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UNA STORIA A LIETO FINE

La piccola Oumoh e la verità sull'infibulazione

La storia della piccola Oumoh e di sua madre, che hanno percorso 15mila km per sfuggire alle mutilazioni genitali femminili. Ormai proibite in quasi tutti gli stati africani, ma ancora praticate. E nonostante leggi ferrei, in uso anche a molti clan trapiantati in Europa. 

Libertà religiosa 19_01_2017

Tunisi dista oltre 5.000 chilometri dalla Costa d’Avorio. Una donna ivoriana lo scorso anno li ha percorsi tutti con sua figlia, Oumoh, di quattro anni, per raggiungere dalla Tunisia, l’Italia. In realtà, in poche settimane, di chilometri ne ha percorsi almeno 15.000 perchè, quando è arrivata a Tunisi, ha affidato la piccola a una amica, anche lei in attesa di imbarcarsi, ed è tornata in Costa d’Avorio per prendere delle cose che aveva lasciato a casa. Mentre era via, la sua amica ha deciso di partire e ha portato Oumoh con sè. Ma, una volta arrivata a Lampedusa, se ne è andata per i fatti suoi lasciandola sola. Per puro caso, nelle settimane successive, si è scoperto di chi fosse figlia. La sua mamma è stata rintracciata via cellulare a Tunisi, dove intanto era tornata. I mass media ne hanno raccontato la storia concludendo che al più presto sarebbe stato eseguito un test del Dna per verificare che fossero davvero madre e figlia: in caso affermativo, le autorità italiane avrebbero avviato la consueta pratica di ricongiungimento familiare.

Nell’attesa del risultato del test, merita di riflettere sul motivo che ha indotto la mamma di Oumoh – lo è fino a prova contraria – a lasciare la Costa d’Avorio. La donna sostiene di essere partita per risparmiare alla piccola un intervento di mutilazione genitale – escissione o forse infibulazione – che il marito intedeva far eseguire, evidentemente seguendo la tradizione della propria etnia. Le mutilazioni genitali femminili, Fgm, sono un’istituzione antichissima che serve a controllare il comportamento sessuale delle donne e quindi le loro facoltà riproduttive. Sono praticate almeno in 30 paesi, in gran parte africani. Secondo l’Unicef ogni anno circa tre milioni di bambine vi vengono sottoposte e in tutto nel mondo vivono 200 milioni di donne mutilate. Gli interventi, quasi sempre eseguiti senza anestesia e precauzioni – usando coltelli, pezzi di vetro, spine... – possono provocare setticemia ed emorragie mortali, causano dolori e patologie permanenti, complicano gravidanza e parto.

Tuttavia sradicare questa istituzione, così pericolosa e lesiva dell’integrità fisica e morale di una donna, è difficile tanto più se è associata a un’altra istituzione tradizionale molto diffusa, il prezzo della sposa, che impone al marito di compensare con beni e denaro la famiglia che gli cede in matrimonio una figlia. Non mutilare una figlia vuol dire rinunciare al prezzo della sposa che, sempre secondo tradizione, nessun uomo per bene è disposto a pagare per una donna non mutilata.         

Da decenni le Mgf si eseguono anche in Europa, importate dalle famiglie degli immigrati, soprattutto africani. Ovviamente sono illegali – in Italia nel 2006 è stata varata una legge che le vieta – ma continuano a essere praticate. Sono vietate anche nella maggior parte dei paesi africani, inclusa la Costa d’Avorio dove è proibita dal 1998, ma si stima che tuttavia tra il 30 e il 40% delle donne siano escisse. In tutti gli stati africani c’è chi si batte per la loro abolizione: organizzazioni non governative, personalità politiche e religiose sostenute dall’Onu, dall’UE e da diversi governi non africani che finanziano le campagne di informazione e di sensibilizzazione con cui si cerca di convincere le famiglie a risparmiare le figlie.

Quella contro le Mgf è una lotta contro il tempo, frustrante per i tanti passi indietro quando si pensava di aver ottenuto un risultato definitivo, per le speranze deluse, i traguardi raggiunti e poi persi: basta poco, un’epidemia, un periodo di maltempo particolarmente lungo, altri “segni evidenti della collera degli antenati per aver trasgredito” per convincere famiglie e intere comunità a ripristinarle.

Lo scorso dicembre, al termine di una campagna promossa dall’organizzazione non governativa senegalese Tostan durata tre anni, i capi tradizionali di oltre 300 comunità, in quattro stati dell’Africa occidentale che da tempo le hanno proibite per legge, si sono ufficialmente impegnati ad abbandonare le Mgf. “Sono convinta che nell’arco di una generazione le Mgf potrebbero sparire in questi paesi” ha detto la fondatrice dell’ong, Molly Melching.

Oltre alle Mgf devono sparire i matrimoni precoci, quelli combinati e il prezzo della sposa. In Kenya le Mgf sono fuori legge dal 2001. Se ne effettuano meno che in passato. Ma quest’anno centinaia di studentesse hanno rifiutato di lasciare i college e tornare a casa per le vacanze di Natale, rifugiandosi in scuole e chiese, per evitare di essere mutilate cosa che le famiglie fanno di solito approfittando delle vacanze scolastiche. “I genitori ci obbligano a lasciarci mutilare perchè vogliono il prezzo della sposa – spiegava una delle studentesse – hanno già combinato il nostro matrimonio e subito dopo l’intervento ci presentano all’uomo che ha pagato e che dovremo sposare”.

Nel vicino Tanzania durante le vacanze di Natale più di 800 ragazzine sono state mutilate nonostante che il governo abbia inasprito le sanzioni. Altre si sono salvate con l’aiuto di organizzazioni non governative che le hanno accolte e ospitate. Ma verranno altre vacanze, prima o poi le studentesse dovranno tornare a casa. 

La piccola Oumoh è salva? Si, ma al prezzo di essere trapiantata in un paese lontano, separata da nonni, zii, cugini, forse anche fratelli, da una madre tanto intraprendente da attraversare tre volte mezza Africa per portarla via e al tempo stesso tanto sprovveduta da non saper approfittare delle istituzioni pubbliche e private in grado e disposte a tutelare le sue figlie in patria.