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PROMESSE

Perché dire "meno tasse" è impossibile

La promessa di ridurre le tasse non fu mantenuta da Berlusconi e non verrà mantenuta neppure da Matteo Renzi. Lo si può affermare già da ora, perché il progetto è viziato alla radice. Una vera riduzione fiscale dovrebbe poggiare su una razionalizzazione della spesa pubblica. E richiede consenso popolare per i tagli della spesa statale.

Editoriali 20_07_2015
Tasse

La spesa pubblica italiana sfiora nel suo insieme gli 800 miliardi di euro all’anno e si mangia oltre il 50% del prodotto interno lordo, Pil, del Paese. Questo è l’orizzonte entro cui si situa la promessa, fatta l’altro ieri a Milano dal premier Matteo Renzi, di ridurre le imposte di 45 miliardi di euro  entro il 2018. Ferme restando tutte le riserve sulla praticabilità del suo progetto di cui già si è detto ci interessa qui in primo luogo sottolineare che la cifra sembra enorme se confrontata con i nostri personali portafogli, ma in effetti equivale a poco più del 5% dell’attuale spesa pubblica. Sono insomma dei bruscolini, che non basterebbero affatto ad allontanare definitivamente lo spettro del crollo dell’economia italiana sotto il peso di una pressione fiscale insostenibile.

Ad ogni modo, nei termini in cui è stata annunciata, si può stare purtroppo certi che Renzi non riuscirà nell’impresa; come peraltro non ci riuscì Berlusconi. Oltre e ben di più che nella miriade di ostacoli immediati che frappongono al procedere di una tale riforma, il motivo sta a nostro avviso nel fatto che la “filosofia” generale del progetto è sbagliata alla radice. E questo per due motivi. Il primo è che non ha senso parlare di riduzione delle imposte se in via preliminare non ci si impegna in un colossale programma organico di razionalizzazione della spesa pubblica. La riduzione della spesa infatti non può essere l’esito di una politica di “tagli” in astratto, cui sin qui la burocrazia si è dimostrata capace di resistere egregiamente. Al “taglio” degli stanziamenti la burocrazia infatti reagisce tagliando i servizi per poi cavalcare la conseguente protesta degli utenti (le vicende della scuola statale sono esemplari al riguardo). La minor spesa non può  invece che essere l’esito di una razionalizzazione in forza della quale i servizi utili erogati migliorano e costano meno. Per questo occorre, affidandosi innanzitutto ad esperti esterni, avviare un enorme e veloce lavoro di analisi della macchina dell’amministrazione pubblica studiandone organicamente funzioni e costi. E quindi decidere di conseguenza. 

Il secondo motivo per cui il progetto di Renzi non ha futuro è che prescinde da un elemento-chiave. Ovvero dal fatto che per procedere con successo a una significativa e rapida razionalizzazione della spesa pubblica occorre innanzitutto disporre di un grande consenso popolare. Non si può infatti dividere di netto in due parti, come se fosse una mela, l’economia italiana tra un settore pubblico improduttivo e inefficiente che vive succhiando risorse, e un settore (per lo più privato) che è invece produttivo ed efficiente. Un reticolo di intrecci collega il primo al secondo. In pratica le famiglie, le imprese, le categorie, i territori sono sia vittime che beneficiari dell’enorme spesa pubblica inefficiente del nostro Paese; anche se è vero che talvolta sono soprattutto vittime e talvolta invece sono soprattutto beneficiari. Se insomma non si mette in moto una grande opera di comunicazione, volta a sollecitare e mantenere al riguardo un forte consenso popolare, non si possono raggiungere risultati rilevanti. Chi infatti è quasi esclusivamente vittima dell’eccesso di pressione fiscale non forma un blocco così vasto e così compatto da ridurre a poco o niente il costo sociale di un autentico processo di razionalizzazione generale della spesa pubblica.

Se insomma non si costruisce e non si conserva attorno a un tale progetto un vasto consenso popolare, e se non vi si procede sulla base di analisi e di proposte attentamente studiate, non c’è nessuna speranza di successo. Berlusconi non seppe fare né una cosa né l’altra e perciò fallì. Renzi per parte sua si è messo sulla sua stessa strada. Malgrado tutto i due sono però il meglio del peggio. Quelli che rispettivamente aspirano a prendere il loro posto infatti sono personaggi da baraccone. Salvo imprevisti, c’è ben poco da stare allegri.