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RIFLESSIONI POST RENZI

Nasce il Renzi II Ce lo hanno scelto i mercati

Nasce il Renzi II mascherato da governo Gentiloni. Nel segno della stabilità chiesta dai mercati. Che poi consiste in una continuità nel gradimento del grande potere economico-finanziario transnazionale. La carriera del riconfermato Ministro dell'Economia Padoan ce lo dimostra. Ignorato l'imponente voto popolare.

Editoriali 14_12_2016
Il ministro Pier Carlo Padoan

Non solo in Italia ma un po’ dappertutto è un brutto momento per la democrazia, e quindi per la libertà. In ultima analisi è questo il primo insegnamento che si ricava dal rapido passaggio che ieri si è compiuto dal governo Renzi al governo Renzi II mascherato da governo Gentiloni. Qualcuno era rimasto sorpreso per come né i proverbiali “mercati” né Bruxelles si fossero smossi alla notizia della vittoria del “no” al referendum italiano e alle susseguenti dimissioni di Renzi.  Adesso se ne possono capire senza fatica i motivi: all’insegna della stabilità la sconfitta del “sì” era già stata messa in conto, e la soluzione di ricambio era già pronta. 

Un Renzi che voleva fare anche il ministro degli Esteri aveva inviato alla Farnesina Paolo Gentiloni come sua controfigura vedendo perciò in lui (e a ragione) l’uomo giusto al posto giusto. La  perfetta riuscita di Gentiloni in tale ruolo gli ha spalancato adesso le porte di palazzo Chigi. L’uomo è notoriamente mansueto, ma ben sapendo che anche un destriero mansueto talvolta scarta, Renzi e chi per lui non vogliono comunque sorprese. Se ce ne fosse bisogno provvederà perciò ad ammansirlo Maria Elena Boschi, premiata per la sconfitta del suo referendum con la nomina a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ossia in pratica a vice-premier.

Come un allegro schiocco di frusta, a governo insediato è puntualmente giunto il segnale di consenso di Bruxelles, che ha fatto sapere che non darà per il momento seguito alle sue riserve sul bilancio dello Stato italiano. Il nuovo governo di Roma resta così sotto una spada di Damocle pronta a cadere se non dovesse rigare diritto. E’ d’altra parte significativo che al passaggio da un governo all’altro un nome da subito intoccabile sia stato quello di Pier Carlo Padoan. E’ lui infatti il primo e principale garante di quella stabilità che i grandi giornali e telegiornali ci raccomandano quasi ogni giorno come ciò che soprattutto i “mercati” si attendono da noi.

Al d là di ogni altra differenza c’è una cosa che queste autorità decise dai “mercati”, da Mario Draghi a Pier Carlo Padoan, hanno in comune, ossia il tono perentorio e un po’ schifato di chi ha scritto in faccia: “Non sono tenuto a spiegarvi niente e non ho alcun bisogno di piacervi perché qui sono e qui resto che lo vogliate o no. Però vi faccio ugualmente la cortesia di dirvi quattro parole in croce che comunque non capirete”. 

D’altra parte è proprio così: non li abbiamo scelti noi. Ce li hanno scelti i “mercati”.  E di regola ce li hanno rimandati a casa dopo lunghe carriere altrove. Padoan è stato dal 2001 al 2005 direttore per l’Italia del Fondo Monetario Internazionale e dal 2007 al 2014 vicesegretario generale dell’Ocse di cui nel 2009 divenne anche “capo economista”. Questi impegni sono andati di pari passo con una grande prossimità con Massimo D’Alema, con Giuliano Amato con  la loro Fondazione Italianieuropei della quale Padoan è stato a lungo direttore. La nomina da parte di Letta a presidente dell’Istituto Centrale di Statistica, Istat, lo stava già riportando a Roma quando su pressione di D’Alema, Renzi lo nominò ministro dell’Economia nel suo governo. Tra l’altro al momento della nomina Padoan si trovava a Sidney, in Australia, da dove non poté rientrare in tempo per partecipare insieme agli altri neo-ministri alla cerimonia del giuramento del nuovo governo; il che conferma quanto altri lo volessero in quell’incarico, e quindi non avesse alcun bisogno di stare a Roma a perorare la propria causa.    

Quello di Padoan è un itinerario professionale e politico che merita di venire conosciuto perché è un vero e proprio “spaccato” della sostanza del potere nel mondo in cui viviamo. Dà infatti un’idea di quali sorprendenti intrecci si siano consolidati negli ultimi decenni attorno ai poli dell’economia finanziaria del nostro tempo. E perciò di quali muri si ergono dinnanzi alla volontà popolare quando essa muove, come è accaduto nel caso del referendum italiano, in direzioni non gradite all’ordine costituito del grande potere economico transnazionale. Se poi si va a vedere quale  contenuto abbia la “stabilità” che viene richiesta al nostro come ad altri Paesi ci si accorge che in fin dei conti consiste in sostanza in una continuità nel gradimento del grande potere economico-finanziario transnazionale. Non importa che un governo sia capace o meno di far fare al Paese almeno qualche passo avanti verso l’uscita dalla crisi; la “stabilità” basta e avanza. Dal governo Monti in avanti, pur nel variare dei personaggi in primo piano, dall’esame dei percorsi professionali e politici dei ministri-chiave e dei sottosegretari-chiave ciò risulta molto evidente.  

Al di sotto di tale livello resta poi aperto un varco, esso pure tendenzialmente continuo, al procedere da un governo all’altro di programmi  di cultura “liquida”: dal cosiddetto gender e alla diffusione dell’aborto legale da un lato, e all’eutanasia dall’altro. Bene lo spiega Roberto Marchesini nel suo Uomo, donna, famiglia e “gender”. Per strano che ciò sia – essendo la loro ispirazione in effetti nient’affatto “di sinistra” – sono programmi che risultano cari agli eredi delle ideologie di sinistra rivoluzionaria del secolo scorso. Questi ambienti vengono così compensati della loro perdita di qualsiasi rilevante influsso sulla gestione del potere economico. Il caso del governo Gentiloni, dove una delle poche variazioni di rilievo è la nomina a ministro della Pubblica Istruzione di Valeria Fedeli, conferma quanto il primo livello di cui si diceva sia pronto a concedere a questo ambiente.  

Che cosa si può fare di fronte a uno schieramento del genere, pronto anche ad ignorare un imponente voto popolare come quello del referendum del 4 dicembre scorso? A prima vista poco, ma in prospettiva molto sia a livello economico che a livello sociale e culturale. Soltanto però se si è disposti a camminare per un po’ anche nel deserto.