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ORA DI DOTTRINA / 99 – LA TRASCRIZIONE

Lo stato originario (III parte) – Il testo del video

Dio aveva previsto, fin dall’origine, la generazione tramite l’unione sessuale tra uomo e donna. Essa non è conseguenza del peccato, che invece ha prodotto «una certa deformità della concupiscenza smoderata» (S. Tommaso). La questione del piacere.

Catechismo 14_01_2024

Continuiamo e concludiamo oggi il nostro percorso sullo stato originario (qui e qui le precedenti puntate). Abbiamo fatto questa parentesi, che di fatto costituisce un capitolo a sé, ma che nel nostro percorso è introduttiva e fondamentale per quanto riguarda poi la trattazione del peccato originale. Non possiamo comprendere il peccato originale e le sue conseguenze se prima non abbiamo chiara la condizione dell’uomo nello stato originario, cioè come l’uomo è “uscito” dalle mani di Dio, con quali caratteristiche, qual era la sua natura e qual era la sua elevazione. Dobbiamo chiedere il soccorso della Rivelazione, perché la nostra esperienza dell’uomo non corrisponde più a quella originaria.

Attenzione, la natura non è stata cancellata, non è cambiata la natura umana, ma sono venute meno alcune caratteristiche che invece erano presenti nello stato originario e che oggi non sono più accessibili alla nostra esperienza personale e dell’insieme umano.

La scorsa volta abbiamo concluso con una rapida panoramica sulla conservazione dell’individuo; abbiamo trattato l’immortalità del corpo non come caratteristica propria del corpo, ma come comunicazione di una virtù particolare dell’anima che Dio aveva dato e che custodiva in qualche modo il corpo nell'incorruttibilità e lo rendeva quindi immortale. Abbiamo visto anche la questione della necessità del cibo: l’uomo aveva bisogno di cibarsi per conservarsi nella propria condizione.

Oggi vediamo invece la conservazione della specie umana, quindi non solo del singolo individuo. Andiamo a vedere, per concludere questo capitolo, le quæstiones 98, 99, 100 e 101 che prendono in considerazione le condizioni della prole, cioè come sarebbero nati i discendenti dei nostri progenitori, come saremmo stati sostanzialmente noi se fosse perdurata la condizione originaria.

Prendiamo allora la quæstio 98 della prima parte della Summa Theologiæ. Subito, nell’art. 1, san Tommaso mette in chiaro: «Nello stato di innocenza per moltiplicare il genere umano ci sarebbe stata la generazione; altrimenti sarebbe stato veramente necessario il peccato dell’uomo, dal quale sarebbe derivato un bene così grande» (I, q. 98, a. 1). Interessante quest’affermazione. San Tommaso ci conferma che ci sarebbe stata la generazione. Cosa vuol dire? Vuol dire che la moltiplicazione della specie umana ci sarebbe stata proprio con il concorso degli uomini stessi, cioè in sostanza, dopo Adamo ed Eva, gli uomini non sarebbero stati creati direttamente da Dio senza la mediazione umana. E san Tommaso dice che, se non fosse stato così, allora «sarebbe stato veramente necessario il peccato dell’uomo, dal quale sarebbe derivato un bene così grande». Cioè, se la generazione umana fosse una conseguenza del peccato e non fosse invece così fin dall’origine, allora san Tommaso dice che sarebbe stato necessario il peccato, perché la generazione è «un bene così grande». Perché? Perché è la partecipazione di noi uomini all’opera di Dio. Quale opera? Non solo all’opera della creazione in generale, alla quale collaboriamo certamente con Dio da questo punto di vista, ma di quella creazione specifica che è l’uomo, che è il vertice della creazione materiale, dove poi si apre verso la creazione spirituale, che è quella del mondo angelico. Abbiamo già visto questo particolare posizionamento dell’uomo all’interno della creazione. Dunque, partecipare alla generazione è un bene grande, è un bene enorme. Ed essendo un «bene così grande», come dice san Tommaso, è un bene presente fin dall’origine, non è una conseguenza del peccato.

