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POLITICA

Resa dei conti nel Pd sulla pelle degli italiani

La vicenda dell'elezione a sorpresa dell'alfaniano Salvatore Torrisi alla presidenza della Commissione Affari costituzionali del Senato invece del piddino Giorgio Pagliari, fa emergere la spaccatura del Pd e le manovre per far fuori Renzi in vista delle primarie del partito dove potrebbe riportare la classica vittoria di Pirro.

Politica 07_04_2017
Salvatore Torrisi

Nel recinto del Partito Democratico il terreno si fa sempre più scivoloso. E le tensioni rischiano di travolgere l’intero governo. I fatti sono noti: tutto nasce dall’elezione dell’alfaniano Salvatore Torrisi (eletto con 16 voti) e dalla bocciatura del democratico Giorgio Pagliari (11 voti) a capo della Commissione Affari costituzionali del Senato, l’organismo che ha in mano le leve della materia elettorale e quindi del dibattito in Aula per decidere quale modello di legge elettorale portare avanti. Tale confronto, già molto problematico, considerate le numerose e inconciliabili posizioni dei vari partiti e delle varie correnti all’interno dei partiti, a questo punto potrebbe subire un’accelerazione o, al contrario, uno stop.

«È stato tradito il patto di maggioranza, siamo preoccupati. Ora la legge elettorale è a rischio», ha subito sbottato Lorenzo Guerini. «Spero che si riesca a evitare la crisi di governo, ma quello che è successo è un fatto grave», gli ha fatto eco il Ministro della Giustizia e candidato alle primarie del Partito Democratico, Andrea Orlando. 

E così ora il Pd - mentre prova a correre ai ripari e a fare pressioni su Alfano perché costringa il neopresidente della commissione a dimettersi, cosa che il Ministro degli Esteri ha già fatto – chiede contemporaneamente un incontro al premier Paolo Gentiloni e al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Per scongiurare il peggio. Ma dentro il Partito democratico tutti si guardano con reciproco sospetto. Perché il pensiero forse non viene espresso a parole, ma è nella testa di tutti: chi è stato a tradire? E intanto Torrisi non ci pensa neppure lontanamente a dimettersi, anzi reagisce stizzito: «L’intervento di Alfano mi sembra irrituale e inconcepibile, manco il Pcus, Partito comunista sovietico faceva queste cose. Sono seriamente preoccupato per lui».

«Siamo da tempo abituati all’uso del voto segreto non più su questioni di coscienza, quanto per manovre politiche sempre più volgari e ipocrite. Questa volta si è superato il limite», ha tuonato in modo sibillino il capogruppo del Pd, Luigi Zanda. Che poi ha aggiunto: «Il fronte politico che oggi si è formato per l’elezione del nuovo presidente della Commissione Affari Costituzionali al Senato riunisce in una singolare unità tutta l’opposizione, da Forza Italia ai Cinque Stelle passando per la Lega Nord. A voto palese litigano e si insultano, a voto segreto si muovono insieme». A spingersi ancora più in là con le allusioni è Alfano, direttamente chiamato in causa: «L’elezione di Torrisi è senz’altro un segno di stima da parte dei colleghi per il lavoro svolto in questi anni. A questa elezione, però, noi di Alternativa Popolare non abbiamo contribuito perché siamo leali agli accordi di maggioranza cui abbiamo sempre corrisposto». Come a dire: «Guardate in casa vostra, perché è stato eletto con i voti del Pd». 

Insomma, analizzando quest’ultima vicenda politica sembra quasi di rivedere ancora vivo e vegeto quel fronte del No che ha combattuto – e poi vinto – la sua crociata contro il referendum costituzionale lo scorso dicembre. Dove la guerra non era tanto contro le riforme volute da Matteo Renzi e dai suoi fedelissimi, ma contro Renzi stesso. E contro tutti quelli che lo hanno appoggiato e supportato. Alfano compreso. 

Anche stavolta, infatti, i primi a essere danneggiati da questo incidente al Senato sono proprio loro: Renzi e Alfano. Renzi, in particolare, che aveva promesso di lasciare la politica qualora avesse perso il referendum costituzionale del 4 dicembre (ma molti cronisti politici sembrano aver dimenticato troppo in fretta quel solenne impegno di fronte agli italiani, poi disatteso, sia dall’ex premier che dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi), non dorme sonni tranquilli. Ora come Presidente della commissione affari costituzionali, dopo le dimissioni di Anna Finocchiaro, per la prima volta c’è qualcuno che non risponde più a lui e che potrebbe non eseguire i suoi ordini. La discussione sugli aggiustamenti e i correttivi in materia elettorale avrà, quindi, un cammino più lento e più incerto. 

E così questa rischia di essere una maledizione per l’ex Presidente del Consiglio, che da mesi spinge per andare alle urne ma senza successo. L’attuale situazione economica italiana, infatti, lo preoccupa profondamente. Tanto che i ministri tecnici (in particolar modo Carlo Padoan) in queste ultime settimane si sono ritrovati ad affrontare le sue sfuriate in particolare proprio sulle misure economiche da varare, soprattutto quelle fiscali.  Il perché non è un mistero: l’ex Presidente del Consiglio teme che la manovra economica d’autunno - che si annuncia molto vessatoria soprattutto nei confronti del cosiddetto “ceto medio” – lo travolga come un fiume in piena. E vorrebbe che i cittadini tornassero a votare prima di assistere all’ennesima pioggia di tasse, di cui lui sarebbe considerato il principale responsabile. In conclusione, l’appuntamento delle primarie del 30 aprile per Renzi rischierebbe di essere la classica vittoria di Pirro. Riconquisterebbe il proprio partito ma perderebbe definitivamente il Paese.