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LA DECISIONE DEL VESCOVO

Pinerolo, Messa proibita. Inquietante precedente

Niente Messa a Pinerolo per due settimane: per non sovraccaricare gli ospedali! La fuga in avanti del Vescovo di Pinerolo peserà sulle spalle dei poveri fedeli. E potrebbe stimolare imitatori.

Editoriali 12_11_2020

Le sue spoglie riposano nel santuario del Sacro Cuore di Pinerolo, in via Sommeillier, custodito dai religiosi della comunità da lui fondata nel 1816 e approvata dieci anni dopo da papa Leone XII, gli Oblati di Maria Vergine.

Stiamo parlando del ven. Pio Bruno Lanteri, sacerdote nativo di Cuneo e morto a Pinerolo nel 1830, che si era speso instancabilmente per la formazione di un laicato spiritualmente ben radicato, attento, zelante, particolarmente con l’inesausta predicazione degli esercizi spirituali e la diffusione della stampa cattolica. Ed è proprio in alcuni suoi appunti manoscritti, custoditi e poi date alle stampe dagli OMV che il Lanteri cerca di inculcare alle persone la necessità della partecipazione alla Messa, come modalità più importante della santificazione della festa: «Ci viene poi primieramente comandato a tutti, sotto pena di peccato mortale, d’assistere alla santa Messa; la quale deve poi ascoltarsi per intera e con attenzione, né uno può essere scusato se non o per impotenza, o per qualche grave incomodo che ne nascerebbe per sé o per altri [...] perché la Messa ne è la rinnovazione del sacrificio cruento della croce» (Scritti e Documenti d’Archivio, vol. IV, Predicabili, p.  2552).

Evidentemente il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, che abita a qualche centinaio di metri da dove è posto il corpo del Lanteri, non riesce a sentire la sua voce, impegnato com’è a dialogare con i valdesi. Anzi ad annacquare la fede cattolica. Fatto sta che la diocesi, unitamente alla chiesa valdese, ha deciso di sospendere ogni celebrazione per due settimane, nonostante, anche nelle zone rosse, la partecipazione alla Messa e alle forme cultuali delle altre comunità religiose, continui ad essere permessa.

In un comunicato congiunto si spiegano le nobili ragioni del generoso gesto: «A questa decisione siamo pervenuti congiuntamente con la volontà di dare a questo gesto una valenza ecumenica e di testimonianza civile. Vogliamo altresì dare un segnale di solidarietà e vicinanza a tutti coloro che sono stati costretti a limitare drasticamente la propria attività lavorativa e, nello stesso tempo, ci impegniamo a non provocare ulteriore sovraccarico al lavoro degli operatori sanitari».

Che è come dire che i panettieri decidono di chiudere, come segno di solidarietà verso i gestori di discoteche e palestre, o che i supermercati abbassino le serrande per evitare il sovraccarico negli ospedali. L’Eucaristia evidentemente, agli occhi del vescovo di Pinerolo, altro non è che un gesto sociale, da utilizzare di volta in volta, a piacere, per rivendicazioni di varia natura o per esprimere solidarietà a qualche categoria di persone. Magari si potrebbe pensare, in occasione della prossima giornata mondiale per l’ambiente, di proibire l’accesso in chiesa a tutti coloro che la raggiungono con auto dall’Euro5 in giù.

Nella lettera personale del vescovo di Pinerolo, alla sua diocesi c’è anche di peggio. A partire da una solenne presa per i fondelli delle persone, alle quale si chiede di «“fare volontariamente un passo indietro” e di rinunciare per due domeniche a questo diritto [della Messa], per contribuire ad un bene comune, cioè il contenimento del contagio». Ma se i fedeli non trovano le Messe perché il signor Vescovo le ha sospese, dove sta la volontarietà della loro rinuncia? E poi, quali dati in mano ha il signor Vescovo per affermare con tanta perentorietà che le Messe favoriscono il contagio?