Nell’art. 2, san Tommaso specifica ulteriormente che questa generazione sarebbe avvenuta tramite il rapporto sessuale, cioè l’unione, il coniugio tra l’uomo e la donna. Ci fermiamo un po’ di più sull’art. 2, perché san Tommaso tocca diversi temi su cui è importante soffermarsi, data l’enorme confusione su queste tematiche. Prima di tutto san Tommaso mostra di conoscere l’opinione di alcuni Padri e Dottori della Chiesa, per esempio il Nisseno e il Damasceno, che invece sostenevano che la generazione umana non sarebbe avvenuta tramite l’unione sessuale. Ma egli dice: «Questa opinione non è ragionevole. Infatti le attribuzioni di ordine naturale non sono state né sottratte né conferite all’uomo a motivo del peccato» (I, q. 98, a. 2). Allora, san Tommaso ci dice che le attribuzioni che appartengono alla natura umana non sono state sottratte dal peccato, non sono venute meno, così come non sono state conferite, non sono state aggiunte a causa del peccato. Che cosa vuol dire? Vuol dire che noi troviamo come caratterizzazione dell’ordine naturale il fatto che l’uomo è maschio o femmina. Questo essere maschio o femmina è caratterizzato da che cosa? Da una specifica caratterizzazione sessuale e genitale, che ha una sua funzione propria. Dunque, dice san Tommaso, se questo è l’ordine di natura che noi constatiamo, questo ordine di natura era presente fin dalle origini, perché il peccato originale non ha cambiato la natura umana, non ha aggiunto o tolto nulla delle attribuzioni di ordine naturale. Vedremo invece che cosa ha combinato il peccato originale, anche se lo potete già intuire.

San Tommaso, dunque, è il grande difensore dell’ordine naturale, che non è stato rovesciato, mutato dal peccato. C'è invece un altro l’aspetto da considerare. Lo troviamo poco più avanti: «Il secondo aspetto da considerare è una certa deformità della concupiscenza smoderata. Questa sarebbe mancata nello stato d’innocenza, quando le forze inferiori sottostavano totalmente alla ragione» (ibidem). Quello che mancava in origine nella generazione non era l’unione tra l’uomo e la donna per via sessuale, perché l’uomo e la donna erano persone sessuate fin dall’origine. È invece questa «certa deformità della concupiscenza smoderata» che è entrata con il peccato originale. Nello stato d’innocenza, ci dice san Tommaso, c’era ordine. Tutte le forze inferiori erano ordinate alla ragione dell’uomo; e la ragione dell’uomo era ordinata a Dio.

Dunque, tutto quello che deriva dalla concupiscenza, quell’aspetto di turpitudine legato alla sessualità, quel disordine che si viene a creare e che l’uomo sperimenta, non era presente nello stato originario. Ed è probabilmente per questo che alcuni Padri hanno respinto l’idea che nello stato originario la generazione avvenisse per via sessuale. Perché? Perché, nella nostra esperienza, sempre, purtroppo, la sessualità è legata a questo aspetto di un disordine della sfera concupiscibile: non abbiamo esperienza di un ordine tale, di una purificazione tale, sebbene chiaramente le virtù connesse alla temperanza, quindi tutte le virtù della sfera della castità e il grande bene che è il matrimonio – il matrimonio sacramentale – facciano sì che l’unione sessuale possa essere vissuta per un grande bene; dunque, non solo un male minore, ma un bene ordinato.

