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IL CAMBIO DI PASSO

Onu, quando la Chiesa si opponeva all'imperialismo

Il posizionamento della Santa Sede nei confronti dell’ONU sta evidentemente cambiando in modo sostanziale.

Dottrina sociale 22_01_2020

Il posizionamento della Santa Sede nei confronti dell’ONU sta evidentemente cambiando in modo sostanziale. L’idea di papa Francesco di istituire una collaborazione mondiale di tutte le religioni per la fratellanza e la pace universali va certamente in una direzione gradita all’establishment delle Nazioni Unite. Come pure la richiesta da parte sua dell’istituzione di una Giornata Mondiale della Fratellanza Universale. Senza cadere nelle semplificazioni giornalistiche di chi parla di una volontà della Chiesa cattolica di creare una “ONU delle religioni”, si può sostenere che parlare di una convergenza globale non sui principi della legge morale naturale e nemmeno sui principi cristiani ma su un minimo comun denominatore religioso e umanistico è negli interessi ideologici e politici dell’ONU e dei poteri che vi si riconoscono.

Questa prospettiva, comunque la si valuti, è in ogni caso molto diversa dalla linea seguita durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Non che costoro non abbiano espresso apprezzamento per le finalità e l’attività delle Nazioni Unite, parlando ripetutamente davanti all’Assemblea Generale a New York. Tuttavia su molti punti dell’agenda internazionale la Santa Sede era all’opposizione e contestava apertamente e duramente l’ideologia ONU e la sua volontà di sdoganare, anzi di promuovere anche con un nuovo linguaggio, pratiche e politiche da considerarsi immorali rispetto ai temi della vita, della famiglia e della procreazione. La diversità con l’oggi è molto evidente e merita di essere ricordata.

“Tutto ha avuto inizio al Cairo”, così si intitolava il fascicolo 3 (2014) del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân. Il riferimento riguarda la Conferenza ONU su “popolazione e sviluppo” tenutasi al Cairo dal 5 al 14 settembre 1994 sotto la guida della pakistana Nafis Sadik, che veramente può essere considerata l’inizio dei programmi post-umani delle Nazioni Unite: diritti sessuali, salute riproduttiva (ossia aborto generalizzato), pianificazione familiare per contrastare la sovra-popolazione, ideologia gender. La piattaforma di azione lanciata al Cairo nel 2004 doveva durare fino al 2015, ma nel 2014 fu rinnovata e potenziata fino al 2030. Questo potenziamento prevedeva l’espansione dell’accesso a contraccezione e aborto soprattutto per quanto riguarda la pillola abortiva e i servizi rivolti ai giovani; riconoscimento giuridico dei diritti sessuali e riproduttivi; inserimento di questi diritti nei programmi di sviluppo globale e, infine, ancora più preoccupante, il cambiamento della cultura e della religione dall’interno.

In quegli anni la Chiesa cattolica si schierava all’opposizione e cercava di guidare su questo fronte i Paesi del cosiddetto terzo mondo per salvarli dalla colonizzazione ideologica. Nel marzo 1994 Giovanni Paolo II intervenne di persona, scrivendo una lettera al Segretario generale dell’ONU, Boutros Boutros-Ghgali, e a tutti i Capi di Stato dei Paesi partecipanti al vertice. L’arcivescovo [poi cardinale] Renato Raffaele Martino, capo delegazione della Santa Sede al Cairo in quanto Osservatore permanente a New York, si opponeva duramente perfino all’uso di un linguaggio nuovo, volutamente ambiguo e strumentale. In seguito egli stesso disse che l’uso di queste nuove espressioni, come per esempio “salute riproduttiva”, faceva sì che tutto “diventi cultura e dunque inteso quale sovrastruttura interpretabile, manipolabile, modificabile, in ogni caso soggettivamente costruito e non oggettivamente dato”. Martino segnalava l’avvento di un “umanitarismo laicista postmoderno che brandisce i desideri individuali per una lotta di classe globale”.

L’anno seguente, dal 4 al 15 settembre 1995, si tenne a Pechino la Conferenza mondiale dell’ONU sulle donne, con la segreteria generale della ghanese Gertrude Mongella. Qui venne formulata per la prima volta l’ideologia gender, si disse che solo i bambini realmente voluti avevano diritto di nascere e si iniziò a porre dei limiti alla libertà religiosa in questi campi. Anche in questo caso la delegazione guidata da Martino era all’opposizione, e due mesi prima dell’inizio della Conferenza Giovanni Paolo II aveva pubblicato la sua Lettera alle Donne, come dopo soli sei mesi dal Cairo aveva fatto con l’enciclica Evangelium vite.

Il cardinale Martino, ricordando quell’epoca, attribuisce alla delegazione da lui guidata anche dei successi, parziali ma significativi. Nella piattaforma d’azione del Cairo fu inserito il seguente passaggio: “In nessun caso l’aborto può essere invocato come metodo di pianificazione familiare”. A Pechino si tentò di cancellare questa affermazione senza però riuscirci. La Santa Sede era ascoltata e seguita da molti Paesi poveri che si opponevano all’imperialismo contraccettivo. “I successi all’ONU – ricorda Martino – furono possibili grazie alla fiducia e al supporto di Giovanni Paolo II che mi sostenne sempre e che nelle occasioni più opportune agì anche in prima persona”.

Ritornare con la mente a questo periodo della storia dell’ONU e dei rapporti della Chiesa cattolica con le montanti ideologia del post-umanesimo è utile e significativo per notare di conseguenza la grande diversità con l’oggi: ormai anche il Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze usa l’espressione “salute riproduttiva” e molti  documenti ecclesiali sembrano scritti da funzionari ONU.