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TAIWAN, UE, USA

Le guerre del 2024 saranno decise da tre elezioni chiave

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Difficile pensare che le guerre del 2023, Ucraina e Medio Oriente soprattutto, si risolvano nel corso dell'anno. L'esito è condizionato dalle elezioni a Taiwan, nell'Ue e negli Usa.

- La Cina rallenta di Stefano Magni

Esteri 03_01_2024 English Español
Bombardamento russo a Kiev (La Presse)

Risolvere nel nuovo anno gli scenari bellici e di crisi ereditati dal 2023 sarebbe un compito già fin troppo arduo, ma a complicare le cose sembrano aggiungersi nuovi focolai di crisi.

La guerra in Ucraina ha costituito in due anni uno spartiacque che sta determinando profondi cambiamenti globali. Al di là degli sviluppi militari che potrebbero vedere Kiev affrontare gravi difficoltà, dai progressi militari e dal rafforzamento delle truppe russe (abbinato al rapido calo degli aiuti occidentali, destinato a consolidarsi per la campagna elettorale statunitense e per l’esaurimento degli aiuti militari che gli europei possono cedere), le conseguenze globali di quella guerra si consolideranno nel nuovo anno soprattutto sul piano politico.

L’obiettivo occidentale di indurre il mondo a isolare la Russia non solo non è stato conseguito, ma pare che siano Usa ed Europa a venire progressivamente isolati, innanzitutto con un rapido crollo dell’impiego delle valute, dollaro ed euro, nelle transazioni internazionali e poi con una marginalizzazione del ruolo dell’Occidente in diverse aree di crisi.

La rapida adesione dal 1° gennaio ai BRICS di nazioni produttrici di materie prime ed energia e potenze regionali di primo piano (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran ed Egitto) conferma come il Medio Oriente si stia allontanando dai punti di riferimento dell’Occidente in termini economici e politici.

Una valutazione che emerge anche dalla guerra di Gaza, che potrebbe allargarsi a Libano e Siria, ma in cui Israele rischia di trovarsi isolato se non metterà sul tavolo opzioni politiche per il futuro della Striscia. La campagna militare ad oltranza voluta da Netanyahu ha un senso, annientare Hamas e le milizie sue alleate, ma Israele non potrà combattere in eterno minacciando di coinvolgere anche l’Iran, senza elaborare prospettive politiche, specie se i rifornimenti di munizioni dipendono sempre di più dalle forniture statunitensi che potrebbero risultare compromesse o in calo con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali. Che, indipendentemente da chi sarà il vincitore, stanno già minando la residua fiducia negli Stati Uniti da parte dei suoi alleati.

Ucraini e israeliani rischiano infatti di pagare il prezzo delle campagne elettorali americane, come è già accaduto in passato a vietnamiti, iracheni, curdi e afgani. Anche nel braccio di ferro con le milizie Houthi che attaccano i mercantili israeliani, o diretti in Israele, o di proprietà di armatori israeliani, l’Occidente rischia di trovarsi isolato e diviso. Isolati perché all’operazione navale varata dagli Stati Uniti per proteggere le navi e chiamata Prosperity Guardian sembrano aderire solo un pugno di nazioni e tra queste nessuna araba, mentre l’Unione Europea non è riuscita a prendere una decisione in proposito e Italia e Francia manterranno le proprie navi ben staccate dal comando statunitense.

Del resto era difficile aspettarsi che nazioni arabe si mobilitassero contro le milizie Houthi, anch’esse arabe anche se sciite, in un momento in cui arabi e iraniani hanno fatto pace grazie alla mediazione cinese e stanno entrando insieme nei BRICS, soprattutto tenendo conto che gli attacchi Houthi hanno quasi del tutto fatto cessare le attività commerciali nel porto israeliano di Eilat. Inoltre alcune nazioni europee sembrano aver ben compreso il rischio che gli Stati Uniti possano lanciare un attacco contro le milizie Houthi sul territorio yemenita, che suonerebbe come l’ennesimo attacco occidentale ad una nazione araba. 