San Tommaso, nella risposta alla terza obiezione, va un po’ più in profondità a spiegare questa deformità della concupiscenza. «L’uomo diviene bestiale nel rapporto sessuale in quanto diviene incapace di moderare con la ragione il piacere dell’atto e il bollore della concupiscenza. Ma nello stato d’innocenza non c’era nulla che sfuggisse al freno della ragione; non perché fosse minore il piacere dei sensi, come dicono alcuni (poiché sarebbe stato tanto maggiore il diletto sensibile quanto più pura era la natura e più sensibile il corpo); ma perché il concupiscibile non si sarebbe gettato così disordinatamente su tale piacere, essendo regolato dalla ragione» (ibidem). E qui arriva al punto chiave: «Alla ragione non spetta di rendere minore il piacere dei sensi, ma di impedire che la facoltà del concupiscibile aderisca sfrenatamente al piacere; e “sfrenatamente” qui significa oltre i limiti della ragione» (ibidem). Dunque, il problema non è il piacere; il problema è questo “sfrenatamente”, cioè questa facoltà della nostra anima, il concupiscibile, che si getta appunto sfrenatamente sul piacere calpestando la ragione dell’uomo, calpestando la parte più elevata che dovrebbe invece fungere da dominus di tutto l’essere umano.

Dunque, il problema non è un piacere più o meno intenso. Anzi, san Tommaso ci dice che nello stato originario, proprio per la purezza che c’era, il corpo era anche più sensibile, quindi il piacere era anche maggiore, c’era più diletto. Perché il piacere è qualcosa che Dio ha posto come accompagnamento, nella vita dell’uomo, di quegli atti che gli erano necessari per la conservazione di sé o della specie, cioè l’alimentazione e l’unione sessuale. Queste due dimensioni, proprio perché puntano a un bene grande, cioè la conservazione dell’individuo e la conservazione della specie, Dio le aveva condite, diciamo così, con l’olio del piacere: un piacere ordinato, un piacere dove il concupiscibile rimaneva ordinato e sottomesso alla ragione. Qualcosa che, ahinoi, non è quasi più sperimentabile. Immaginate la fatica che facciamo, per esempio, sul lato dell’alimentazione, dove molto facilmente mangiamo per il piacere e non per la conservazione dell’individuo, a cui si accompagna il piacere: quindi invertiamo le cose. Analogamente, in modo ancora più forte, questo avviene come disordine nella sfera della sessualità.

Conclude san Tommaso: «Questo è il senso delle parole di sant’Agostino [si riferisce al De Civitate Dei], che non vogliono escludere dallo stato d’innocenza l’intensità del piacere, ma l’ardore della libidine e il turbamento dell’anima» (ibidem). Dunque, questo sconvolgimento, la presenza di questa libido disordinata turba l’anima. Anziché sostenerla, accompagnarla perché si elevi, la turba, l’aggancia e la porta verso il basso. È la grande lotta che l’uomo deve vivere in tutte le dimensioni del suo essere, inclusa la sessualità, in questa vita. Ed è bene ricordarlo, per non cadere né in una negativizzazione, demonizzazione della sfera della sessualità, di sapore gnostico, cataro, ma nemmeno nell’ingenuità di chi tratta della sessualità come se fossimo nello stato originario e non tiene conto che questo disordine c’è. Questo disordine colpisce profondamente l’uomo; e data la forza appunto, la vis legata alla sfera sessuale, capite che il disordine legato a questa sfera è molto più forte ed è in grado, più di ogni altro, di distogliere l’uomo dalla sua vocazione alla contemplazione, dalla sua elevazione, per incatenarlo al piacere fine a sé stesso, che poi appunto diventa ciò che viene ricercato nell’atto sessuale, stravolgendo l’ordine proprio dei fini dell’unione sessuale.

