Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Caterina da Siena a cura di Ermes Dovico

EDITORIALE

Libia, Afghanistan Renzi concede, Obama promette

La Libia è la nostra maggior fonte di preoccupazione. Non solo a causa della presenza dell'Isis, ma anche delle continui tragedie degli emigranti nel Mediterraneo. Renzi, a Washington, accetta di mantenere il contingente italiano in Afghanistan ancora fino al prossimo inverno. In cambio chiede un maggior impegno Usa per la Libia.

Editoriali 20_04_2015
Renzi e Obama

L’incontro tra Barack Obama e Matteo Renzi a Washington sembra aver portato a nuove intese circa gli impegni militari italiani nelle aree di crisi. Intese che coincidono con la presentazione del Libro Bianco della Difesa (martedì al Consiglio Supremo di Difesa) che stabilisce gli indirizzi della politica militare italiana incluso un ridimensionamento delle ambizioni dell’Italia che in futuro concentrerà gli sforzi sull’area mediterranea.

Crisi come quella libica catalizzeranno in futuro un crescente interesse anche militare da parte di un’Italia che dedicherà solo risorse simboliche a eventuali sforzi internazionali in teatri operativi lontani dagli interessi nazionali. L’accordo raggiunto a Washington  sancisce la disponibilità italiana a lasciare le truppe dislocate a Herat (circa 800 militari con compiti di addestramento e supporto agli afghani) “ancora qualche mese”, come ha detto Renzi, rispondendo così positivamente alla richiesta di Obama che ha deciso di estendere a tutto l’anno prossimo la presenza militare a sostegno di Kabul chiedendo agli alleati di fare altrettanto.

"L'Italia sta al fianco degli Usa e questo porterà le truppe del nostro Paese a restare in Afghanistan più mesi rispetto a quanto non si era immaginato", ha dichiarato Renzi e l’ipotesi è che il contingente, che avrebbe dovuto lasciare Herat a settembre di quest’anno, resti in Afghanistan un altro inverno per ritirarsi la prossima primavera. Una disponibilità che Washington ha chiesto anche ai tedeschi, gli unici assieme agli italiani ad avere mantenuto una significativa presenza militare nel Paese asiatico. 

In cambio di questa disponibilità, Washington sembra pronta a un non meglio precisato maggior aiuto all’Italia nello scenario libico. Obama ha negato che nell’incontro con Renzi si sia parlato di droni in considerazione della richiesta italiana di impiego dei velivoli teleguidati statunitensi per colpire capi e basi terroristiche dello Stato Islamico in Libia. Una richiesta peraltro curiosa tenuto conto che l’Italia schiera in Iraq, contro lo Stato Islamico, 4 bombardieri Tornado a cui il governo nega l’autorizzazione a sganciare bombe e missili. La linea italiana sull’intervento in Libia non è del resto molto chiara. La stampa araba ha riferito nei giorni scorsi che Roma cerca un’intesa con Egitto e Algeria per organizzare un intervento militare, ma al termine dei colloqui, Obama e Renzi hanno annunciato di essere entrambi contrari a un’azione militare sulla nostra ex colonia. 

"La Libia è una zona a rischio terrorismo, siamo in coordinamento con l'Italia e altri partner ma lì non si risolvono i problemi solo con i droni o gli interventi militari; dobbiamo evitare che questi territori vengano usati dai terroristi e serve un governo che controlli i confini e lavori con noi" ha dichiarato Obama ribadendo di fatto che Washington non intende farsi coinvolgere in quel conflitto. “L'Italia è pronta ad assumere la leadership diplomatica per quell'unità nazionale senza cui ogni passo successivo sarebbe inutile, se non pericoloso” ha detto Renzi “perché solo le tribù possono fare la pace" aggiungendo che “ogni ulteriore passo e intervento, anche di pacekeeping, deve essere gestito da un'azione comune europea e internazionale sotto l'ombrello dell'Onu”. Un ritornello già sentito più volte ma del tutto sterile dal momento che finora i nostri alleati si sono disinteressati della Libia mentre le Nazioni Unite non hanno in programma di autorizzare missioni militari di pace o meno. 

Forse il maggiore supporto statunitense all’Italia sul fronte libico si vedrà (“tra qualche settimana” come ha detto Renzi) proprio sotto l’aspetto diplomatico, magari con un pieno appoggio di Washington a sostituire con un italiano l’inviato delle Nazioni Unite per la Libia, lo spagnolo Bernardino Leon, i cui sforzi di mediazione non hanno finora sortito risultati. Questa la possibile interpretazione dell’espressione di Obama circa il fatto che gli Stati Uniti "continueranno a sostenere gli sforzi e il ruolo guida dell'Italia nel Mediterraneo. Lavoreremo in modo estensivo con l'Italia per fronteggiare le minacce dell'Isis”. 

Frasi che potrebbero indicare il prossimo via libera di Washington a fornirci le armi da imbarcare sui 12 droni Predator A e B che l’Aeronautica Militare italiana ha acquistato negli Usa, ma finora rimasti privi di armi. In realtà è stata la stessa industria della Difesa americana a chiedere una maggiore apertura nella vendita agli alleati di queste armi (missili Hellfire e bombe a guida Gps JDAM) per evitare che i clienti si rivolgano ad altri fornitori.

Resta però del tutto evidente che interventi in Libia limitati solo a raid contro i terroristi o all’addestramento delle inaffidabili truppe locali non porterebbero ad alcun risultato concreto per gli interessi italiani che sono incentrati soprattutto sullo stop dei flussi migratori e la sicurezza dei rifornimenti energetici. In questo senso soluzioni a breve termine non sembra siano emerse dall’incontro di Washington. Circostanza che consente all’opposizione di accusare Renzi di essere tornato dagli Usa con in mano un pugno di mosche: senza un vero aiuto sulla Libia e con l’impegno a mantenere le sanzioni alla Russia che danneggiano la nostra economia e a lasciare più a lungo nostre truppe in Afghanistan.

A Washington, Renzi ha parlato anche della crisi determinata dai massicci flussi migratori dalla Libia ricordando che il Mediterraneo “è un mare, non un cimitero” e "il punto chiave è bloccare il traffico degli esseri umani". Su questo fronte, ancor più che su quello militare e della lotta allo Stato Islamico, Roma non può certo attendersi che altri Paesi assumano al suo posto l’unica decisione ragionevole e indifferibile sia sotto il profilo umanitario che degli interessi nazionali: bloccare i barconi appena salpati e riportarli sulla costa libica.

L’ennesima strage di migranti clandestini dimostra ancora una volta l’impossibilità di controllare in modo completo il mare, mentre l’accoglienza incondizionata di chiunque abbia pagato criminali e terroristi, non solo arricchisce i nostri nemici, ma è immorale per uno Stato e soprattutto non è finanziariamente alla portata di un’Italia che taglia servizi e welfare ai suoi cittadini. 

Qualcosa sul fronte del Mediterraneo sembra però muoversi in senso positivo. Venerdì la Marina Militare ha liberato, armi in pugno, il peschereccio italiano Airone sequestrato in acque internazionali da una motovedetta libica del governo islamista di Tripoli. Un segnale che l’Italia non è più disponibile a farsi prendere in giro da jihadisti e criminali?