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CURARE IL COVID A CASA

«Linee guida inefficaci, così ospedali ancora intasati»

«Nessun farmaco, impossibilità a riconoscere gli stadi del coronavirus, rifiuto di intervenire tempestivamente, mancanza di chiarezza sull'impiego dei medici di medicina generale». Le linee guida del Ministero della Salute per la cura domiciliare del Covid appena pubblicate suscitano perplessità. «Non ci si può limitare al solo paracetamolo nelle prime 72 ore, ignorate tutte le cure precoci». Il professor Capucci analizza per la Bussola il documento che dovrebbe essere di aiuto ai medici di famiglia. «E invece continunerà a intasare gli ospedali».

Attualità 09_12_2020

«Il protocollo domiciliare covid sembra scritto per preparare i pazienti ad andare in ospedale». Non usa mezzi giri di parole il dottor Alessandro Capucci, cardiologo (in foto), professore ordinario all’Università delle Marche e già direttore della clinica cardiologica di Ancona. Il giudizio è critico dopo la lettura delle 21 pagine del documento licenziato dagli uffici del Ministero della Salute con un ritardo notevole, visto che ormai siamo nel pieno della recrudescenza del virus. Il protocollo per i medici di base, per consentire loro di avere linee guida su come curare il covid a domicilio doveva essere reso pubblico a settembre. E magari fatto funzionare.

Invece, a ben vedere, non sono stati fatti dei gran passi avanti da marzo ad oggi. Nel testo sono elencati tutti i farmaci da non somministrare, mentre resta in pista solo il paracetamolo. (Leggi QUI il protocollo)

È così professore? Non dice cosa prendere (come fa invece quello della Regione Piemonte), ma che cosa non prendere…
A distanza di nove mesi, paracetamolo era in marzo e paracetamolo è rimasto in dicembre. Dopo 60mila morti direi che sia ormai azzardato continuare su questa strada.

Però almeno viene stabilito il principio che prima si interviene con la medicina di base a casa e meno si intasano gli ospedali…
Già, peccato che nel documento non ci sia niente di tutto questo e rimanga tutto sulla carta: i medici di base non sono realmente coinvolti in queste linee guida.

Perché?
Anzitutto perché il protocollo è scritto tenendo presente i trials clinici sulle sintomatologie più gravi, cioè i pazienti ospedalizzati. Ma è inutile: bisogna concentrarsi su altri stadi della malattia e sui relativi studi.

È il solito criterio ospedalocentrico?
Vogliamo insistere in questa strada? È dannoso e si perdono fondi per una direzione che non ci porta da nessuna parte.

Nel testo presentato il 30 novembre almeno il focus è il paziente a casa.
Descritto però con sintomatologie insufficienti. Le pare che sia sufficiente parlare di “malessere generale, febbre e tosse secca”?.

No?
No. A noi risulta che la sintomatologia sia molto più vasta: diarrea, cefalea, forti dolori toracici, perdita di gusto e olfatto, febbre persistente. Se dobbiamo descrivere i sintomi, li dobbiamo descrivere tutti e non solo tre. Ma la cosa più grave è un’altra.

Quale?
Che si tralascia completamente la prima fase della malattia, quella dove bisognerebbe intervenire in maniera decisa per evitare la polmonite. Nel testo infatti si parla della polmonite interstiziale, ma si saltano tutti i giorni in cui il virus ha lavorato anche silente nel corpo. Dopo la prima fase ad esempio, compare spesso un lasso di tempo di un paio di giorni di relativo benessere. È quello un falso amico che può portarci alla polmonite.

Ma a quel punto il medico può fare ben poco…
Non è detto, si cura, ma comunque deve curare una evoluzione della malattia. Dovrebbe essere invece riconosciuta l’abilità dei medici di base di impedire la seconda fase agendo sulla prima, ma in questo documento non appare nulla in questo senso. Sembra che al Ministero non siano in grado di riconoscere che c'è una Fase 1 e questo si vede anche nella tabella in cui si divide la sintomatologia in 5 stadi di gravità: asintomatico o presintomatico, lieve, moderato, severo e critico.