Nella risposta alla quarta obiezione, san Tommaso dà un’indicazione interessante. L’unione tra l’uomo e la donna nello stato originario non solo non avrebbe registrato questa concupiscenza disordinata, ma «il germe virile poteva allora introdursi nell’utero della donna senza lederne la verginità». Cioè, qui san Tommaso [citando sant’Agostino] ci dice una cosa grossa: non essendoci il dolore, non possiamo immaginare una dimensione di dolore né nel rapporto stesso né nel parto. Dunque, questo rapporto sarebbe stato tale da custodire la verginità stessa della donna. Qui dovrebbe risuonarvi il grande dogma della verginità di Maria prima del parto, durante il parto e dopo il parto. Cioè, noi oggi diciamo che la Madonna è rimasta vergine nonostante sia madre, ma è un modo di intendere le cose che nasce dalla nostra prospettiva, che è sbagliata. La Madonna è rimasta vergine proprio perché madre e perché ha concepito per opera dello Spirito Santo. Cioè, Dio non viola, non lede l’integrità della Sua creatura, da nessun punto di vista. E in origine ha voluto che fosse così anche all’interno della relazione uomo-donna. Vediamo dunque tanti elementi, in una prospettiva veramente bella, elevata, capace di custodire l’ordine naturale e però di comprenderlo in una luce nuova, che non è la luce dell’esperienza umana, purtroppo segnata dal peccato originale e dall’esperienza concreta dei nostri peccati.

Nelle quæstiones successive, dalla 99 alla 101, san Tommaso si chiede: come sarebbero state le condizioni di questa discendenza? Come sarebbero nati i nuovi uomini? E anzitutto san Tommaso – in ottemperanza a quel principio fondamentale che abbiamo enunciato, e cioè che l’ordine di natura viene custodito, conservato, non è stravolto, mutato dal peccato originale – dice che sarebbero nati dei bambini. Cioè, l’uomo non sarebbe nato adulto. Perché è nell’ordine delle cose che l’uomo compaia nello stato di infante, di bambino, così come l’animale compare nello stato di cucciolo; e cresca. Inoltre sarebbero nati uomini e donne, perché Dio ha posto quest’ordine nella creazione, maschi e femmine.

Per quanto riguarda le condizioni morali della prole, alla quæstio 100, san Tommaso ci dice: «La giustizia originale, in cui fu creato il primo uomo, era un accidente appartenente alla natura della specie [cioè apparteneva a tutta la specie umana questa giustizia originale, questo ordine dell’uomo in sé stesso, perché l’uomo era ordinato a Dio ed era elevato alla vita soprannaturale], non come una realtà prodotta dai principi essenziali della specie, ma come un dono elargito da Dio a tutta la natura umana» (I, q. 100, a. 1). Vediamo che questa giustizia originale apparteneva alla natura umana, ma non come una proprietà della natura umana bensì come un dono che Dio aveva concesso agli uomini, alla natura umana. «Per tale motivo dunque i figli sarebbero stati simili ai loro genitori anche nella giustizia originale» (ibidem). Cioè, la generazione avrebbe trasmesso anche lo stato d’integrità e lo stato di giustizia originale dell’uomo.

Nella risposta alla seconda obiezione, san Tommaso dice che ciò non vuol dire che la grazia sarebbe stata naturale: la grazia è data da Dio e dunque non è un prodotto della natura. E tuttavia, dice che sarebbe stata trasmessa alla generazione, però non «per virtù del seme», cioè per virtù dell’atto generativo, ma sarebbe stata «data all’uomo non appena infusa l’anima razionale» (ibidem). Cioè, Dio avrebbe dato a tutta la discendenza di Adamo ed Eva la grazia fin dal momento dell’infusione dell’anima razionale, che noi oggi sappiamo essere già al momento del concepimento. Questa era la grande dote di tutta la discendenza di Adamo ed Eva, di noi uomini, se non ci fosse stata la caduta, come vedremo.

Tuttavia, san Tommaso, nell’art. 2, dice: attenzione, questo non vuol dire che i bambini nello stato originario sarebbero stati confermati nella grazia, perché confermati in grazia non lo erano neanche i progenitori. Confermati in grazia – Adamo ed Eva e la loro discendenza – sarebbero stati solo una volta che la loro anima avrebbe visto l’essenza divina, con la visione di Dio. Terminato quel lungo tempo di permanenza nel Paradiso terrestre, l’uomo sarebbe stato assunto, portato in Cielo per vedere faccia a faccia Dio. Lì sarebbe stato confermato in grazia, non prima. Dunque, né i progenitori né la loro discendenza sarebbero stati confermati in grazia. Avrebbero avuto la grazia, avrebbero conservato e trasmesso lo stato originario, ma non la conferma in grazia: questa è frutto poi della visione beatifica, che nella nostra situazione c’è dopo la morte. Nella situazione di Adamo ed Eva non ci sarebbe stata tecnicamente la morte, come separazione dell’anima e del corpo, ma appunto un’ “assunzione” al Cielo.