Gli scenari sembrano quindi destinati a complicarsi ulteriormente e anche la crisi in medio Oriente difficilmente potrà essere risolta dall’inconsistente Europa o dall’attuale amministrazione degli Stati Uniti, considerata troppo appiattita sulle posizioni israeliane e troppo influenzata dalle lotte elettorali interne. Più probabile che Israele tratti con Turchia, Qatar, Cina e Russia una soluzione negoziata del conflitto.

La contrapposizione tra Occidente e l’asse Russia/Cina sta del resto determinando l’inasprimento di altre crisi già esistenti, come quella in Corea dove il regime del Nord viene accusato oggi più di fornire munizioni alla Russia che di non rispettare democrazia e diritti umani. Pyongyang continua quindi a perseguire la campagna di riarmo missilistico e nucleare che la rende in grado di colpire gli Stati Uniti con ami atomiche determinando forti preoccupazioni in Giappone e Corea del Sud, nazioni in cui di parla sempre più apertamente della necessità di dotarsi di armi nucleari a scopo di deterrenza, non fidandosi delle garanzie offerte dal cosiddetto “ombrello atomico” statunitense.

Tamburi di guerra si odono anche nel Mar Cinese Meridionale, per la rinnovata crisi tra Pechino e Taiwan che culminerà con il voto nell’isola-Stato di metà gennaio e per le tensioni crescenti intorno agli arcipelaghi contesi tra tutti gli Stati rivieraschi ma in particolare, in questi giorni, tra Cina e Filippine

In Africa, dopo la cacciata dei francesi e delle missioni UE da Niger, Mali e Burkina Faso il peso dell’Europa è in caduta libera mentre cresce l’influenza turca, cinese e soprattutto russa. Ad aumentare i focolai di crisi ha contribuito pochi giorni or sono l’accordo tra Etiopia e Somaliland che vedrà la regione somala autoproclamatasi indipendente nel 1991 venire riconosciuta da Addis Abeba da cui riceverà aiuti economici, in cambio di uno sbocco al mare che consentirà all’Etiopia di impiegare 20 chilometri di coste somale a uso commerciale e militare (probabilmente il porto di Berbera e dintorni). Un accordo che sta già innervosendo la Somalia, ma che determinerà il ritorno nelle acque del Mar Rosso e del Golfo di Aden della ricostituita Marina etiopica, disciolta nel 1996 ma che di fatto cessò di esistere nel 1991 quando l’Eritrea ebbe l’indipendenza. Difficile credere che il ritorno della potenza regionale etiopica su quelle coste già altamente destabilizzate e contese potrà avere effetti distensivi in un continente che, dal Sudan al Congo, al Sahel, è ricco di conflitti irrisolti.

Infine il 2024 sarà forse decisivo anche per il futuro dell’Unione Europea specie dopo la disastrosa gestione della Commissione von der Leyen risultata incapace di gestire in modo dignitoso la crisi del Covid (con l’ombra di pesanti interessi personali) come il conflitto tra Ucraina e Russia dove l’unica posizione assunta dalla Ue è stata del tutto prona agli Stati Uniti con i devastanti risultati economici ed energetici che stanno facendo crollare il primato europeo nell’economia. L’affermazione di partiti che contestano apertamente le politiche attuate dalla Ue potrebbe rivoluzionare il Parlamento europeo e aprire la strada a robusti cambiamenti di rotta con una nuova Commissione. Al contrario, il mantenimento dello status quo contribuirà probabilmente al rapido declino dell’intera struttura europea.

In definitiva tre tornate elettorali, prima a Taiwan in gennaio, poi in Europa a giugno e infine a novembre negli Stati Uniti, influenzeranno direttamente gli equilibri e le tensioni internazionali.