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PROFANAZIONI DEMOCRATICHE

La sardina e il cardinale: la Chiesa-cucina passa in salotto

Non bastavano le profanazioni nelle chiese trasformate in ristoranti con la scusa dei poveri. A Bologna al pranzo nella chiesa dei Servi il più acclamato è stato il leader delle Sardine Santori. Sotto lo sguardo di un compiaciuto arcivescovo Zuppi attorniato da una corte di comici e scrittori, tra selfie, abbuffate e pacche sulle spalle va in scena il sacrilegio di usare la chiesa come passerella per il nuovo "salvatore della Sinistra", con la spocchia salottiera di chi dice di agire per il popolo. Quel popolo che invece è a casa e non entrerebbe mai in una chiesa per farsi un selfie mentre mangia.

Ecclesia 23_12_2019

E con la sardina in chiesa abbiamo chiuso il cerchio. L’immagine di Mattia Santori che stringe la mano al cardinale arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi in una chiesa bolognese per un pranzo coi poveri sant’Egidio style, è l’emblema di come si possa ridurre la Chiesa quando si sdraia a pancia a terra con le ideologie mondane. Verrebbe da dire «che tristezza» e non pensarci più. Invece c'è da ribellarsi perché quanto accaduto nella chiesa dei Servi sabato si ripeterà altrove dato che sia le sardine sia Zuppi-Sant’Egidio sono due formidabili esportatori di format.

A Bologna, dire i Servi significa dire una chiesa simbolo, Santa Maria dei Servi, amata da tutti, anche da Guccini in Eskimo, coi suoi portici che a Natale si illuminano.

E il pranzo organizzato in chiesa per i poveri non è certo una novità. Dopo l’abbuffata in San Petronio a Bologna alla presenza del Papa,  in tutt’Italia è stata tutta una locanda. Ma con il pranzo di sabato dai Servi la scusa dei poveri è diventata qualche cosa di più: dalla chiesa-cucina e sala da pranzo, ci si è spostati anche in salotto.

Con l’Arcivescovo infatti – per l’evento promosso dalle Cucine popolari – c’erano anche personaggi noti come il comico Alessandro Bergonzoni che ormai segue Zuppi ovunque, manco fosse Polibio con Scipione l’Emiliano e lo scrittore Stefano Benni. E poi l’assessore comunale Matteo Lepore. Vipperie varie, ovviamente intente a partecipare all’evento benefico in favor dei poveri e dell’obiettivo di Repubblica e di Rai Regione Emilia Romagna. Mondanità, ma politicamente corretta dietro il comodo paravento dei poveretti.  

Ad un certo punto, come uno special guest atteso da lontano, arriva anche Mattia Santori, l’acclamato leader della Sardine. E qui – stando al servizio fotografico scodellato domenica mattina da Repubblica Bologna – abbiamo toccato vette di autoreferenzialità e di uso politico della chiesa e dei poveri davvero sorprendenti. Foto, sorrisi, selfie con le cuoche, pacche sulle spalle con l’arcivescovo che sembrava un comprimario di fronte a cotanto ospite.

Ovviamente in pochi, nessuno stando agli sguardi ridanciani delle foto sembravano ricordarsi non solo dei poveri, ma soprattutto del fatto che fossero in chiesa sotto lo sguardo severo della Madonna col bambino di Cimabue. In quel momento la chiesa non era un luogo sacro, ma il contenitore di una passerella politico-mondana.

Che poi, verrebbe da chiedersi: ma Santori in qualità di che cosa era ai Servi? C’era per caso l’anno scorso a servire ai tavoli quando era un Carneade assoluto? Che cosa c'entrano le Sardine con quanto avvenuto sabato? Non è per caso che qualcuno stia sfruttando politicamente la sua improvvisa notorietà e qualcun'altro gli stia dando la possibilità di farlo? 

La profanazione, compiuta su mandato preciso dell’arcivescovo, certifica che non c’è niente di più insopportabile dei radical chic che dicono di fare le cose per il popolo. Sabato a quel pranzo non c’erano i bolognesi, la gente semplice che percorre affannata i portici dell’Archiginnasio, ma attori con una parte da recitare: il santo arcivescovo con la sua claque di intellettuali, il salvatore del mondo con la sardina di cartone, le vipperie belle che si muovono in chiesa con la stessa sguaiata arroganza con cui alla sera devono scappare in un capannone per il party di Natale dell'associazione caccia & pesca. “Ma l'abbiamo fatto per il popolo”. Balle. Non si sono mossi per il popolo, ma per la loro narcisistica pretesa di sentirsi dalla parte giusta, pronti col ditino puntato a insegnare agli altri come si fa a stare al mondo: i poveri da sbandierare, la chiesa a uso e consumo, il servizio ai tavoli, il fotoracconto di Rep. Oh yeah...

Con questa pagliacciata spocchiosa, compiuta in un luogo consacrato a Dio per la quale non ci sarà mai riparazione, sua eminenza, ovviamente, dall’alto della sua bontà sancita da docufilm agiografico, considererà le critiche come questa e quelle che si sono sollevate sul web ieri mattina, robetta di cui non tener conto perché frutto di élite dalla dura cervice che non ha capito la rivoluzione della teneressa.

Invece sono il segnale che è grazie a pastori come questi che si allontana il popolo, il quale per queste pagliacciate nella casa di Dio, con annesso spot politico per il movimento amico di turno, soffre e si indigna. Se soffre – e soffre, basterebbe ascoltarlo per accorgersene – vuol dire che una frattura c’è stata e questa frattura qualcuno deve averla prodotta quando ha deciso di portare la chiesa nell’agone politico. Dandole anche già un indirizzo ben preciso. Rosso come la porpora.