Anche per quanto riguarda la scienza, san Tommaso ci dice che si conserva la legge propria dell’ordine naturale. Cioè, i bambini non sarebbero nati perfetti nella scienza: quello era un dono dato ai progenitori; avrebbero invece imparato. Imparato come? Avrebbero imparato dall’esperienza, dall’indagine, dall’insegnamento. La trasmissione di quello che i progenitori avevano per scienza infusa sarebbe passata tramite l’insegnamento alla discendenza. Perché questo? Perché c’è un’analogia molto bella con le schiere angeliche, con l’ordine angelico. Abbiamo visto che nelle gerarchie ordinate, nei nove cori gerarchici delle creature angeliche, c’è un processo di illuminazione dal coro più alto a quello successivo e via via fino all’ultimo coro degli angeli; quindi dai serafini agli angeli. Abbiamo parlato di una “cascata di luce”. È come una narrazione degli angeli nei cieli, che narrano la gloria di Dio, per richiamare il Salmo 18; e annunciano appunto questa gloria di Dio, dal coro più alto al coro più basso.

Analogamente, gli uomini avrebbero trasmesso la conoscenza di tutto quello che Dio aveva creato. Ad Adamo, ai progenitori questa conoscenza era stata data: era stato dato tutto il “pacchetto” completo; e questa conoscenza sarebbe stata trasmessa, in modo analogo a quello dei cori angelici, seguendo però la modalità di conoscenza dell’uomo, che è una conoscenza che parte dai sensi. Questo è molto bello: l’uomo avrebbe cooperato con Dio non solo per la generazione, ma anche per l’educazione e l’istruzione, la comunicazione del vero. In una modalità diversa da oggi, nel senso che nell’educazione non ci sarebbe stata la dimensione del frenare la concupiscenza, indirizzare l’irascibile, insomma tutta quella fatica che ogni genitore, ogni educatore conosce nel crescere i figli, ma in realtà poi anche nel dominare e gestire sé stessi.

Prima di chiudere, vi chiederei di dare un’occhiata a quella sezione del Catechismo della Chiesa Cattolica che parla appunto dello stato originario e intitolata “L’uomo nel paradiso”. Siamo sempre all’interno del commento al Credo, nella sezione della creazione di tutte le cose visibili e invisibili e in particolare della creazione dell’uomo. Abbiamo visto la sezione “Maschio e femmina li creò”. E poi c’è la sezione IV (“L’uomo nel paradiso”) che include i numeri dal 374 al 379. In questi numeri, il Catechismo ci dice che i nostri progenitori sono stati creati in questo stato originario, che era appunto una condizione di «tale amicizia con il suo Creatore» e «tale armonia con se stesso e con la creazione, che saranno superate soltanto dalla gloria della nuova creazione in Cristo» (CCC, 374). Dunque, una situazione di amicizia con Dio, di armonia con Dio, con sé stessi e con la creazione. Da notare che non è un caso che citiamo queste tre sfere: rotto il rapporto con Dio, decadono anche le altre due armonie, quella dell’uomo con sé stesso e quella dell’uomo con la creazione.

Quando oggi parliamo di una prospettiva “ecologica”, dobbiamo tenere presente questo aspetto: non c’è possibilità di armonia con la creazione, col cosmo, se non c’è un’armonia dell’uomo in sé stesso; e questa non è possibile se non c’è un ritorno all’amicizia con Dio nella vita della grazia.

