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L'ECONOMIA DI FRANCESCO

Nel "Patto di Assisi" non c'è spazio per Cristo

La tre giorni virtuale di Assisi dedicata alla "Economia di Francesco” si è conclusa fra tanti slogan e la decisione ad avviare un processo che porti a trovare nuovi strumenti per superare le storture economiche e sociali nel mondo. Una prospettiva tutta orizzontale, ribadita anche nel videomessaggio finale di papa Francesco, che ribalta la visione di sviluppo umano integrale definita da Paolo VI nella Populorum Progressio e da Benedetto XVI nella Caritas in Veritate.
- L'IMPOSIZIONE DELLO "SVILUPPO SOSTENIBILE", di Maurizio Milano

Economia 22_11_2020 English Español

Tra l’invito a sognare un futuro felice con una “nuova” economia e le proposte di soluzioni già abbondantemente viste, si è conclusa ieri la tre giorni della “Economia di Francesco”, l’incontro virtuale di Assisi voluto da papa Francesco con la partecipazione di circa duemila giovani economisti e ricercatori da 115 paesi. Ed è stato proprio papa Francesco a chiudere l’evento con un lungo videomessaggio in cui ha voluto sottolineare cosa si aspetta da questo incontro che, ovviamente, «è la spinta iniziale di un processo» («non dimenticatevi questa
parola: avviare processi – tracciare percorsi, allargare orizzonti, creare appartenenze…).

Il futuro da costruire, come ci fosse un foglio bianco tutto da disegnare, è stato senza dubbio il filo conduttore della tre giorni, in cui si è dato per scontato che il mondo attuale è da buttare, anzi è già sull’orlo del precipizio; e dove la pandemia attuale appare provvidenziale perché faciliterà i cambiamenti necessari, già previsti a causa dell’allarme climatico.

«Abbiamo bisogno di un cambiamento, vogliamo un cambiamento, cerchiamo un cambiamento», ha detto il Papa citando il suo discorso del 2015 ai movimenti popolari. Ad Assisi sono echeggiati tanti slogan - morte al Pil pensiamo alla felicità, lotta alle disuguaglianze, sognare è un diritto umano, e così via - e diverse proposte che replicano quelle che già vanno di moda per l’ecologismo climatico: transizione energetica, green economy e così via. «Zero emissioni di carbonio, zero concentrazioni di ricchezza, zero disoccupazione», invoca Muhammad Yunus, il “banchiere dei poveri”, inventore del microcredito in Bangladesh. E l’immancabile Jeffrey Sachs, una carriera da economista all’Onu e oggi direttore dell’Earth Institute alla Columbia University nonché principale consigliere della Santa Sede, propone il modello delle socialdemocrazie nord-europee, «le società più felici» perché «hanno la più bassa disuguaglianza»: tante tasse e tanti servizi per tutti.

Ma guardando alla Convention di Assisi due questioni di fondo saltano agli occhi.

La prima è che si dà per scontato che viviamo nel peggiore dei mondi possibili. «L’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista – ha detto papa Francesco nel videomessaggio sempre autocitandosi, questa volta dall’enciclica Laudato Si’ - e colpisce nostra sorella terra, tanto gravemente maltrattata e spogliata, e insieme i più poveri e gli esclusi. Vanno insieme: tu spogli la terra e ci sono tanti poveri esclusi».
I tanti relatori di questa tre giorni sono tutti sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda: il problema sta nei paesi industrializzati, schiavi del perverso ciclo produzione-consumo, che sfruttano selvaggiamente la natura depredando le risorse e creando quindi maggiore povertà.

I dati reali però ci raccontano una storia ben diversa: gli indicatori ambientali sono decisamente migliori nei paesi industrializzati, dove l’inquinamento diminuisce, la superficie forestale cresce, c’è una maggiore tutela della biodiversità. Ma più in generale le condizioni di vita in tutto il mondo sono nettamente migliorate, e anche i paesi più poveri – salvo alcune eccezioni – sono meno poveri rispetto a 50-100 anni fa. Prova ne è che sono ormai molti decenni che non registriamo gravi carestie. Ciò non vuol dire che tutto vada perfettamente, tutt’altro: non possiamo non registrare lo scandalo di molte popolazioni ancora denutrite e prive di condizioni dignitose di vita quando oggi ci sono risorse, alimentari e non, più che sufficienti per tutti gli abitanti del pianeta.

Ma i fattori che determinano questa situazione sono diversi e più complessi che non il semplice ed erroneo teorema per i cui “i poveri sono poveri perché i ricchi sono ricchi”. E alcuni di questi fattori chiamano in causa direttamente la responsabilità delle culture tribali e delle leadership corrotte degli stessi paesi poveri. Pensare che tutto si risolva con un massiccio trasferimento di ricchezze dal nord al sud del pianeta – che è anche un obiettivo degli accordi sul clima – è pura illusione, anzi è la via sicura per impoverire tutti.
E quando si parla di risorse consumate – si dice sempre che il 20% della popolazione consuma l’80% delle risorse – si dimentica di dire che quel 20% di popolazione crea anche le risorse e produce ricchezza. Per fare un esempio, in Italia si raccolgono 75 quintali di riso per ettaro, in Africa mediamente cinque. Per uscire dalla povertà è importante aiutare a moltiplicare quel 5 che viene prodotto in Africa, ma la strada indicata dal “Patto di Assisi” porta invece ad abbassare quel 75 prodotto in Italia. Il problema di Assisi è che, se si sbaglia la diagnosi, la terapia sarà letale.

Da notare poi che negli interventi principali non si è mai accennato al vero problema strutturale che sta alla base della crisi economica dei paesi sviluppati, ovvero la denatalità. E legato a questa il problema della crisi della famiglia, come fonte di capitale umano, sia per la generazione della vita sia per l’educazione. Neanche il Papa vi ha fatto un cenno, come se l’unico problema fosse il sistema liberal-capitalistico.

Ma c’è un secondo punto che è ancora più problematico, perché riguarda proprio il fondo della questione. Ad Assisi si è sottolineato molto che va superata la logica del Pil, che l’importante è il benessere e la felicità che vanno misurate in altro modo. Ciò che lascia perplessi è che la felicità viene demandata a nuove strutture, a nuovi stili di vita o a sistemi – come quelli già citati da Sachs – sostanzialmente socialisti. Ma se questa impostazione è comprensibile in chi viene da una cultura materialista, atea, è invece incomprensibile e inaccettabile in un ambito che fa riferimento a San Francesco e alla Dottrina sociale della Chiesa.

Anche nel messaggio di papa Francesco si fa riferimento al dialogo, all’inclusione dei poveri, a modelli di produzione diversi che aiutino lo sviluppo umano integrale, sempre rimanendo però in una prospettiva orizzontale, sempre puntando su nuove strutture umane. Dell’enciclica di Paolo VI Populorum Progressio cita il passaggio in cui afferma che «lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» (no. 14). Ma di quell’enciclica dimentica che essa ha lo scopo di affermare che «l’annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo», come ha invece ricordato Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate (no. 8).

Da Assisi purtroppo parte il messaggio per cui - attestato che la ricchezza non fa la felicità - bisogna trovare gli strumenti giusti per rendere l’uomo felice. È l’opposto di quanto ha scritto Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, quando ha ricordato che l’economia e la finanza sono semplicemente degli strumenti, che possono essere usati bene o male a seconda dei riferimenti morali dell’uomo. «Perciò - dice Benedetto XVI - non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l'uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale» (no. 36). In altre parole è la conversione a Cristo il punto decisivo, così come lo è stato per San Francesco. Ma ad Assisi non se ne è parlato.