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AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE

Pakistan, nel paese della persecuzione estrema

La sera del 29 aprile la fontana di Trevi a Roma sarà illuminata da fasci di luce di colore rosso, come il sangue dei martiri cristiani uccisi per la fede. La testimonianza più drammatica viene dal Pakistan, dove Asia Bibi, condannata a morte per "blasfemia" rischia di essere assassinata in carcere.

di Anna Bono

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Libertà religiosa 23_04_2016
Pakistan, manifestazione per la liberazione di Asia Bibi

La sera del 29 aprile la fontana di Trevi a Roma sarà illuminata da fasci di luce di colore rosso, come il sangue dei martiri cristiani uccisi per la fede. L’iniziativa si inserisce nelle attività di informazione e sensibilizzazione svolte da decenni dalla fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre. Delle quattro testimonianze scelte per ricordare al mondo i cristiani perseguitati, la più drammatica sarà forse quella di Shahid Mobeen, fondatore dell’Associazione Pakistani Cristiani in Italia, che parlerà dell’amico Shahbaz Bhatti, il ministro cristiano per le minoranze religiose del governo del Pakistan, vittima di un attentato nel marzo del 2011, poche settimane dopo la morte del governatore del Punjab Salman Taseer, ucciso dalla propria guardia del corpo.

Sia Bhatti che Taseer hanno perso la vita per aver criticato la legge sulla blasfemia, averne proposto una revisione che ne evitasse l’abuso e ne mitigasse le pene, e per aver difeso Asia Bibi, la donna cristiana accusata nel 2009 di aver offeso il profeta Maometto, da allora in carcere e per questo condannata a morte nel 2010. Quella di Shahid Mobeen sarà una testimonianza particolarmente drammatica e commovente perché proprio nelle ultime settimane la situazione di Asia Bibi si è pericolosamente aggravata. C’è il fondato timore che possa essere uccisa in carcere, raggiunta tramite dei sicari o delle guardie complici, dalla vendetta dei fondamentalisti islamici esasperati dall’impiccagione, lo scorso 29 febbraio, dell’assassino di Salman Taseer, Mumtaz Qadri, ai loro occhi un eroe, difensore dell’onore del Profeta e della shari’a.  

Per Asia Bibi il 9 marzo scorso in diverse città del Pakistan migliaia di cristiani hanno partecipato a un momento di preghiera. Contro di lei nelle stesse città hanno manifestato per settimane altre migliaia di persone chiedendo l’esecuzione della sua sentenza di morte sospesa a luglio quando il suo caso è stato esaminato nel terzo e ultimo grado di appello. Una violenta manifestazione di protesta in favore della legge sulla blasfemia, in memoria di Mumtaz Qadri e per la morte di Asia Bibi era in corso nella capitale del paese, Islamabad, davanti al parlamento, proprio mentre a Lahore nel parco Gulshan-i-Iqbal morivano decine di cristiani, uccisi da un attentatore suicida militante nel gruppo talebano Jamaat-ul-Ahrar. Era il giorno di Pasqua. Ad accrescere la rabbia dei fondamentalisti si era aggiunto il fatto che, per la prima volta nella storia del paese, islamico al 97%, il governo aveva concesso ai cristiani tre giorni di festa: non solo il venerdì santo che coincideva con il giorno per gli islamici sacro, di preghiera, ma anche la domenica di Pasqua e il lunedì dell’Angelo. 

Vincendo la paura, 24 ore dopo l’attentato, centinaia di persone si erano radunate all’entrata del parco, a pochi passi dal luogo dell’attentato, per ricordare le vittime con una veglia a lume di candela. Tra i partecipanti c’era anche Sunil Malik, direttore della Fondazione per la pace e lo sviluppo umano, che ha preso la parola per chiedere un maggior intervento dei militari nella lotta al terrorismo, ma anche un impegno del governo a sradicare l’estremismo in tutte le sue forme: “nei testi scolastici, nelle prediche in moschea, nelle conversazioni da salotto”. 

“I talebani – ricordava il direttore dell’agenzia di stampa AsiaNews Bernardo Cervellera, intervistato da Radio Vaticana il 31 marzo scorso – hanno aperto in Pakistan oltre 20.000 scuole islamiche. Se ammettiamo che in ogni scuola ci siano almeno 1.000 studenti, sono centinaia di migliaia di fondamentalisti. Bisogna trovare queste scuole islamiche, vedere che tipo di insegnamento danno, vedere i testi scolastici e le prediche che si fanno in moschea; ci sono addirittura delle trasmissioni alla televisione pubblica che esaltano il fondamentalismo”. 

Uno degli attentati più gravi contro i cristiani, a livello mondiale, è stato quello messo a segno nel 2013 proprio in Pakistan, a Peshawar, una domenica di settembre, quando due jihadisti suicidi, nonostante i controlli e le misure di sicurezza sono riusciti a raggiungere una chiesa e si sono fatti esplodere alla fine della messa uccidendo più di 80 persone. 

Ma anche tra la popolazione, tra la gente comune c’è ostilità e avversione per i cristiani. Basta davvero poco perché contro di loro si rivoltino vicini di casa e compagni di lavoro e magari approfittino del clima ostile per lanciare accuse, false, con conseguenze disastrose, come è successo appunto ad Asia Bibi, denunciata dalle sue compagne di lavoro indispettite dopo una lite. Nel novembre del 2014 in un villaggio del Punjab una moschea ha diffuso la notizia del tutto falsa che due giovani, marito e moglie cristiani, avevano dissacrato il Corano bruciandone alcune pagine. Tanto è bastato perché fossero catturati, torturati per due giorni e infine bruciati vivi in una fornace da una folla esaltata e impazzita di rabbia senza che le forze dell’ordine intervenissero a impedirlo. 

Nella classifica Open Doors 2016 dei 50 paesi in cui i cristiani sono più perseguitati, il Pakistan occupa il 6° posto ed è uno dei nove stati in cui la persecuzione contro i cristiani è tale da essere stata definita estrema.

di Anna Bono

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