Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Luigi Maria Grignion di Montfort a cura di Ermes Dovico
La fede tra le note

Quei musicisti in dialogo con Dio

Ascolta la versione audio dell'articolo

Bach, Beethoven, Mozart, Rossini, Verdi: grandi compositori che grazie alle loro composizioni hanno pregato e ancora oggi ci aiutano a pregare. Una carrellata di versi e musica per non dimenticare la memoria di Santa Cecilia che cade oggi. 

Cultura 22_11_2023

Note sul pentagramma e una melodia corre veloce nell’aria: la matematica diviene suono e colori dell’anima, penetra nelle vie più nascoste del cuore e in tutto questo armonioso suono si scorge l’infinito di Dio. Potrebbe essere questa una sintesi estrema di ciò che è la musica. Discorso ampio, arduo e coraggioso: sarebbe necessario ripempire pagine di saggi sul valore e l’importanza della musica, sulla sua potenza di mettere l’uomo in contatto con il Creatore. In fondo, le stesse Sacre Scritture ci parlano di questo “segreto”, della possibilità che la musica e il canto possano aprire l’animo all’ascolto del Signore: nella Sacra Bibbia sono circa 600 i passi che parlano di musica e  la maggioranza di questi riferimenti si trovano nell’Antico Testamento. Tutta la Scrittura diviene così un continuo canto, una continua lode a Dio.

A lodare Dio con la musica, col canto, ci ha pensato santa Cecilia (di cui oggi ricorre la memoria liturgica), venerata come patrona della musica, dei musicisti e dei cantanti. E tra i musicisti e la fede c’è sempre stato un discorso che si potrebbe definire “aperto”: a volte dialettico, dilemmatico, mentre altre volte quasi naturale, spedito e semplice. Sfogliando il grande libro della musica, tra le biografie che si sono alternate nel corso dei secoli, ci viene presentato un quadro assai complesso: in alcuni casi ci troviamo di fronte a compositori che hanno dedicato alla fede la maggior parte del loro reportorio compositivo (viene in mente il tedesco Johann Sebastian Bach). In altri compositori, invece, il dialogo si fa più “problematico”, meno spedito, come ad esempio nel nostrano Giuseppe Verdi, il musicista per eccellenza del melodramma ottocentesco italiano e non solo.

La panoramica dei compositori che con Dio hanno avuto un particolare dialogo interiore (e musicale, s’intende) è vasta e percorre ogni epoca: titani del pentagramma davanti all’Assoluto, a Dio e alla Sua sconfinata potenza. C’è un elemento in comune fra tutti questi artisti che è necessario sottolineare: la cosciente “piccolezza” di fronte alla sconfinata potenza del Signore. Anche nei compositori più immensi, più colmi della propria personalità, questo senso del proprio limite è un letimotiv delle loro biografie.

È questo il caso di Ludwig van Beethoven. Nel suo testamento di Heiligenstadt  - una lettera indirizzata ai suoi fratelli Kaspar Karl e Nikolaus Johann, scritta il 6 ottobre 1802 a Heiligenstadt, un sobborgo di Vienna - troviamo scritto: «Dio Onnipotente, Tu dall’alto guardi nella mia anima intima, leggi nel mio cuore e sai che è colmo d’amore per l’umanità». Il compositore tedesco si rivolge a Dio come Padre e invocazioni di questo genere compariranno più volte nei suoi scritti privati: sono continui riferimenti al Signore, preghiere vere e proprie rivolte a Dio da un’anima in ricerca. Espressioni come «Oh Dio, Dio, guarda quaggiù l’infelice Beethoven» oppure «Dio aiutami! Tu mi vedi abbandonato da tutta l’umanità, poiché io non voglio fare del male. Ascolta la mia preghiera». E ancora: «Solo tu, onnipotente, vedi nel mio cuore».

Queste espressioni sono una chiara testimonianza della sua fede in un Dio che «è immateriale, perciò è superiore ad ogni comprensione; poiché è invisibile non può avere alcuna forma». Eppure anche se «invisibile», dalle «sue opere noi siamo consapevoli che egli è eterno, onnipotente, onnisciente e onnipresente». Un animo così sacro non poteva che esprimere il proprio bisogno di Dio se non in musica. Ed è per questo che ancora oggi chiunque ascolti una sua composizione non può che venire letteralmente travolto da un’ondata di bellezza e pace, di ristoro dell’anima, come avviene per la Nona sinfonia o per la Missa solemnis.