Il Catechismo ci parla anche di «uno stato di santità e di giustizia originali» (CCC, 375; cf. Concilio di Trento, Sess. 5a, Decretum de peccato originali, canone 1: DS 1511) e cita il Concilio di Trento, quindi stiamo parlando di un dogma della nostra fede. «La grazia della santità originale era una partecipazione alla vita divina» [ibidem; cf. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 2: AAS 57 (1965) 5-6]. Questo stato originario, in tutte le sue dimensioni che abbiamo cercato di descrivere, era la conseguenza dell’amicizia con Dio, cioè della partecipazione alla vita divina.

Al n. 376, il Catechismo riassume così: «Tutte le dimensioni della vita dell’uomo erano potenziate dall’irradiamento di questa grazia». Dunque, il centro è la grazia, è la vita in Dio, è la vita di amicizia con Dio; questo è il centro propulsore da cui si irradiano tutti gli altri beni che costituiscono la santità e la giustizia originali. E quali sono? «Finché fosse rimasto nell'intimità divina, l'uomo non avrebbe dovuto né morire, né soffrire. L'armonia interiore della persona umana, l'armonia tra l'uomo e la donna, infine l'armonia tra la prima coppia e tutta la creazione costituiva la condizione detta “giustizia originale”» (CCC, 376). Quindi, la giustizia originale era questa armonia in tutte queste dimensioni. Essendoci intimità, armonia con Dio, c’era l’armonia della persona in sé stessa, un ordine interno, l’armonia tra l’uomo e la donna, e l’armonia tra gli uomini e la creazione.

Si vede qual è il significato profondo del termine “giustizia” all’interno della teologia. È  un significato molto profondo. E la giustizia si radica nel giusto rapporto con Dio, che è il cardine che regge tutti gli altri rapporti giusti dell’uomo: in sé stesso, nella relazione uomo-donna, nella relazione col prossimo, nella relazione con la creazione.

Leggiamo il n. 377 del Catechismo: «Il “dominio” del mondo che Dio, fin dagli inizi, aveva concesso all'uomo, si realizzava innanzi tutto nell'uomo stesso come padronanza di sé. L'uomo era integro e ordinato in tutto il suo essere, perché libero dalla triplice concupiscenza [qui il riferimento è alla Prima lettera di Giovanni, 2: le famose tre concupiscenze, cioè la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, la superbia della vita, a sintetizzare tutto il disordine che si è creato poi nell’uomo] che lo rende schiavo dei piaceri dei sensi [la prima concupiscenza], della cupidigia dei beni terreni [la seconda] e dell'affermazione di sé contro gli imperativi della ragione [la terza]».

Dunque, vediamo che torna quell’idea che abbiamo visto in san Tommaso: il problema non è il piacere dei sensi, ma è la schiavitù al piacere; il piacere non è più qualcosa che accompagna, che “condisce” un ordine, ma diventa in qualche modo il fine che si vuole intenzionare in un atto. E qui si crea il disordine. Riguardo alla cupidigia dei beni terreni, il problema non sono i beni terreni, che Dio ha creato, ma il disordine con cui vengono ricercati, con cui li si vuole trattenere. E poi c’è l’affermazione di sé contro gli imperativi della ragione, cioè la superbia che ci porta a un’affermazione di noi stessi disordinata, disarmonica, in rottura con Dio, col prossimo e con la creazione.

La prossima volta introdurremo il capitolo importantissimo sulla caduta, cioè sul peccato originale.



ORA DI DOTTRINA / 98 – La trascrizione

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Nello stato originario gli animali erano dominati dall’uomo e gli erano docili, secondo l’ordine armonico insito nella creazione. Con il peccato originale questo ordine è stato rotto. La questione del cibarsi, prima e dopo la caduta.

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31_12_2023 Luisella Scrosati

Lo stato originario è la condizione in cui Dio ha creato Adamo ed Eva. Nello stato originario l’uomo non vedeva l’essenza divina. Ma, spiega san Tommaso, «conosceva Dio in un modo più elevato del nostro», sia in ordine all’intelletto che alla volontà.