Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Atanasio a cura di Ermes Dovico

CAPIRE LE PAROLE DEL PAPA

Noi e Lutero Parola di Dio non solo Scrittura

Scrittura e Parola di Dio non sono la stessa cosa. La Scrittura è il testo dei libri ispirati dallo Spirito, la Parola di Dio è la pienezza di significato che assumono quando sono predicati sotto la sua azione. La Scrittura è la stessa, ma la Parola di Dio che ne salta fuori è un’altra e spesso vicendevolmente inaccettabile.

Editoriali 31_10_2016

Nell’intervista del 28 ottobre sulla Civiltà Cattolica in vista del viaggio a Lund per l’inizio del cinquecentesimo anniversario della Riforma, Papa Francesco, alla domanda «Che cosa la Chiesa cattolica potrebbe imparare dalla tradizione luterana?», risponde a tamburo battente: «Mi vengono in mente due parole: “riforma” e “Scrittura”». La Nuova BQ ha già commentato la categoria “riforma”, aggiungendo qualcosa - ma molto poco - su “Scrittura” perché questa categoria sembra più condivisibile. E invece è più insidiosa di “riforma”.

Su “Scrittura” Papa Francesco così si spiega: «La seconda parola è “Scrittura”, la Parola di Dio. Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo».

La frase andrebbe precisata, ma con una premessa di metodo: il Papa non è una “macchina dogmatica”, ma una persona normale e bisogna concedergli di dare risposte a braccio o risposte che tengono conto del tipo di comunicazione nel quale si trova: ora è evidente che una intervista non è né una enciclica né una definizione dogmatica e richiede un linguaggio immediato. Il pericolo viene dopo: costruire delle teorie o delle prassi a partire da questo linguaggio come se non fosse una intervista, ma una enciclica o una disposizione canonica. Proprio per evitare questo, credo siano necessarie alcune precisazioni.

La frase riportata passa immediatamente da “Scrittura” a “Parola di Dio”: non sono la stessa cosa! La Scrittura è il testo dei libri ispirati dallo Spirito Santo; la Parola di Dio è la pienezza di significato che questi vengono ad assumere quando sono letti, predicati, commentati sempre sotto l’azione dello Spirito. Ora la Scrittura è la stessa per protestanti e cattolici, ma la Parola di Dio che ne salta fuori è un’altra e spesso è vicendevolmente inaccettabile.

Infatti l’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini (30.09.2010) di Benedetto XVI ha ricordato la complessità della nozione cattolica della Parola di Dio e, al suo interno, il posto delle Scritture. Al n. 7 è spiegato che “Parola di Dio” è un’espressione “sinfonica”, che indica: a) il Logos fatto carne, cioè la persona di Gesù Cristo; b) la creazione come «libro della natura» in cui l’unico Verbo si esprime; c) l’intera storia della salvezza sino alla pienezza dell’incarnazione e del mistero pasquale; d) la parola predicata dagli Apostoli e «trasmessa nella Tradizione viva della Chiesa»; e) «infine, la Parola di Dio attestata e divinamente ispirata è la Sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento».

È chiaro che la Sacra Scrittura è nella Parola di Dio, ma il testo della Scrittura come tale non è tutta la Parola di Dio, la quale comprende la rivelazione di Dio nel mondo e la tradizione ecclesiale, cioè le definizioni dogmatiche; il patrimonio dei concili anche nel non strettamente definito; le tradizioni di vita discrete ma forti come l’obbedienza, la castità, la devozione mariana ecc. È chiaro che a questo punto la Parola di Dio in Lutero e nella Chiesa Cattolica non possono coincidere ed è chiaro che a questo livello la Chiesa Cattolica ha ben poco da imparare da Lutero.

Veniamo ora al nocciolo del problema partendo da uno scritto/esempio base di Lutero: il De captivitate babylonica ecclesiae praeludium (1520). Qui egli rivede tutto il sistema sacramentale con una sorta di rasoio: “Questo sacramento ha o non ha una esplicita istituzione testuale nella Scrittura del Nuovo Testamento?”. Il risultato è che si salvano solo due sacramenti (Battesimo ed Eucaristia) ed un terzo a metà e poi ripudiato (Penitenza).

Lutero dunque usa la Scrittura facendola diventare Parola di Dio con tre procedimenti molto poco cattolici.

- Il primo è che di fatto considera il cristianesimo una “religione del Libro”, mentre «nella Chiesa veneriamo grandemente le sacre Scritture, pur non essendo la fede cristiana una “religione del Libro”» ma «la “religione della Parola di Dio”, non di una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente» (Verbum Domini 7). Se nel cristianesimo tutto dipendesse solo dalle Scritture, bisognerebbe estromettervi Cristo che non scrisse nulla...

