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MEDITERRANEO

La missione internazionale in Libia esiste solo a parole

Secondo un ritornello caro al nostro governo, l'Italia dovrebbe essere alla guida della prossima missione Onu per la stabilizzazione delle coste libiche. Ma in assenza di un accordo fra le fazioni libiche, non ci sarà alcun intervento. E prima della fine di settembre non se ne parla proprio.

Politica 20_08_2015
Bernardino Leon, inviato dell'Onu in Libia

L’Isis mette a ferro e fuoco Sirte e amplia la fascia costiera sotto il suo contro in Libia, a 400 chilometri dalle coste italiane, ma l’unica reazione della comunità internazionale sono le chiacchiere.

Le 5 potenze europee più gli Usa, con un documento al limite del comico, esortano i libici a unire le diverse fazioni contro lo Stato Islamico ma si guardano bene dall’intervenire in armi, dimostrando che contro i jihadisti hanno esitazioni che non mostrarono mai nel 2011 contro Muammar Gheddafi.

Neppure la Lega Araba sembra aver voglia di fare la guerra agli uomini del Califfo in Libia, forse perché i leader arabi sono consapevoli che le loro opinioni pubbliche vedono con piacere la guerra combattuta contro gli odiati sciiti nello Yemen, ma molto meno le operazioni militari contro i fratelli sunniti dell’Isis, dei quali molti nella Penisola Arabica condividono ideologia e fanatismo religioso. Per questo la Lega Araba ha aderito martedì, in modo generico, alla richiesta del governo di Tobruk di aiuti militari contro il terrorismo, ma ha glissato sui raid aerei che il governo ufficialmente riconosciuto aveva chiesto contro Sirte.

La comunità internazionale sta a guardare e attende i negoziati guidati dal rappresentante speciale dell'Onu, Bernardino Leon, per una soluzione politica tra le fazioni e la formazione di un governo di unità nazionale. Secondo fonti delle Nazioni Unite è possibile che le trattative riprendano forse venerdì, ma resta tutto da confermare. Basti pensare che l'obiettivo è di arrivare ad un'intesa entro fine settembre, cioè quando probabilmente l’Isis avrà ulteriormente allargato l’area sotto il suo controllo. Il negoziato guidato da Leon non ha, del resto, molta credibilità, tenuto conto che il governo islamista di Tripoli non ha accettato di sedere al tavolo delle trattative. Mentre l’Egitto ha posto in allarme le forze schierate sul confine con la Libia (lungo quasi 2mila chilometri), forse in vista di un intervento contro l’Isis in appoggio alle forze di Tobruk, Nato e Ue hanno fatto sapere di essere pronti a fare la loro parte per sostenere la Libia, ovviamente solo appena si troverà il compromesso tra le diverse fazioni.

In questo contesto a Roma è tornato alla ribalta il “tormentone” dell’intervento militare di una forza multinazionale a guida italiana ovviamente sotto l’egida delle Nazioni Unite. Un ritornello caro al governo italiano, ma che al momento non trova giustificazioni né significato. Non solo perché le trattative dell’Onu sono ancora in alto mare, ma soprattutto perché nessuno sa spiegare cosa dovrebbero andare a fare truppe italiane e dell’Onu in Libia.

In assenza di un accordo con gli islamisti che controllano Tripoli un intervento straniero verrebbe considerato ostile, non solo dall’Isis, ma anche da Salafiti e Fratelli Musulmani che controllano quell’esecutivo, sul cui territorio operano la gran parte dei trafficanti di esseri umani che fanno salpare ogni giorno barconi e gommoni verso l’Italia.

In ogni caso, nessuna delle fazioni libiche ha chiesto l’invio di truppe dell’Onu, mentre Tobruk si è limitata a chiedere armi e un intervento aereo ai Paesi della Lega Araba. Mentre il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, sembra scoprire ora che la Libia rischia di diventare un’altra Somalia, sui giornali imperversano notizie e approfondimenti circa una prossima missione italiana sulla nostra ex quarta sponda che al momento è del tutto improbabile.

Certo non sarebbe male condurre attacchi aerei e bombardamenti navali (magari con qualche incursioni a terra) contro i miliziani dell’Isis a Sirte, prima che siano loro a effettuare blitz sulle coste pugliesi o calabresi. Ma sarebbe un’azione bellica non una “missione di pace” e nessuno a Roma la autorizzerà mai. Più probabile che un blitz del genere lo effettuino forze britanniche (già basate a Cipro per le operazioni sull’Iraq) o francesi, appartenenti cioè a Paesi che si sono giù rivelati rivali dell’Italia per gli interessi petroliferi e commerciali in Libia.

Scarse speranze anche di un via libera a un’operazione italiana o europea contro i trafficanti di esseri umani. L’Onu ha già fatto sapere da tempo che non autorizzerà la flotta europea Eunavfor Med a colpire i criminali sul territorio e nelle acque libiche e certo il governo italiano non intende muoversi senza un via libera da Onu e Ue. Sul fronte della lotta all’immigrazione clandestina, anche a Bruxelles dormono o sono in vacanza. La flotta europea guidata dalla portaerei Cavour attende l’ok della Ue per cominciare a intercettare e affondare barconi. C’è chi dice che forse ne parleranno i ministri degli esteri al vertice del 3 settembre, ma è probabile che rimandino ogni decisione all’eventuale esito dei negoziati Onu tra le fazioni libiche.

Una “melina” che ha già fatto sbarcare in Italia oltre 100mila clandestini quest’anno, che potrebbero raddoppiare se l’autunno resterà mite favorendo la partenza dei barconi. I margini per un intervento militare italiano ci sarebbero tutti, ma senza bisogno di schierare truppe sul suolo libico ponendole alla mercé di criminali e terroristi suicidi. Per tutelare gli interessi nazionali sarebbe sufficiente autorizzare incursioni mirate contro l’Isis e i trafficanti di esseri umani, riportando sulle coste libiche tutti i clandestini recuperati in mare. Missioni alla portata delle nostre forze armate, ma che richiederebbero un’autonomia politica e un decisionismo che è difficile attendersi da questo governo.