Vita dissoluta, piena di vizi e certamente non propriamente santa quella di Wolfgang Amadeus Mozart, il compositore salisburghese autore del famoso Requiem. Eppure, ascoltando una sola nota di questa composizione, ci si rende subito conto del suo perenne dialogo con Dio: un’anima inquieta che aspirava al Cielo. Vengono in mente le parole di Cherubino delle sue Le nozze di Figaro: «Ricerco un bene fuori di me, non so chi ’l tiene, Non so cos’è».  Quel bene non poteva che essere Amore, Dio: quel Dio che troviamo citato spesso nel suo epistolario. Il primo documento reca la data 25 ottobre 1777: «Papà può vivere tranquillo, io ho sempre Iddio dinanzi agli occhi. Riconosco la sua Onnipotenza, temo la sua ira, ma riconosco pure il suo Amore, la sua Compassione e la sua Misericordia in relazione alle sue creature; egli non abbandonerà mai i suoi servi. Tutto ciò che va secondo la sua volontà, questo piace anche a me, di conseguenza nulla può mancarmi, ed io sono felice e contento».

Le citazioni sarebbero infinite. Solo un’altra per avere un quadro completo della sua anima: la mamma di Mozart è appena morta, ma Wolfgang non osa comunicare la notizia direttamente al padre. Pregherà l'abate Joseph Bullinger di farlo. Comunque, nella lettera al padre, datata 3 luglio 1778, colpiscono queste parole di affidamento al Signore: «Poniamo la nostra fiducia in Dio e confortiamoci con il pensiero che tutto va bene se va secondo la volontà dell’Onnipotente, perché Egli sa più di tutti noi quel che è giusto e vantaggioso sia per la nostra felicità e la nostra salute terrena sia per quella eterna».

Altro compositore che ha avuto una vita non certamente ortodossa è Gioacchino Rossini che in una prima parte della sua biografia dovrà molto alla sua formazione musicale e intellettuale alla Chiesa. A dieci anni, Gioacchino, nella paterna Lugo di Romagna - dove la famiglia Rossini va ad abitare per quattro anni - conosce  due sacerdoti: sono i fratelli Giuseppe e Luigi Malerbi, entrambi musicisti e animatori della vita artistica della città vicino Ravenna. “Don Giuseppino”, così lo chiamava il piccolo Gioacchino, introdusse il giovane alla pratica della tastiera anche in funzione di quella forma di accompagnamento improvvisato propria dei secoli XVII e XVIII. 

E fu grazie alla copiosa biblioteca musicale dei fratelli Malerbi che Rossini ebbe la possibilità di avvicinarsi alle opere di Mozart, Händel, Bach, Gluck, Haydn, suoi maestri per sempre. Durante il periodo della permanenza a Lugo e la successiva ammissione al Liceo Musicale di Bologna nel 1806, nasceranno le prime composizioni sacre del giovanissimo Rossini. Fra queste pagine, ben quattro Messe: quella di Milano; di Bologna (1808); di Ravenna (1808) e di Rimini (1809), la cui autenticità è ancora incerta. I titoli delle messe non sono attribuiti dall’autore, ma prendono il nome dal luogo in cui sono attualmente conservate le fonti principali. Rossini, successivamente, tutto preso dalle composizioni operistiche abbandonerà il sacro per riprenderlo solamente nell’ultima stagione della vita, quella del suo ritiro a Parigi. È qui che nasceranno capolavori sacri come lo Stabat Mater e la Petite messe solennelle.

Tra note sul pentagramma e versi di preghiera il passo è breve perché «la musica, la grande musica, distende lo spirito, suscita sentimenti profondi ed invita quasi naturalmente ad elevare la mente e il cuore a Dio in ogni situazione, sia gioiosa che triste, dell’esistenza umana. La musica può diventare preghiera». (Benedetto XVI, Sala Nervi, 17 ottobre 2009,  in occasione del concerto dell’accademia pianistica internazionale di Imola). Bach, Beethoven, Mozart, Rossini, Verdi: grandi compositori che grazie alle loro composizioni hanno pregato e ancora oggi ci aiutano a pregare.