- Il secondo è che, limitandosi alla sola Scriptura, si suppone di arrivare a una primitiva purezza scevra da interpretazioni storiche o attuali, cioè si suppone di agire nel “vuoto ermeneutico”: ora tale vuoto ermeneutico non si dà, perché ogni volta che si cita una Scrittura, che la si accosta ad un’altra, che da qui si passa a come devono essere la Chiesa o la vita cristiana ecc., la si interpreta. E così Lutero, alla interpretazione “papista” dei padri e dei concili spesso da lui sbeffeggiata, sostituisce... la sua!

- Infine le due operazioni di cui sopra generano un uso in cui la Scrittura è come “esterna” alla Chiesa, quasi per costruire e giudicare la Chiesa dal di fuori.

Certo, si può concedere la buona fede o la non piena avvertenza di arrivare a questi risultati, ma se «Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo», è così che l’ha messa, con criteri cattolicamente discutibili per non dire inaccettabili.

Se non possiamo prendere esempio da Lutero quanto alla “Parola di Dio”, possiamo prendere esempio da lui quanto allo zelo verso la “Scrittura” nel tradurre la Bibbia in tedesco e con ciò avviando a un più diretto contatto con il testo biblico. È vero che a quei tempi la Chiesa cattolica sembrò un poco in ritardo, ma va ricordato il ministero ecclesiale che in un mondo di analfabeti aveva formato dei credenti i quali attraverso la parola viva e le immagini avevano acquisito una conoscenza biblica di certo superiore all’attuale. E poi anche Lutero non fu uno stinco di santo, a volte piegando i testi alle sue teorie. Ad esempio, per provare che l’Eucaristia come promessa e testamento del Signore dà tranquillità quale che sia il nostro turbamento interno, citò il Salmo 22,5 così: «Tu hai preparato davanti ai miei occhi una mensa contro tutti i miei tormenti»: ora il testo parla di “nemici” e non di “tormenti”, ma a Lutero facevano comodo i tormenti e non si fece scrupolo di una traduzione irrispettosa (Un sermone sul Nuovo Testamento cioè sulla santa Messa - 1520, n. 37).

Dunque lo zelo verso le Scritture sarebbe di Lutero mentre la Chiesa Cattolica ne sarebbe un poco lontana? Assolutamente no. Però la Chiesa Cattolica si accosta alle Scritture in un modo diverso che mi piace collegare a due citazioni autorevoli.

La prima è di san Bonaventura († 1274): «Tutta la Scrittura è come una cetra; l’ultima corda da sola non fa armonia, ma insieme alle altre. Similmente, un luogo della Scrittura dipende da un altro, anzi mille luoghi si riferiscono ad un luogo solo» (Collationes in Hexaemeron 19,7). Estendendo l’immagine bonaventuriana, la Scrittura deve fare armonia non solo al suo interno, ma anche con questo mondo, con le definizioni conciliari, con quanto nella vita cristiana è saldamente acquisito o maturato (ad esempio i tre gradi dell’ordine sacerdotale che nel NT non sono così chiari) ecc.: «la Scrittura va proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile» (Verbum Domini 7).

La seconda citazione è di un teologo dei nostri tempi, Yves Congar († 1995): «La Chiesa non riceve il contenuto della sua fede dalla Scrittura: essa ve lo ritrova, il che è ben diverso ... la realtà stessa è molto più profonda di qualunque enunciato» (Vera e falsa riforma nella Chiesa. Jaca Book, Milano 1972, p. 377). È una affermazione ardita, che sembra negare la 1Cor 15,3-4: «(...) Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture (...) fu sepolto (...) è risorto il terzo giorno secondo le Scritture». In realtà non è semplice trovare nell’AT dei testi esatti che parlino della morte, sepoltura e risurrezione non di qualcuno ma di Gesù Cristo: se Paolo ve li trova è perché prima ha trovato il Cristo vivente nella Chiesa. E questo procedimento vale per tanti altri contenuti di ieri e di oggi.

In conclusione, il Concilio Vaticano II ha chiesto di aprire più largamente i tesori della Bibbia perché in questo modo la liturgia, la predicazione e la teologia santamente vigoreggiano (SC 24,51; DV 24). Quando però parla dei rapporti della Chiesa Cattolica con il mondo della Riforma (UR 21), sempre vede l’accordo su la “Sacra Scrittura” e il disaccordo su la “Parola di Dio”, dichiarando che vi sono divergenze sul modo magisteriale e cattolico di «esporre e predicare la parola di Dio scritta». Questa distinzione del Vaticano II, fin qui illustrata, mi pare un saggio criterio interpretativo delle parole di Papa Francesco e di dove possiamo o non possiamo prendere esempio da Lutero riguardo alla Bibbia.

Resta inteso che la convergenza su le «Sacre Parole / Sacra Eloquia» è l’avvio al dialogo «per il raggiungimento di quella unità che il Salvatore offre a tutti gli uomini». Anche se il raggiungimento dell’unità significherà accettare una “Parola di Dio” “cattolica”. Altrimenti è meno peggio restare correttamente (e dolorosamente) separati che scorrettamente uniti.