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IRAQ

Le mille insidie della battaglia di Mosul

L'offensiva irachena su Mosul, partita con slancio, sta già rallentando al suo terzo giorno. Non solo per l'accanita resistenza opposta dai jihadisti dell'Isis, ma anche a causa delle divisioni interne al fronte anti-Isis. Dove curdi, sciiti e regolari sunniti sono alleati, ma tutt'altro che amici. E i raid aerei della Coalizione non aiutano.

Esteri 20_10_2016
Peshmerga curdi

Dopo la prima rapida puntata offensiva che ha permesso alle truppe irachene e ai peshmerga curdi dii avanzare in 36 ore di decine di chilometri fino ai sobborghi di Mosul, l’offensiva di Baghdad tesa a liberare la città in mani allo Stato Islamico da oltre due anni sembra essersi arenata o, quanto meno, ha subito un forte rallentamento.

Molti attribuiscono le cause di questo impasse ai dissapori tra le diverse forze combattenti mobilitate per l’offensiva contro l’Isis. Infatti gli iracheni, che come dice il Pentagono "fin dalla prima giornata di combattimenti sono riusciti a conseguire gli obiettivi prestabiliti", e addirittura "ad anticipare in parte le scadenze previste" dai piani militari, rimproverano i peshmerga per la loro avanzata lenta e piena di cautele. I curdi hanno dovuto affrontare una fiera resistenza e sembrano prendersi tutto il tempo per bonificare, dai tanti ordigni esplosivi lasciati sul terreno dall’Isis, la dozzina di villaggi liberati tra lunedì e martedì. Baghdad accusa i peshmerga di obbligarli a rallentare il passo mentre i curdi contestano agli iracheni di non aver consolidato le posizioni conquistate mettendo così tutto il fronte a repentaglio in caso di contrattacchi dei miliziani jihadisti.

Una preoccupazione corretta soprattutto considerando il valore dei miliziani del Califfato e la rete di tunnel che i curdi hanno trovato intorno a Mosul utilizzati per garantire rifornimenti alle diverse postazioni. 

A proposito di dissapori tra le forze in teoria alleate contro lo Stato Islamico resta alta la tensione tra Baghdad e Ankara per la presenza di un battaglione meccanizzato turco a nord di Mosul (la cui presenza non è mai stata autorizzata dal governo iracheno) che guida circa 3mila miliziani turcomanni ben determinati a entrare in città, mentre i caccia F-16 di Ankara (che non fa parte della Coalizione a guida statunitense) hanno iniziato i raid su Mosul in appoggio ai curdi. Baghdad è ai ferri corti anche con le milizie sciite filo iraniane che il governo non vuole entrino a Mosul, città sunnita, nel timore che si macchino di crimini e rappresaglie sui civili come già accaduto a Tikrit e in altre città liberate. Le Unità di Mobilitazione Popolare (PMU) hanno invece annunciato in una nota che intendono comunque entrare a Mosul insieme alle forze governative.

A rallentare l’attacco pare contribuisca anche il limitato impegno della Coalizione. Se ieri è stato segnalato l’impiego degli elicotteri da attacco statunitensi Apache a supporto delle operazioni di terra per liberare la città il comando alleato che tra i territori di Iraq e Siria i cacciabombardieri hanno effettuato appena 14 attacchi aerei contro l'Isis dei quali solo 6 in Iraq incluso il fronte di Mosul. Un impegno così blando favorirà una resistenza prolungata da parte dell’Isis e dopo la liberazione di 18 villaggi circostanti la città i progressi nei prossimi giorni potrebbero risultare molto lenti.

I jihadisti, del resto, hanno incendiato cataste di pneumatici in città per oscurare la visibilità a ricognitori e droni e hanno dato fuoco anche a diversi pozzi petroliferi oltre a trincee e fissati colmi di greggio seguendo così le orme dei soldati di Saddam Hussein in Kuwait nel 1991. Il Pentagono ha confermato che i civili in città, ancora circa 700 mila, vengono utilizzati come scudi umani dall’Isis, esattamente come la popolazione siriana di Aleppo est da parte dei miliziani jihadisti salafiti ed ex qaedisti (ma questo il Pentagono non lo dice). Del resto l’Isis non ha forze alcuna speranza di vincere la battaglia di Mosul sulla lunga distanza, ma a breve e medio termine può giocare ancora molte carte a suo vantaggio. I suoi nemici sono di fatto davanti a un bivio.

Dei 30mila combattenti messi in campo da Baghdad solo la metà sono autorizzati a entrare in città dove dovranno affrontare un nemico che dovrebbe contare, secondo stime curde, irachene e americane, su 3/6 mila combattenti nel perimetro urbano, in feroci combattimenti casa per casa che provocherebbero elevatissime perdite. Come è già successo in passato, un alto numeri di caduti potrebbe determinare il crollo di interi reparti regolari iracheni ben poco determinati a combattere fino all’ultimo sangue nonostante ogni battaglione sia sostenuto da un team di consiglieri militari alleati.

L’unica alternativa a strappare la città all’Isis metro per metro è distruggere preventivamente le postazioni dell’Isis (o almeno una parte di esse) impiegando su vasta scala raid aerei e artiglieria ma mietendo così moltissime vittime tra i civili che Baghdad ha esortato a restare chiusi in casa. Un’opzione politicamente difficile da sostenere e per Baghdad e la Coalizione, specie dagli anglo-franco-americani che accusano di crimini di guerra le forze di Mosca e Damasco per le modalità con cui si combatte la battaglia di Aleppo.