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POLITICA DELEGITTIMATA

Larghe intese o tecnocrazia, è crisi della democrazia

Scongiurare il pericolo dell'ingovernabilità o l'ascesa del Movimento 5 Stelle non sarà facile nella prossima tornata elettorale. Si pensa alle larghe intese, con un governo Gentiloni bis sostenuto sia da Renzi che da Berlusconi. Oppure un governo tecnico, in stile Monti. E alla sua guida ci sarebbe Carlo Calenda.

Politica 28_03_2017
Carlo Calenda

Sembra un dejà vu. Politica delegittimata e tecnocrazia dietro l'angolo. I partiti selezionano la classe dirigente, ma poi, per tentare di frenare l'onda grillina e di catturare il consenso dell'opinione pubblica, si affidano a figure tecniche, quasi sempre gradite alle consorterie internazionali. A livello nazionale era già successo col governo Monti, quando, nel novembre 2011, l'avvento dei tecnici fu preceduto da speculazioni finanziarie internazionali e inchieste giudiziarie avventate e strumentali, tendenti a delegittimare la classe politica in quel momento in sella. L'esecutivo guidato dal senatore a vita ed ex Rettore della Bocconi avrebbe dovuto traghettare il Paese fuori dalle secche della crisi ma alla fine implose e non riuscì ad aprire un ciclo, come molti suoi ministri sognavano. A livello amministrativo si ricorderà la sfida dell'anno scorso per la poltrona di candidato sindaco di Milano, tra Giuseppe Sala e Stefano Parisi, entrambi sganciati dal sistema partitico, entrambi espressione del mondo del management collegato ai cosiddetti "poteri forti".  

Il governo Monti potè contare su appoggi trasversali e l'ipocrita "senso di responsabilità" di quei giorni convulsi fu la maschera dietro la quale il Pd, i centristi e i berlusconiani si nascosero per appoggiare quell'esecutivo. All'ombra della Madonnina nessuno ha percepito in campagna elettorale le differenze di programma tra Sala e Parisi. A distinguerli agli occhi degli elettori era più che altro la minore o maggiore affidabilità dei cosiddetti compagni di viaggio, ma entrambi venivano percepiti come moderati e hanno raccolto consensi trasversali. Ha vinto Sala, ma se avesse vinto Parisi le forze economico-finanziarie e il mondo produttivo si sarebbero repentinamente adeguati.

Oggi sembra di assistere allo stesso film. Un Renzi fortemente ridimensionato gira l'Italia nel tentativo di assicurarsi un futuro politico. Dopo aver promesso agli italiani che avrebbe abbandonato la politica se avesse perso il referendum del 4 dicembre, ha disatteso platealmente quell’impegno, rimanendo in pista con la pretesa di dettare ancora i tempi delle scelte istituzionali. Dapprima esercitando pressioni per il voto anticipato, poi premendo l'acceleratore sulle primarie del suo partito, infine continuando a incidere in maniera decisiva sulle nomine dei vertici delle principali società partecipate. Il suo obiettivo più immediato è quello di vincere le primarie del suo partito, a fine aprile, per poi giocare la partita del voto anticipato, provocando una crisi di governo. Solo così eviterebbe la sciagura di dover appoggiare, attraverso i suoi fedelissimi, un governo chiamato a varare una manovra altamente impopolare, tutta "lacrime e sangue" come quella che si profila e che inevitabilmente avrebbe riflessi elettorali disastrosi per il Pd e i partiti che appoggiano l'attuale esecutivo. Ma banche, Confindustria, boiardi di Stato e altri cosiddetti "poteri forti" temono quest'eventualità, con la conseguente ascesa al potere del Movimento Cinque Stelle e allora, con la complicità dei partiti tradizionali, stanno già organizzando le contromisure.

Il piano A è quello di un'ampia coalizione da Renzi a Berlusconi, che possa dar vita a un governo di larghe intese in grado di sbarrare la strada al probabile successo dei "populisti". A guidarlo potrebbe essere lo stesso Gentiloni, come candidato di compromesso o, in alternativa, l'attuale Ministro dei beni culturali, Dario Franceschini. Il piano B è, appunto, quello di un governo tecnico che ottenga la fiducia di uno schieramento trasversale pro-riforme. Il nome di Carlo Calenda, attuale Ministro dello Sviluppo economico, appare uno dei più spendibili, sia perchè graditissimo al centrodestra (addirittura c'è chi ipotizza che possa candidarsi come candidato premier di quell'area politica) sia perchè mai iscritto al Pd sia perchè sempre più antirenziano. Nei mesi scorsi, infatti, Calenda è stato il primo a dichiarare in un'intervista che l'eventuale scioglimento anticipato delle Camere sarebbe stata una sciagura per il Paese, di fatto stoppando le velleità renziane di immediata rivincita post-referendaria. Non a caso l'attuale Ministro dello Sviluppo economico ha smentito di volersi candidare alle prossime politiche, proprio per non identificarsi con una parte politica e per qualificarsi, al contrario, anche agli occhi del Quirinale, come "risorsa neutrale" per un eventuale governo tecnico post-elezioni, soprattutto in caso di sconfitta dei partiti tradizionali e di trionfo grillino.

Siamo di fronte a un evidente segno dei tempi, che ha modificato in modo radicale la fenomenologia politica. La sfida tra destra e sinistra non sembra più all’ordine del giorno. La politica appare sempre più delegittimata e pronta a cedere il passo alla tecnocrazia. Le ragioni di questa degenerazione tecnocratica sono diverse. Anzitutto la progressiva erosione della sovranità nazionale. Si decide quasi tutto a Bruxelles sotto l’influenza di potenti lobby, le manovre finanziarie devono avere il beneplacito dell'Ue e quindi bisogna negoziare costantemente con i burocrati europei per evitare bocciature e procedure d'infrazione che finirebbero per mettere in ginocchio il Paese. In secondo luogo l'incapacità della classe politica di fare selezione della classe dirigente. La sinistra, che pure sbandiera ai quattro venti la democraticità delle procedure di elezione dei suoi rappresentanti di partito, in realtà ha evidenziato in questi anni pericolose derive verticistiche e plebiscitarie, che hanno finito per allontanare tanti simpatizzanti dalla vita dei partiti. Terzo motivo che ha prodotto la progressiva delegittimazione della politica è stata la cosiddetta “magistratocrazia”, con la progressiva prevaricazione del potere giudiziario sugli altri poteri. A selezionare la classe politica sono state spesso le procure, con fantasiose inchieste “a orologeria”. Tutto questo lo sta pagando il “sistema Paese”, in termini di stabilità politica e di credibilità internazionale.