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AFGHANISTAN

Non esistono Talebani moderati. Torna la lapidazione

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Dopo la soppressione delle opposizioni, il divieto per le donne di uscire e lavorare, dopo il ritorno della legge del taglione, ora torna anche la lapidazione dell'adultera. In Afghanistan non esistono i Talebani "moderati"

Esteri 05_04_2024
Afghanistan, donne in fila per il cibo (La Presse)

A neppure tre anni dal ritorno al potere dei Talebani in Afghanistan, un editto ha reintrodotto la pena della lapidazione per le adultere. Si tratta dell’ultima tappa, in ordine di tempo, di un ritorno al vecchio regime islamico. Dopo un ventennio di intervallo, a seguito del ritiro dei contingenti internazionali, la popolazione afgana è ripiombata dunque nello stesso mondo arcaico in cui era immersa nel primo regime talebano (1996-2001). Con l’aggravante che i Talebani ora controllano la totalità del paese e non hanno alcuna opposizione.

Il leader talebano, Hibatullah Akhundzada, dalla sua nuova capitale Kandahar (luogo natale degli “studenti coranici”) ha ripristinato la dittatura, sopprimendo quasi tutti i partiti di opposizione. «Non c’è alcun fondamento nella legge coranica che giustifichi la presenza di partiti politici nel paese. Non servono all’interesse nazionale, né la nazione li apprezza», aveva dichiarato Hakim Sharaee, ministro della Giustizia del regime talebano, nel 2022. Quello stesso anno, ricominciavano anche le esecuzioni capitali in pubblico e le punizioni corporali.

Alle donne è stato, prima di tutto, vietato di andare a scuola oltre il livello delle elementari. Poi è stato loro proibito di uscire in luoghi pubblici e sono stati chiusi tutti i saloni di bellezza, che erano il loro ultimo luogo di ritrovo. Per le attiviste politiche, illegali, c’è il rischio della fustigazione, oltre al carcere.

Due esecuzioni capitali recenti lasciano intendere che sia stata ripristinata la tradizionale legge del taglione, o “qisas”, la giustizia retributiva islamica. Ad esempio, il 26 febbraio un giovane, accusato di omicidio, è stato fucilato in pubblico, in uno stadio nella provincia di Jawzjan. A sparare è stato il fratello della sua vittima. La stessa scena era avvenuta il 22 febbraio precedente, nello stadio di Ghazni, dove sono stati fucilati due uomini, sempre ad opera dei parenti delle loro vittime. Sempre che fossero loro i veri colpevoli, perché i processi sono alquanto sommari. Sin dal 2021, i giudici della Repubblica sono stati rimpiazzati sistematicamente con altri magistrati religiosi, fedeli ai Talebani.

L’editto di questa settimana, che ripristina la lapidazione per le donne accusate di adulterio, va ad aggiungersi a questo crescendo di orrori di giustizia sommaria. Akhundzada ha dichiarato che intende ripristinare tutto il codice penale tradizionale coranico, di cui la lapidazione è solo uno dei tanti aspetti. Dei video, che sono ancora in fase di verifica, mostrerebbero lapidazioni di donne già avvenute, anche nei mesi scorsi.

Ma è una sorpresa? C’era da attendersi qualcosa di diverso dai talebani, nome ormai comunemente usato come sinonimo di “fanatico”? C’è stato un momento, non lontano, in cui i governi occidentali quasi volevano illudersi. Merito delle promesse lanciate dal movimento islamista al momento del ritorno al potere, mentre i loro connazionali fuggivano come potevano sugli aerei americani in partenza da Kabul. “Vogliamo assicurarci che l’Afghanistan non sia più un campo di battaglia” aveva promesso Zabihullah Mujahid, portavoce dei Talebani. E ancora: “Abbiamo perdonato tutti coloro che hanno combattuto contro di noi. La guerra è finita. Non vogliamo nemici esterni o interni”. Eppure sono ormai centinaia le esecuzioni extra-giudiziali, quasi tutte hanno come bersaglio ex militari e funzionari del regime repubblicano sostenuto dalla Nato, soprattutto chi aveva collaborato a vario titolo con gli eserciti occidentali. Mujahid aveva annunciato anche la volontà di “rispettare i diritti delle donne, all’interno della legge islamica”.

C’era chi gli aveva creduto. Era stato ambiguo anche Giuseppe Conte, allora non più premier, ma leader di un partito al governo: «Dobbiamo coltivare un serrato dialogo col nuovo regime che appare, quantomeno a parole, da alcuni segnali che vanno tutti compresi, assumere un atteggiamento abbastanza distensivo». Criticato dalla stampa e dai colleghi parlamentari, incluso lo stesso Luigi Di Maio (allora ministro degli Esteri), si era corretto, dando la colpa a chi lo aveva “mal interpretato”: «È assolutamente necessario che tutta la comunità internazionale esprima una compatta pressione (ho inteso questo, quando nell’ambito di un più articolato ragionamento politico, ho parlato di “serrato dialogo”) sui talebani affinché siano costretti ad accettare condizioni e garanzie per il riconoscimento e la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali della popolazione».

Da allora ad oggi non c’è stata alcuna pressione sostanziale. Se c’è stata, non è servita a nulla. L’Afghanistan è tornato ad essere il regime islamico più repressivo del mondo.