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IL SONDAGGIO

Paura dell'immigrazione In Italia è più forte che mai

Il sondaggio Ipsos Mori su come viene percepita l’immigrazione, negli ultimi 5 anni, in 22 paesi del mondo, rivela che al di là delle dichiarazioni governative, l’immigrazione fa paura ovunque. Solo il 20% degli intervistati ritiene che gli immigrati siano una risorsa, il 45% teme le conseguenze per il proprio paese. E in Italia la paura del fenomeno è molto più alta della media.

Politica 13_08_2016
Ventimiglia, protesta degli immigrati

L’immigrazione è una “risorsa”, come la definisce la presidente della Camera Laura Boldrini? Potrebbe anche esserlo, ma solo una minoranza esigua di cittadini lo pensa, non solo in Italia, ma nei cinque continenti. Il sondaggio Ipsos Mori su come viene percepita l’immigrazione degli ultimi 5 anni in 22 paesi del mondo, dall’Argentina alla Russia, dalla Svezia al Sud Africa, rivela che al di là delle dichiarazioni governative, l’immigrazione fa paura ovunque. Complessivamente, il 46% degli intervistati lo giudica un fenomeno destinato a peggiorare le condizioni di vita del paese che ospita gli immigrati, mentre solo il 20% pensa che l’immigrazione sia una risorsa.

Lo studio, è bene precisarlo ancora, riguarda la percezione dell’immigrazione, non il suo impatto reale. E così abbiamo paesi, come l’Italia, in cui è vista con molta maggiore preoccupazione rispetto agli Stati Uniti, dove si registrano molti più immigrati. La percezione non corrisponde neppure alle politiche di apertura e chiusura dei governi nazionali. Ad esempio l’Italia è molto più aperta dell’Ungheria, ma, appunto, l’opinione pubblica italiana è maggiormente in ansia per la crescita di stranieri negli ultimi cinque anni. Il sondaggio parte con la più semplice delle domande: l’immigrazione è aumentata, è sempre stata così o si è ridotta? A questa domanda, più dei due terzi degli intervistati nei 22 paesi scrutinati ha risposto che il fenomeno migratorio sia aumentato (78%). Il 46% ritiene che l’immigrazione cambierà in modo indesiderato lo stile di vita nel proprio paese, contro un magro 20% che spera in un cambiamento per il meglio. Il 49% degli intervistati ritiene che gli immigrati siano semplicemente “troppi”. Siamo dunque di fronte a un evento epocale: in tutte le aree geografiche del mondo la maggioranza della popolazione pensa che sia, in qualche misura, una minaccia al proprio stile di vita. Impossibile non tenerne conto.

Se questa è la tendenza generale, in tutto il mondo, sono ancor più interessanti i dati paese per paese. Gli italiani, soprattutto, risultano essere fra i più ansiosi in Europa di fronte all’ondata umana che arriva dall’Africa. Solo il 10% degli italiani ritiene che l’immigrazione abbia un impatto positivo sulla società, che sia, insomma, una “risorsa”. Il 10% è il quarto dato più basso del mondo, seguito dal 9% del Giappone (una delle nazioni etnicamente più omogenee del pianeta), dall’8% della Russia e dal 6% di Turchia e Ungheria. Alla domanda se vi siano “troppi immigrati”, l’Italia risponde di sì al 65%, seconda solo all’85% in Turchia (che ospita 3 milioni di rifugiati siriani) e a pari merito con Sud Africa e Russia. L’Italia è anche il paese che si sente meno “a proprio agio” a fronte dell’immigrazione (63% di risposte negative), seconda solo alla Turchia (74%).

Siamo un po’ meno preoccupati per l’impatto negativo che l’immigrazione possa avere sui servizi pubblici. Coloro che manifestano questa paura sono il 59% nel nostro paese. Maggiori ansie si registrano in Francia e negli Usa (60%), in Sud Africa (62%) e soprattutto sempre in Turchia (72%). Siamo meno preoccupati di quanto si pensi sulla possibilità che gli immigrati ci portino via il lavoro. In Italia il 45% dei rispondenti esprime questa paura, mentre percentuali maggiori si registrano in Argentina, negli Usa, in India, in Sud Africa, ma soprattutto in Russia (69%) alle prese con una forte immigrazione dall’Asia Centrale e ovviamente in Turchia (78%).

Queste tendenze riguardano l’immigrazione in generale e non i rifugiati in particolare. Solo minoranze esigue ritengono che sia giusto chiudere i confini in faccia anche a chi cerca asilo, appena il 19% in tutto il mondo. Guardando questo dato un po’ più in dettaglio, scopriamo che quella italiana è una delle società che maggiormente sostengono la chiusura delle frontiere, anche di fronte a rifugiati. Il 26% degli intervistati, in Italia, lo vorrebbe. E’ il quarto risultato più alto al mondo, dopo il 29% in India, il 34% che si registra in Ungheria, e il 43% in Turchia. Siamo anche uno dei paesi che temono maggiormente l’infiltrazione di terroristi fra i rifugiati. Si registra, fra gli italiani, un 40% che lo pensa. Anche qui è uno dei dati più alti del mondo, solo Russia (46%), Ungheria (49%) e ovviamente Turchia (65%) temono maggiormente il rischio infiltrazione.

Quel che risulta chiaro, da queste fredde cifre, è il problema Turchia. Una pentola a pressione pronta a esplodere, con tre milioni di rifugiati siriani che stanno provocando una reazione sempre più incontrollabile. La quasi totalità dei turchi, stando a questo sondaggio, teme i rifugiati, vorrebbe disfarsi di tutti gli immigrati, non vede alcuna possibilità di integrazione. E questo sarà un problema anche per noi, perché l’unica valvola di sfogo della pentola a pressione turca è proprio l’Europa continentale, i Balcani in particolare. E la Turchia rischia molto la destabilizzazione. Fra terrorismo, golpe, contro-golpe e repressione del presidente Erdogan, il suo “tappo” potrebbe saltare.

Quanto all’Italia, i quotidiani nazionali hanno più volte evidenziato lo scollamento fra le nostre ansie e la realtà del fenomeno migratorio. Il problema che si riscontra nel nostro territorio non è nemmeno paragonabile a quello in Turchia, ma neppure a quello negli Stati Uniti che devono accettare o respingere immigrati nell’ordine dei milioni. Eppure temiamo di essere sommersi, più di quasi tutti gli altri paesi al mondo. Merito anche della nostra posizione, che è un ponte geografico fra l’Europa e l’Africa, una terra di transito naturale. Dunque è la prospettiva che preoccupa, più ancora che l’attualità. Ciò che viene considerato meno, è però un altro scollamento: quello fra la classe dirigente (politici e media in particolar modo) e l’opinione pubblica. A fronte di una preoccupazione crescente e ormai più che maggioritaria, la nostra classe dirigente e orante si limita a prediche contro il razzismo, inviti alla calma, minimizzazione del problema, rassicurazioni su non ben specificati provvedimenti futuri, inviti all’accoglienza e alla solidarietà. Quanto potrà durare?