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INTERVISTA A BUX

«Messa in latino, contributo all'unità dei cristiani»

«La diffusione della Messa in forma straordinaria non può fermarsi: è il segno della rinascita del sacro nei cuori. Ed è un contributo all'unità dei cristiani, soprattutto gli Ortodossi». La Bussola intervista don Nicola Bux, mentre proseguono i rumors su una cancellazione del motu proprio Summorum pontificum: «Visto il target di chi frequenta la cosiddetta Messa in latino, giovani e convertiti, le parole del Papa sulla rigidità di chi è attaccato alle forme del passato sono una contraddizione».
- MESSA ANTICA, GRAZIE A MEDJUGORJE, di Guido Villa

Ecclesia 24_06_2021

Proseguono i rumors non smentiti dalla Santa Sede sulla volontà di Papa Francesco di introdurre restrizioni alla libertà di celebrare la Messa tridentina. La Bussola ne parla con il teologo don Nicola Bux.

Don Nicola, che cosa pensa di queste voci insistenti?
Sicuramente è innegabile un contesto di avversione al rito romano antico che denota una crisi di fede. In un saggio del 1959 Joseph Ratzinger osservava che la Chiesa sta diventando «una Chiesa di pagani, che chiamano ancora sé stessi cristiani ma che in realtà sono diventati da tempo dei pagani». Che succederebbe se un patriarca ortodosso ricusasse il rito bizantino? Il paradosso è che questo accade mentre il papa postula un “regime sinodale”, come si usa dire, nel quale l’intera Chiesa dovrebbe avventurarsi, cominciando dalle periferie.

Papa Francesco si scaglia spesso contro i “cristiani rigidi”. Paradossalmente, l'atteggiamento recente di una parte del Vaticano nei confronti dei cattolici tradizionalisti non tradisce una certa eccessiva rigidità contro di loro?
Cosa si deve intendere per rigidità? fermezza di adesione alla dottrina della fede e della morale? Sappiamo che a lui non piace l’identità in genere e quella cattolica in specie. Ha scritto che preferisce il pensiero incompleto, ovvero fluido, quindi debole. Così va a farsi benedire la virtù della fortezza, quindi la fermezza. Ricorda Newman che in questo periodo, «la tradizione divina affidata alla Chiesa infallibile fu proclamata e conservata molto più dai fedeli che dall’episcopato». 

Quando Papa Ratzinger promulgò il documento, il patriarca di Mosca Alessio II si congratulò con il Pontefice. In un'intervista rilasciata ad Andrea Tornielli il 29 agosto 2007, il capo supremo dell'ortodossia russa affermò che «il recupero e la valorizzazione dell'antica tradizione liturgica è un fatto che noi salutiamo positivamente».
Le Chiese Ortodosse conservano questo senso della Tradizione, che la Chiesa cattolica arricchisce col Magistero. Infatti, il patriarca russo riteneva l’atto di Benedetto XVI un contributo all’unità dei cristiani, che riceve linfa proprio dalla tradizione custodita: l’effetto è la resistenza alle persecuzioni, grazie alla fermezza della fede, che si alimenta proprio alla liturgia. Le storia delle Chiese orientali, impedite dal Comunismo ad esercitare la missione, hanno resistito grazie alla liturgia tradizionale assiduamente celebrata. Una liturgia di ferro e non di caucciù – come scrisse Civiltà Cattolica nel 2000 – è quella che può resistere e trasmettere la fede. Lo abbiamo visto anche durante il contagio da Covid19. Ben venga dunque la “rigidità”, ovvero la fortezza per l’attuale resistenza dentro e fuori la Chiesa.

L'antico Rito romano e le liturgie di tradizione bizantina hanno caratteri comuni?
Avendo studiato, insegnato e celebrato il rito bizantino, posso dire che gli studenti ortodossi si ritrovavano più nella forma del rito romano antico che in quella nuova post-conciliare, proprio perché hanno non pochi caratteri comuni: per esempio la preparazione del sacerdote e l’offertorio, in una parola il senso del sacro. Il punto è che pochi conoscono la liturgia bizantina: per esempio, non hanno mai visto la preparazione e la vestizione del sacerdote, o anche il suggestivo rito dell’offertorio. Chi invece conosce queste due fasi nel rito romano antico, e poi accede al bizantino, subito s’accorge delle somiglianze e capisce le ragioni del compiacimento del patriarca.

