Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
CHIESA

Ma la Cei ha ancora un senso?

Ma, alla fine, la Cei ha aderito o no? Ed eventualmente in quale modalità? Sono state domande inevitabili osservando ieri a San Pietro l'arrivo della Marcia dei Radicali per l'amnistia e la giustizia, in nome di papa Francesco e di Marco Pannella. 

Ecclesia 07_11_2016

Sul sito dei radicali c’è ancora il testo della «convinta adesione» che, per bocca del portavoce don Ivan Maffeis, la Conferenza episcopale italiana ha dato lo scorso 19 ottobre alla Marcia per l’Amnistia, la Giustizia e la libertà, intitolata a Marco Pannella e papa Francesco. La marcia si è svolta ieri, terminata in piazza San Pietro con l’Angelus del Papa, ma tuttora non è chiaro cosa ne è stato di quella adesione. In realtà quell’annuncio aveva provocato forti reazioni negative, anche da un gruppo di vescovi, dopodiché sulla vicenda è calato il silenzio. Avvenire ha continuato a seguire con simpatia l’iniziativa dei Radicali, ha parlato dell’adesione e della annunciata presenza in piazza delle Acli e di Libera, ma della posizione della Cei più nulla. È un giochino che si ripete: qualche responsabile dice una cosa, qualcun altro ne dice una diversa, alla fine diventa impossibile sapere con chiarezza quale sia la posizione ufficiale. 

Nello specifico del problema delle carceri poicome avevamo già detto a suo tempo – risulta davvero sconcertante che i vertici dell’episcopato italiano sentano che per avere un peso devono andare a rimorchio dei radicali ignorando che da secoli – e non solo da decenni – la Chiesa è presente nell’ambito delle carceri con un lavoro straordinario di assistenza spirituale e materiale: sia in modo istituzionale, con i cappellani, sia con centinaia e migliaia di volontari che ogni settimana testimoniano quella possibilità di essere perdonati che papa Francesco ha richiamato ancora ieri per il Giubileo dei carcerati.

Piuttosto che rivendicare e valorizzare questa presenza davanti a chi sfrutta ideologicamente il problema delle carceri, la Cei appare invece più preoccupata di condurre un dialogo che coincide piuttosto con l’uniformarsi alla mentalità dominante.

Se sul tema delle carceri qualcuno potrebbe giustificare la mancanza di un indirizzo chiaro con l’imbarazzo creatosi a seguito dell’improvvida uscita di don Maffeis a Radio Radicale e relative reazioni, nulla di questo si può invocare per il referendum costituzionale del 4 dicembre. Il cardinale Angelo Bagnasco, chiudendo lo scorso 29 settembre il Consiglio permanente della Cei, aveva detto che questo referendum «è troppo importante: attiene all’impianto della Repubblica, dello Stato, non è una cosa che si cambia tutti i giorni facilmente». Aveva quindi detto: «Speriamo che i cittadini si rendano conto dell’importanza particolare, unica, di questo referendum che richiede quindi la partecipazione della sovranità popolare con il proprio diritto di voto, in modo particolare per l’oggetto del referendum». Quindi l’auspicio era che «le persone si informino personalmente, non si accontentino del sentito dire, di un’opinione o di uno slogan, se ne sentono tanti».

Dopodiché il silenzio: è un appuntamento importante, la posta in gioco è alta, ne va del futuro dell’Italia, ma quale sia la posta in gioco, che cosa può significare per la Chiesa e quali siano i criteri con cui informarsi e scegliere il voto, non lo ha detto né il cardinale Bagnasco né alcun altro responsabile della Cei: il silenzio assoluto. Solo singoli vescovi per iniziativa personale nelle rispettive diocesi hanno parlato del referendum, ma come frutto di una sensibilità personale non certo per un giudizio condiviso con altri confratelli. Probabile che qui abbiano giocato anche le amicizie politiche di alcuni, viste con sospetto da altri.

Alla fine però l’immagine è quella di una Cei paralizzata, con tensioni tra presidenza e segreteria che sono ormai di dominio pubblico: una Cei incapace di offrire ai cattolici di questo Paese almeno degli elementi di giudizio su una questione che lo stesso presidente dei vescovi ha definito di grande importanza per il Paese.

Ma poi la Cei (o perlomeno il suo segretario) ritrova la parola e anche il tempo di accodarsi ai pubblici inquisitori per crocifiggere padre Giovanni Cavalcoli a causa del ben noto intervento su terremoti e castigo divino dai microfoni di Radio Maria. È una vicenda che – pur prendendo spunto da espressioni poco precise – è stata abilmente manipolata in modo biecamente ideologico, e in cui non pochi ecclesiastici si sono buttati per dare man forte a chi lavora per distruggere la Chiesa.

Basterebbero questi pochi esempi per chiedersi che senso abbia la Cei e se oggi abbia ancora senso la sua esistenza.