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L'ATTACCO SUICIDA

Londra pugnalata al cuore da un terrorista

Londra è stata colpita per la seconda volta in 12 anni dal terrorismo. Stavolta a Westminster, storica sede del Parlamento, cuore della democrazia britannica. I siti jihadisti vicini all'Isis festeggiano. Attentato ad alto impatto mediatico, nel giorno della commemorazione delle vittime dell'attacco a Bruxelles dell'anno scorso e del vertice della coalizione anti-Isis

Esteri 23_03_2017
Primi soccorsi e polizia dopo l'attacco

Un'auto lanciata sulla folla sul centralissimo ponte di Westminster e poi l'aggressione a un poliziotto, col pugnale, di fronte alla storica sede del Parlamento. Londra è stata colpita per la seconda volta in 12 anni dal terrorismo. Benché l’identità dell’attentatore sia ancora ignota (inizialmente si pensava a Trevor Brooks, giamaicano convertito all’islam radicale, ma la notizia è stata smentita dal fatto che sta ancora scontando la sua pena in carcere), la matrice islamica appare ormai chiara, sia per le modalità dell’attacco, sia per le celebrazioni subito partite sui siti jihadisti legati all’Isis.

Cinque morti, uno dei quali è il terrorista, 40 feriti (fra cui una donna italiana, di Roma), un bilancio che potrebbe allungarsi di ora in ora perché dieci feriti versano in gravi condizioni. Certamente meno sanguinoso dell’attentato a Londra del 7 luglio 2005 (56 morti, in quell’occasione), l’attacco di ieri è però di fortissimo impatto mediatico. E’ stato lanciato di fronte a Westminster, cuore della democrazia britannica, nel giorno in cui il governo May era in aula per rispondere al question time della Camera dei Comuni, lo stesso giorno dell’anniversario dell’attentato all’aeroporto di Bruxelles e mentre a Washington DC i rappresentanti dei 68 Paesi della coalizione anti-Isis erano riuniti a discutere sulla strategia contro lo jihadismo. L’attentatore ha dunque agito di fronte agli occhi di tutto il mondo, conquistando una visibilità globale e immediata.

La modalità dell’attacco ricorda da vicino quella degli attentatori palestinesi in Israele nell’Intifadah delle auto e di quella dei coltelli del 2014-15, oltre che gli attacchi di Digione, Nizza e Berlino dell’anno scorso. Alle 14,40, ora di Londra, il terrorista si è lanciato con la sua auto a zig zag a tutta velocità sull’affollato ponte di Westminster, falciando tutti quelli che avevano la sventura di trovarsi sulla sua strada. Poi, uscito dal veicolo, si è avventato su un poliziotto, l'agente Keith Palmer, di guardia alla sede del Parlamento britannico, accoltellandolo a morte, prima di essere colpito e ferito mortalmente a sua volta dalle forze dell’ordine. L’attentatore, tuttora sconosciuto, è morto mentre veniva trasportato in ospedale. E’ ancora fitto il mistero sulla sua identità. Essendo molto simile al radicale islamico Trevor Brooks, l’opinione pubblica britannica aveva iniziato a polemizzare sull’inefficienza dei servizi e sulla mancata sorveglianza dei potenziali terroristi. Poche ore dopo, però, è giunta la smentita ufficiale, da parte dell’avvocato di Brooks che ha dimostrato la sua presenza in carcere. Un alibi di acciaio, garantito dalle guardie carcerarie inglesi.

A celebrare sono stati, nell’immediato, i siti legati all’Isis. Si tratterebbe, dunque, di un’ennesima esecuzione del piano annunciato nel 2014 da Al Adnani (ora defunto), ex portavoce dello Stato Islamico: “Se non siete in grado di procurarvi un ordigno esplosivo o una pallottola – disse Adnani – allora scegliete un infedele americano o francese o qualunque altro loro alleato e rompetegli la testa con una pietra, o accoltellatelo, investitelo con un’auto, buttatelo giù da un’altura, strangolatelo o avvelenatelo”. Questa volta, l’attacco è avvenuto, appunto, approfittando di una serie impressionante di circostanze coincidenti: la presenza in Parlamento del governo May, il vertice della coalizione anti-Isis a Washington, le celebrazioni europee del primo anniversario dell’attentato a Bruxelles. Non da ultimo: il luogo scelto, uno dei più visitati al mondo, simbolicamente importantissimo e garanzia di presenza di un gran numero di video e fotocamere amatoriali, media e giornalisti per immortalare l’evento.

Il presidente statunitense, Donald Trump, ha ricevuto la notizia in diretta e l’ha annunciata al vertice della coalizione anti-Isis. Dopo le dichiarazioni di solidarietà all’alleato britannico, l’amministrazione ha ribadito la nuova misura di sicurezza (condivisa da Londra, per altro) che vieta il trasporto di computer portatili e tablet a bordo di aerei provenienti da tutti i paesi mediorientali e africani a rischio terrorismo. Per il segretario di Stato Rex Tillerson, l’Isis è indebolito, ma deve essere “annientato”. Una netta presa di distanza dalle affermazioni della precedente amministrazione Obama, secondo cui l’Isis avrebbe dovuto essere “contenuto e indebolito”. E nel novembre del 2015, proprio il giorno dopo che Obama aveva dichiarato quanto l’Isis fosse “contenuto” avesse “perso terreno”, i terroristi dello Stato Islamico attaccarono a Parigi nel loro più sanguinoso attentato finora condotto in Europa.

Contenuto, indebolito, costretto ad arretrare o “annientato” sul campo che sia lo Stato Islamico, il pericolo del lupo solitario che agisce in Europa e negli Usa ci sarebbe comunque. E i controlli agli aeroporti, benché utili a sventare attentati su aerei e dirottamenti (anche se le tecniche di controllo sono sempre tarate sui terroristi del passato), non servono a fermare jihadisti che sono (nella maggioranza dei casi) già residenti nelle nostre città. Per cercare di prevenire il lupo solitario servirebbe qualcosa di “scandaloso” da un punto di vista della correttezza politica: fermare la predicazione all’odio. Nel Regno Unito, all’indomani dell’attentato di Al Qaeda a Londra del 2005, Tony Blair aveva fatto approvare il Terrorism Act nel 2006. Poiché condannava anche “l’incoraggiamento al terrorismo” e la predicazione dell’odio, il Terrorism Act aveva sollevato da subito un vespaio di polemiche in difesa della libertà di espressione e (trattandosi di terrorismo di ispirazione islamica) anche di religione. Ma l’attentatore che lancia l’attacco suicida è solo l’ultimo anello della catena e quando si muove è già troppo tardi. La sua vera “arma”, al di là dei mezzi rudimentali che può usare (e potrebbero essere, come si è visto, qualunque cosa), è l’ideologia. Ed è questa che deve essere combattuta. Cercare di combattere la predicazione all’odio, senza sopprimere la libertà di religione: è il rebus che, da anni, le democrazie occidentali cercano di risolvere. Evidentemente non l’hanno ancora sciolto.