Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Caterina da Siena a cura di Ermes Dovico
IMMIGRAZIONE/1

L'Europa si divide di fronte all'onda umana dall'Africa

L'emergenza profughi dall'Africa continua ad essere sottovalutata e affrontata da un'Europa in ordine sparso. Angela Merkel e François Hollande non hanno preso atto del problema e continuano a chiedere a Grecia e Italia di gestire la registrazione dei profughi. I paesi mediterranei subiscono l'onda e si sentono abbandonati dal resto del continente.

Politica 27_08_2015
Barcone nel Mediterraneo

La sottovalutazione resta la cifra più evidente dell’emergenza profughi. Ad ogni livello si continua a mettere la testa sotto la sabbia e a scegliere la strada degli interventi-tampone, che non solo non risolvono il problema ma ne allontanano la soluzione.

Ogni giorno, negli Stati esposti sul mare come l’Italia, gli sbarchi si susseguono in maniera pressoché incontrollata e vengono affrontati con solidale rassegnazione e con un pur lodevole sentimento di umanità, che però continua a fare velo a qualsiasi esame razionale della situazione. Grecia e Italia sono stati “bacchettati” da Francia e Germania, che sollecitano loro l’attivazione di centri di registrazione dei profughi. L’asse Parigi-Berlino continua a tagliare fuori Stati come il nostro, che nel cuore del Mediterraneo sono i più colpiti dall’afflusso continuo di extracomunitari in fuga dalla guerra e in cerca di fortuna. Quell’asse testimonia però la debolezza dell’Europa nel suo complesso, incapace di far sentire la sua voce unitaria presso le organizzazioni internazionali come l’Onu, sfilacciata al suo interno e lacerata da molteplici divisioni. 

A poco servono le lezioncine di Merkel e Hollande sulla comune applicazione del diritto d’asilo in Europa. E gli stessi centri di registrazione degli immigrati sono la certificazione del fallimento dell’accoglienza, che dovrebbe avere come ultima tappa da raggiungere quella di una armoniosa integrazione dei profughi. Registrare chi arriva dovrebbe consentire, in Italia e in Grecia, di suddividere i nuovi arrivati tra coloro che hanno diritto e quelli che non possono essere accettati e di distribuirli equamente tra tutti gli Stati europei. Ma la situazione è ormai da tempo sfuggita di mano e, come ha giustamente ricordato il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, l’Italia sta facendo quello che può e anche molto di più, salvando decine di migliaia di vite umane, anche se non è poi in grado di assorbire questi flussi continui, tanto che molte realtà come Lampedusa sono da tempo al collasso. Il responsabile della Farnesina ha quindi messo i puntini sulle i, respingendo l’atteggiamento da primi della classe di Parigi e Berlino: "La logica non può essere quella di applicare regole concepite 25 anni fa, parlo della Convenzione di Dublino, mentre il fenomeno migratorio è cambiato radicalmente nei numeri, nelle origini, nelle dimensioni per i singoli Paesi. Se si continua a dire che ognuno deve sbrigarsela da solo, il rischio è che questo moltiplicarsi e sovrapporsi di immagini terribili, alla fine diventi un macigno sul futuro dell’Europa". 

Gentiloni, che pure si dice convinto che con un governo libico unitario si potrebbero fermare gli sbarchi e sconfiggere gli scafisti, ha ammonito che occorre "condividere e modificare le regole dell’accoglienza, senza dimenticare il lavoro di medio periodo sulle cause profonde: guerre, povertà, dittature" e andare verso "l’europeizzazione della gestione dei flussi, cioè un diritto d’asilo europeo, con definizione comune della titolarità e politiche di rimpatrio comuni", visto che "i migranti arrivano in Europa, non in Italia, Grecia, Germania o Ungheria". Se si attuasse quanto detto dal ministro, si potrebbe anche affrontare il passo successivo, quello dell’integrazione e dell’inserimento nel tessuto sociale degli Stati europei di immigrati legali, che potrebbero diventare una risorsa e che in alcuni contesti già lo sono. Ma fino a quando non si uscirà da questa caotica emergenza, nella quale c’è chi lucra sulle vite dei migranti e un’Europa che si muove in modo caotico e scoordinato, nessun traguardo potrà essere raggiunto.

Anche la Germania ha peraltro i suoi grossi problemi. In Sassonia negli ultimi giorni si sono verificati gravi tumulti, con 30 agenti feriti e panico fra i rifugiati. I richiedenti asilo in terra tedesca dovrebbero essere nel 2015 circa 800.000, stando a cifre attendibili, e la crescente insofferenza di frange di popolazione verso un’invasione senza limiti comincia a destabilizzare alcune aree del Paese. Nonostante questo, Berlino ha temporaneamente sospeso il rimpatrio dei profughi siriani. Altro fronte è quello dell’Est, dove in migliaia hanno tentato, dalla Grecia e dalla Bulgaria, il passaggio in Macedonia, diventata ora terra davvero bollente per la questione migratoria. Molti provengono da Siria, Afghanistan, Iraq.

Tornando alla realtà italiana, nel canale di Sicilia dall’inizio dell’anno sono morti circa 2.500 migranti. La cifra complessiva dei migranti deceduti mentre cercavano di raggiungere l’Italia, la Grecia, la Spagna, è di 3.573. L’Alto Commissariato Onu ha fatto sapere che i migranti e i rifugiati giunti in Europa via mare nel 2015 sono stati finora 292.000. Di questi, 108.000 sono sbarcati in Italia e oltre 181.000 in Grecia. Cifre che confermano quanto già auspicato da più parti: senza una linea unica dell’Europa, a fare le spese di questa emergenza saranno i Paesi del Mediterraneo, con inevitabili ripercussioni su economie anche molto fragili, come quella greca, e con una destabilizzazione complessiva della governance europea.

E allora, se Berlino intende riaffermare la sua leadership sull’Europa, non lo faccia “in” Europa ma lo faccia “per” l’Europa e presso i tavoli internazionali, ponendosi a capo di un coordinamento del Vecchio Continente che sia davvero pluralista e collegiale e che coinvolga soprattutto Stati come il nostro, investiti per primi dall’arrivo quotidiano degli eserciti dei profughi.