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POPULISMO

Omicidio stradale, una legge controproducente

Viene firmata oggi dal premier Matteo Renzi la nuova legge che introduce il “reato di omicidio stradale”. E’ stata approvata dal Senato in via definitiva il 2 marzo scorso, votata da un’ampia maggioranza bipartisan. A prima vista è una norma dettata dal buon senso. Ma nasconde dei risvolti molto pericolosi, un vero “arretramento verso forme di imbarbarimento del diritto penale”.

Politica 09_03_2016
Incidente

Viene firmata oggi dal premier Matteo Renzi la nuova legge che introduce il “reato di omicidio stradale”. E’ stata approvata dal Senato in via definitiva il 2 marzo scorso, votata da un’ampia maggioranza bipartisan con 149 senatori a favore, solo 3 contrari e 15 astenuti. Prevede un inasprimento delle pene per tutti coloro che, trasgredendo il codice della strada, causano morti e feriti con la loro auto. A prima vista è una norma dettata dal buon senso ed è salutata come un successo dalle associazioni dei parenti delle vittime che l’hanno promossa sin dal 2011. Ma nasconde dei risvolti molto pericolosi, un vero “arretramento verso forme di imbarbarimento del diritto penale” come denunciano prontamente le Camere Penali. Perché d’ora in avanti, indipendentemente dalla volontà di uccidere, basterà una semplice distrazione per scontare anni di carcere.

Questa legge, è bene ricordarlo, non risponde ad alcuna emergenza attuale. Infatti il numero di vittime di incidenti stradali è costantemente in calo nell’ultimo ventennio. I morti della strada sono passati dai 6.621 del 1990 ai 3.385 del 2013. Nel corso degli ultimi 15 anni, il numero delle vittime è calato costantemente del 3-4% annuo. La legge, dunque, risponde più ad un’esigenza emotiva, che non ad un problema urgente. In particolar modo ha trovato nuova linfa nell’emozione provocata da alcuni casi di cronaca nera a cui è stata data particolare importanza dai media. Da ultimo: una donna filippina di Roma, Corazon Abordo Perez, travolta assieme ad altre otto persone da un’auto con a bordo tre nomadi, lo scorso maggio. La donna è morta. La partecipazione al suo funerale era stata molto grande, alla presenza dell’allora sindaco Ignazio Marino. Ma le pene per i colpevoli sono state giudicate lievi (6 anni al minorenne alla guida) dalla maggioranza dell’opinione pubblica. L’episodio ha creato comprensibilmente grande scalpore, in tutto il paese. E la normativa ne ha tratto nuovo impulso, fino alla sua approvazione definitiva.

Il testo (articolo 589 bis del Codice Penale) prevede che una persona sobria o con un tasso alcolemico lieve (da 0,8 a 1,5 grammi per litro), possa essere incarcerato per un periodo di tempo che va dai 5 ai 10 anni, se uccide una persona con la propria auto, se: viaggia al doppio della velocità consentita, passa un semaforo rosso, procede contromano, fa inversione in corrispondenza di incroci, dossi e passaggi pedonali, oppure sorpassa un altro mezzo in corrispondenza della linea continua o in corrispondenza di un attraversamento pedonale. Se viaggiare al doppio della velocità consentita, andando a 100 all’ora in città o a 180 all’ora fuori città in una strada statale, vuol dire effettivamente trasformare la propria auto in un’arma, in tutti gli altri casi basta una semplice distrazione, un colpo di sonno o un errore, per trasformare un normale autista in un assassino.

Non fosse passato un emendamento il 21 gennaio scorso, la legge avrebbe previsto anche l’arresto in flagranza di reato per chi si ferma a soccorrere la vittima. Per i pirati veri, cioè per chi fugge, la legge prevede un aumento della pena da un terzo ai due terzi. Per chi guida in grave stato di ebbrezza o sotto effetto di stupefacenti, le pene detentive sono un minimo di 8 e a un massimo di 12 anni. Se la vittima non muore, si passa all’articolo 590 bis del Codice Penale, che prevede pene che vanno da un minimo di 3 mesi a un massimo di 1 anno per le lesioni gravi e di un minimo di 1 anno a un massimo di 3 per quelle gravissime. Aggravanti sono previste anche per chi è sprovvisto di patente e anche per chi non ha la Rc auto. Nel caso si commetta un omicidio stradale, i termini di prescrizione sono raddoppiati: si può essere condannati fino a 24 anni dopo l’incidente. In caso di morte di più persone la pena viene triplicata, ma non può superare comunque i 18 anni di carcere. Per riavere indietro la patente, che viene revocata, occorrono 5 anni in caso di lesioni e 15 in caso di omicidio. 30 anni se l'omicida stradale fugge.

Secondo le Camere Penali, come si diceva, questa legge non è affatto un passo avanti nel diritto italiano, ma un grande passo indietro. Se l’organo che rappresenta gli avvocati penalisti parla di “imbarbarimento” è perché la nuova norma non tiene conto del criterio di proporzionalità della pena rispetto alla colpa. Commina pene severe e prevede tempi di prescrizione esagerati per un omicidio colposo, dunque commesso da una persona che non ha intenzione di uccidere. Prima di tutto le Camere Penali giudicano la nuova norma ridondante, perché già il vecchio testo dell’articolo 589 del Codice Penale forniva strumenti per punire adeguatamente l'omicidio stradale. “Innanzitutto, non è affatto vero che i ‘pirati della strada’ rimanessero ‘impuniti’ prima della emanazione di questa legge ed è falso il messaggio mediatico secondo il quale ‘l’omicidio stradale ora è reato’ – scrivono gli avvocati penalisti - il fatto era già previsto come reato (art. 589, 3° comma c.p.) ed era già severamente punito (da tre a dieci anni) cui ben poteva aggiungersi l’aggravante della previsione dell’evento (art. 61, n. 3) con pena finale che in casi particolarmente gravi poteva raggiungere gli anni quindici. Senza contare che spesso la giurisprudenza (certo con eccessi assolutamente non condivisibili) aveva ricondotto il fatto alla previsione dell’omicidio doloso, con dolo cosiddetto ‘eventuale’ (pena da ventuno a ventiquattro anni)”. Ora, per voler vedere puniti in modo esemplare i pirati della strada, si sono inasprite le pene anche per chi pirata non è, per chi ha commesso un errore e non un delitto.

La nuova norma rischia di introdurre un pericoloso effetto di deterrenza alla rovescia. “… non avere previsto come adeguata attenuante ad effetto speciale (suggerita dalla UCPI) per chi presta soccorso, è un vero e proprio incentivo alla fuga. Chi provoca un incidente, se ha il minimo dubbio che il mezzo bicchiere bevuto possa avergli alterato il tasso alcolemico (e certo non può sapere di quanto!) nella maggioranza dei casi fuggirà. Con quali possibili conseguenze per le vittime è facile immaginare”. Infine, ma non da ultimo, gli avvocati constatano come vi sia, nel testo, una vera “presunzione di colpevolezza”, che rischia di sovvertire i principi cardine del diritto penale.

E non ci resta che constatare, poi, la proliferazione di nuovi reati sull’onda dell’emotività. Provocano scandalo le uccisioni di donne? Ecco il “femminicidio”. Provocano scandalo gli incidenti mortali? Ecco l’“omicidio stradale”. Certe categorie di vittime diventano diverse rispetto alle altre, in base a criteri tutt’altro che oggettivi. Con buona pace del principio secondo cui la legge è uguale per tutti.