Ebbene?
È una schematizzazione che ha un’utilità vicina allo zero. La malattia critica, per i sintomi con i quali è descritta è una situazione di pre morte e anche le descrizioni per la fase severa sono vicine al decesso.

Scusi, dove sarebbe il problema?
Che in un protocollo per la Medicina generale è completamente fuorviante e inappropriato ai dati clinici che invece dobbiamo ricercare per curare in fase precoce il virus.

I medici come lo recepiranno?
Mi chiedo intanto se lo recepiranno. Da un lato si afferma che la loro presenza è capillare sul territorio, dall’altro c’è scritto che devono “giocare” (usa proprio questo termine) con il personale delle USCA e con eventuali unità di assistenza presenti sul territorio. Insomma: si dice che hanno un ruolo, ma non si definisce quale ruolo sia, perché devono integrarsi con altri medici.

Se, come si dice, sono così fondamentali non dovrebbero essere loro a fare la diagnosi e trattare i loro pazienti che seguono da tempo a domicilio?
Dovrebbe essere così, ma sembra di no. Infatti non si dice che devono andare a casa a visitare e a diagnosticare.

Sta dicendo che i medici di famiglia non è previsto che vadano a domicilio?
Lei lo trova scritto? Si parla di teleassistenza oppure di chiamare il 112.

Così è inutile…
Così nessuno fa niente oppure tutti agiscono tardivamente. C’è ancora grande confusione su chi debba intervenire a domicilio. Senza contare che il documento perde tre pagine per spiegare le caratteristiche del saturimetro, ma anche questo è fuori da ogni logica: il puilsossimetro è uno strumento che a volte può anche essere fuorviante e poi lo strumento non può fare diagnosi. Come già accaduto coi tamponi si dà ancora una volta importanza agli strumenti e si toglie importanza alla clinica. Questo è l’errore più grande delle linee guida.

E non siamo ancora arrivati alle terapie proposte…
Qui, più che di errore, parlerei di assenza. Di quali cure stiamo parlando?

Il documento nasce per questo. Scusi, chi va a curare il paziente a casa allora che cosa ha in mano?
Le leggo quello che si dice a pagina 10: vigile attesa; misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno tramite pulsossimetria; trattamenti sintomatici (ad esempio paracetamolo); appropriate idratazione e nutrizione. Fine. Sono valutazioni molto generiche, che non vanno a evidenziare nulla di specifico per pazienti che hanno il coronavirus.

Dalle prime terapie sono esclusi tutti gli altri farmaci che invece voi medici usate con successo. A cominciare dall’eparina, per non parlare dell’idrossiclorochina.
Antibiotici, cortisone, ma anche le vitamine D e la lattoferrina. Ci è rimasto solo lo zinco, per fortuna…

Per la verità cortisone e antibiotici sono prescritti dopo 72 ore dalla comparsa dei primi sintomi.
Infatti, questo spiega tante cose. Ormai è chiaro che il fattore vincente della prima fase è la tempestività. Dopo 4 o 5 giorni di sintomi tutto diventa compromesso e non resta che chiamare il 112. Queste linee guida sono scritte con il proposito di deospedalizzare, ma l’effetto sarà quello di continuare a intasare gli ospedali. Mi chiedo come si possa essere così miopi.

Perché secondo lei questa miopia?
Perché, come è successo per l’idrossiclorochina, questi protocolli sono scritti da gente che legge i lavori scientifici, ma non ha nessuna esperienza clinica sul campo. Dovrebbero sapere che in questa fase di esposizione al virus, la prima, è impossibile avere studi randomizzati su farmaci o trattamenti. E che il virus si combatte sul campo.