E poi la solita balla, sempre utile quando si fanno certi scempi: l’importante è seguire Gesù, l’importante è pregare, riscoprire la preghiera in casa, senza la quale la Messa diventa un rito abitudinario, etc. Ragionamenti di un Vescovo che non sa più che cosa sia la Messa, cosa sia il culto pubblico della Chiesa, in alcun modo sostituibili con la preghiera personale. E infatti di cosa si preoccupa il Vescovo? Che «in queste domeniche ci mancherà la dimensione comunitaria, pilastro del nostro cammino di fede!». Non ci mancherà il sacrificio di Cristo, non ci mancheranno le grazie riversate su tutti coloro che si uniscono a questo sacrificio: no, ci mancherà la dimensione comunitaria!

Mica finita qui. Perché a sostituire il Signore ci penserà lui, il Vescovo: «In questi giorni mi impegnerò io per primo a curare maggiormente i contatti e ad essere presente con video, streaming, messaggi, telefonate. Chiedo di fare altrettanto ai sacerdoti, ai diaconi, ai catechisti, agli animatori». Che fortuna! Così i fedeli della diocesi di Pinerolo potranno riscoprire la preghiera domestica, la lettura della Parola di Dio e vedere con ancora più frequenza il volto degli operatori pastorali. Ovviamente in attesa di incontrarsi di persona per “fare comunità”...

Siccome è noto che in cauda venenum, Derio richiama una preoccupante affermazione del teologo don Marco Gallo, secondo la quale «la libertà di culto non è un bene assoluto, ma vive in equilibrio con una presenza evangelica nei territori e nei contesti. Soprattutto, per riportare alla questione liturgica, la libertà di culto non coincide con il culto pubblico ad ogni costo. Bisogna aver fiducia nella liturgia, che sa aspettare i tempi opportuni, trasformarsi in gesti ancor più discreti, in contatti differenti».

Fuffa curiale a parte, dove si voglia arrivare a parare è chiaro. La domanda però cui rispondere è sempre quella che già ponevamo a marzo, quando era stata la Conferenza Episcopale Italiana a sospendere le Messe in tutto il territorio: per quale ragione può essere acconsentito l’accesso ai luoghi predisposti per l’approvvigionamento del cibo materiale e non invece a quelli per il cibo spirituale? Quale arbitrario riduzionismo antropologico include l’alimentazione tra i beni indispensabili per l’uomo e non invece il culto di Dio? Olivero e Gallo devono stare molto attenti a portare avanti questo discorso, perché ovunque, nel mondo e nella storia, il diritto di culto sia stato negato, a partire dal Faraone, sempre si sono portate motivazioni in ordine ad un presunto bene pubblico.

A nulla servono le patetiche scuse che Olivero pone «alle persone sensibili che magari verranno scandalizzate da questa scelta». Non di scuse c’è bisogno, ma di pentimento e cambiamento. Le anime hanno bisogno della Messa e dei sacramenti e i Vescovi non hanno alcun diritto di negarli loro, a meno che non siano stati previamente colpiti da legittime pene ecclesiastiche: «I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti» (can. 213). L’obbedienza dei fedeli ai loro legittimi Pastori, questa sì non è assoluta; ai Pastori che al posto di un cibo sostanzioso danno veleno, ai Pastori che privano i fedeli del nutrimento, non è dovuta alcuna obbedienza.

È evidente che il lockdown, prima che nelle strade, dev’essere già da tempo nel cervello di molti. Resta da capire cosa farà la CEI, sempre tanto zelante a richiamare al principio della comunione dell’episcopato quei (pochi) vescovi che hanno provato a introdurre, motu proprio, qualcosa di cattolico nelle proprie diocesi. Qui invece abbiamo una fuga in avanti del Vescovo di Pinerolo, una scelta che egli ha preso da solo, accompagnato solamente dalla comunità valdese, che peserà sulle spalle dei poveri fedeli. Una fuga in avanti che potrebbe stimolare imitatori. E in questo momento, proprio non ne abbiamo bisogno.