto vero che in Africa vediamo tassi di sviluppo fra i principali al mondo, anche al 7-8% di crescita all’anno. Il mondo di Internet e le energie rinnovabili stanno profondamente cambiando lo scenario. Un villaggio connesso a Internet e dotato di impianti di energia solare, ad esempio, può essere connesso al resto del mondo, cosa che, fino a pochi anni fa, non era possibile.

La stessa regione del mondo, però, fa notizia soprattutto per le sue guerre civili. Quanto la politica locale ostacola il vostro progetto?

Ci muoviamo in contesti di relativa stabilità politica. I nostri primi due paesi sono stati il Ghana e il Kenya. Quest’ultimo è purtroppo ritornato nelle cronache degli esteri per i grandi attentati che hanno impressionato il mondo, ma è e resta un paese relativamente stabile. Abbiamo intenzione di andare in Nigeria e sappiamo tutti che nel Nord del paese c’è Boko Haram. Ma è la principale economia di tutta l’Africa, sta superando anche il Sudafrica. Noi inizieremo a operare a Sud, nei pressi di Lagos, dove il contesto politico è più agibile.

L’Africa è stata beneficiaria di numerose politiche di cooperazione e sviluppo. Cosa, soprattutto, le ha impedito di crescere?

La logica tradizionale degli aiuti non è stata in grado di mettere in moto le energie presenti nei paesi beneficiari. Queste energie ci sono, però. Tanto è vero che noi vogliamo operare secondo una logica totalmente diversa: mobilitare i giovani o le persone talentuose e di esperienza che ormai possono assumere un ruolo da protagonista nell’economia del loro paese. Noi vogliamo contribuire a rispondere ai bisogni della “base della piramide” sociale, delle persone più svantaggiate, ma il nostro prodotto non si rivolge a loro, bensì a un ceto medio che deve assumere l’iniziativa per risolvere i problemi del suo paese. E’ la parte di società che ha un forte potenziale di crescita e la volontà di migliorare.

In questi anni assistiamo a un fenomeno di grande emigrazione dall’Africa. E’ la classe media che emigra, o la “base della piramide” sociale?

Per quanto mi è dato di sapere, appartengono anche alla classe media, nella quale si sta diffondendo l’idea che intraprendere il lungo e pericoloso viaggio verso l’Europa sia una manifestazione di vitalità. Non pensiamo di essere una risposta a un fenomeno così vasto, ma facciamo un piccolo tentativo di andare in una direzione diversa. Noi abbiamo intenzione di formare 3000 nuovi imprenditori nell’arco di cinque anni. E a questo proposito vorrei rivolgere un appello alle imprese italiane, anzitutto.

Che appello vuole rivolgere alle imprese italiane?

Noi abbiamo un’idea che sta già iniziando a funzionare. Immaginiamoci un’impresa italiana che vuole entrare in un paese africano: questa impresa può offrire una borsa di studio ad un giovane del posto, selezionato tra i giovani talenti. Il borsista frequenta il nostro master (che è un master “executive”, progettato per gente che lavora), in un anno ha 40 giorni in cui presentarsi in aula e 300 in cui ha tempo a disposizione per sviluppare un business plan dell’azienda italiana, per fare ricerche di mercato, per interessarsi ai prezzi, ai distributori, venire in Italia a studiare il nostro mercato, ecc… Abbiamo così una soluzione vincente per tutti: all’azienda una borsa di studio costa solo poche migliaia di euro, ma ottiene una montagna di informazioni, un giovane talento africano ottiene la possibilità di frequentare il master e nel caso migliore, alla fine dell’anno, viene assunto da un’impresa italiana.

E4Impact dichiara di mirare a uno “sviluppo sostenibile” dei paesi in cui opera. La Dottrina Sociale della Chiesa si esprime nei termini di “sviluppo integrale”. Come si relazionano i due concetti?

Noi miriamo allo sviluppo integrale, così come lo intende la Chiesa. Noi usiamo il termine di “sviluppo sostenibile”, perché è più immediatamente comprensibile. Per “sostenibilità” intendiamo: rispetto per le persone che lavorano, per le comunità nelle quali si colloca l’impresa, rispetto per l’ambiente naturale nelle quali operano le imprese e sostenibilità economica, perché i nostri imprenditori devono sostenersi con le loro gambe. Il nostro master ha budget ridotti. Con duecentomila euro, siamo in grado di realizzare il capacity building (la fase di preparazione iniziale) e a gestire due edizioni. Tenete presente che, per lo stesso tipo di attività, un’università americana si muove in Africa con budget di milioni di euro. Abbiamo un modello basato sulle economie di scala, dunque basato sulla replica continentale, sul coinvolgimento delle università locali (formiamo soprattutto professori del posto, il numero di docenti italiani che vola in Africa è ridotto) e mettiamo l’università locale in condizione di essere economicamente autosufficiente nell’arco di un paio di anni. Non solo predichiamo la sostenibilità economica, ma la mettiamo in pratica con un modello di business molto efficiente.

Come sta evolvendosi il progetto E4Impact?

Finora è stato completamente autogestito. La carenza di mezzi finanziari ha favorito lo sviluppo di una formula imprenditoriale vincente. Si fa di necessità virtù. Da questo mese, la dottoressa Moratti e un gruppo di importanti imprenditori nazionali, fra cui i dottori Giorgio Squinzi e Pietro Salini, hanno sposato il progetto e hanno consentito di trasformarlo in una fondazione. Ci hanno dato uno slancio che non speravamo nemmeno fosse possibile.