L'eventuale abolizione del Motu Proprio Summorum Pontificum avrà ripercussioni sul dialogo ecumenico con le Chiese orientali separate della comunione con Roma?
Da uno sguardo all’ecumenismo attuale, non sembra che si muova qualcosa, al di là degli abbracci e dei sorrisi. Quello che Lei ricorda è vero, ma proprio la Chiesa russa mostra “rigidità” dottrinale e morale, almeno in alcuni aspetti. Papa Francesco, in un briefing giornalistico ad alta quota, ebbe a lodare la tradizione liturgica degli Orientali; poco tempo dopo, indicò tra le tentazioni, “il ripiegamento che va a cercare nelle forme del passato le sicurezze perdute; e la pretesa di quanti vorrebbero difendere l'unità negando le diversità, umiliando così i doni con cui Dio continua a rendere giovane e bella la sua Chiesa...”  (Discorso alla 66 Assemblea generale della Cei, 19 maggio 2014). Non so a chi si riferisse, visto che il target di coloro che frequentano la Messa nella forma straordinaria è composto prevalentemente da giovani, e che l’unità e la diversità sono costituite da tradizione e innovazione: dunque si contraddisse. Quel che è certo è che i convertiti sono attratti dall’antica liturgia; e che dire delle numerose vocazioni sacerdotali e religiose che ne scaturiscono?

Il Motu Proprio del 2007 ha prodotto una certa riconciliazione liturgica, consentendo di coesistere pacificamente ecclesiastici e laici che pregano secondo la tradizione liturgica più remota ed ecclesiastici e fedeli che seguono i riti riformati dopo il Vaticano II. Perché interrompere questa pace liturgica?
Il legame tra il sensus fidelium e il magistero si trova in maniera particolare nella liturgia. L’espressione spesso ripetuta da papa Francesco sentire cum Ecclesia: sentire, provare e percepire in armonia con la Chiesa, ha bisogno di un’aggiunta: di tutti i tempi. Benedetto XVI disse in Francia, che aveva inteso favorire la comunione e la pace nella liturgia, col Motu Proprio Summorum Pontificum. Se oggi si proibisce quanto fino a ieri era considerato sacro, chi assicura, che ciò che oggi insegna la Chiesa rimanga vero anche domani? Nella sacra liturgia è in gioco la fede, e "In materia di fede i battezzati non possono essere passivi”

Il Motu Proprio Summorum Pontificum viene universalmente considerato come uno dei principali atti di governo di Papa Benedetto XVI. Abolire questo suo documento giuridico non rappresenterebbe una violenza morale contro un anziano così illustre e - almeno a parole - così stimato anche da tanti presuli e porporati?
Il Motu Proprio Summorum Pontificum sottintende il fatto che i soggetti del sensus fidei sono i membri della Chiesa che celebrano un «culto razionale» e che accettano il ruolo della ragione illuminata dalla fede nelle loro convinzioni e nelle loro pratiche. Nella Chiesa odierna, invece, c’è chi intende il culto divino un intrattenimento umano, a sfondo sociologico. Siamo davanti a un culto irrazionale. Ecco il dissenso sulla liturgia. Poi, prescindendo dalle inchieste che dimostrano il continuo inesorabile sviluppo della forma straordinaria del rito romano, non si deve dimenticare che nella storia della Chiesa spesso non è stata la maggioranza, ma piuttosto una minoranza a vivere autenticamente la fede a renderle testimonianza. Il pericolo odierno è che la Messa, la spiritualità, diventino antropocentriche e finiscano per farci celebrare noi stessi, come è avvenuto tra i protestanti. La diffusione della forma straordinaria, come ogni vera riforma, è inarrestabile come il mare, è il segno della rinascita del sacro nei cuori. In questo Ratzinger è stato preveggente. La “riforma della riforma” è la ripresa di quella brace che covava sotto le ceneri di una liturgia antropocentrica.