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IMMIGRAZIONE

Richiedenti asilo: tutte le scuse per non rimpatriarli

Come arrivino in Italia illegalmente migliaia di africani e di asiatici è chiaro.  Come riescano a non farsi respingere, anche. La magistratura è estranea al gioco? A giudicare da certe sentenze, si direbbe di no. Basti pensare che per immigrati irregolari che arrivano da Paesi in cui si riscontrano casi di Covid inferiori a quelli in Italia, viene negato il rimpatrio per motivi sanitari

Editoriali 21_09_2020
Test del tampone a un'immigrata asiatica

Come arrivino in Italia illegalmente migliaia di africani e di asiatici, con che mezzi e aiutati da chi, è chiaro.  Come riescano a non farsi respingere, anche: chiedono asilo sostenendo di essere in fuga da minacce alla vita e alla libertà. Le commissioni territoriali incaricate di esaminare le richieste ne respinge la maggior parte: a giugno, ad esempio, l’81 per cento delle richieste sono state respinte. Ma il richiedente asilo ha diritto di ricorre in Cassazione e di solito ne approfitta, dal momento che lo stato italiano gli concede il gratuito patrocinio.

A chi obietta che una sentenza dovrebbe bastare, i difensori dell’emigrazione illegale replicano che il diritto alla difesa è universale e aggiungono che, siccome molti ricorsi sono accolti, vuol dire che sono fondati e che le Commissioni territoriali funzionano male: “tali percentuali accentuano l’impressione che una parte notevole delle decisioni negative adottate dalle Commissioni territoriali siano infondate e dunque il giudizio sulla vicenda della persona sia stato svolto in modo poco approfondito. A ciò rimedia successivamente il giudice, figura imparziale”.

A leggere certe sentenze però, qualche dubbio nasce. Il 25 giugno, ad esempio, il tribunale di Napoli, Sezione specializzata in materia di immigrazione, ha autorizzato il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari a un cittadino pakistano pur ammettendo che il diniego della Commissione territoriale era fondato in considerazione della dubbia credibilità delle ragioni addotte dall’uomo. La motivazione del tribunale è stata il COVID-19. I giudici, “accertato che la pandemia ha assunto in Pakistan particolare gravità e diffusione, hanno giudicato determinante il fatto che, stando a fonti internazionali, il sistema sanitario pakistano per effetto di una diffusa privatizzazione che ha consolidato un orientamento commerciale alle cure mediche” garantisce scarsi servizi sanitari ai poveri. Costringere l’uomo a rientrare in patria lo avrebbe esposto a condizioni di “estrema vulnerabilità” e il suo diritto alla salute sarebbe stato gravemente compromesso. Da notare che in Pakistan alla data del 19 settembre i casi di COVID-19 erano 305.031, i morti 6.415 su 212 milioni di abitanti; in Italia i casi sono 293.025 e i morti 35.658 su 60 milioni di abitanti.

Una ordinanza del tribunale di Palermo del 20 gennaio 2020 invece ha dichiarato nullo un decreto di respingimento adottato dal questore di Agrigento nei confronti di un cittadino tunisino avendo accertato che nessuno al momento dello sbarco lo aveva informato della possibilità di chiedere protezione internazionale o gli aveva domandato se intendesse chiedere asilo, precludendogli l’accesso alla procedura di asilo, motivo per cui il giorno stesso del suo arrivo gli era stato notificato il respingimento: “deve ritenersi che il provvedimento di respingimento è illegittimo – si legge nella sentenza – ogni volta che non è stato rispettato il dovere di informazione (e ciò in ragione del fatto che, come visto, l’avvenuta presentazione di una domanda di protezione internazionale sarebbe ostativa al respingimento)”. Il cittadino tunisino è stato quindi trattenuto presso il Centro di prima accoglienza di Caltanissetta dove ha presentato istanza di protezione internazionale.

C’è poi un decreto del 10 luglio del tribunale di Ancona con cui è stata concessa protezione sussidiaria a un cittadino del Mali a causa del livello di violenza nel paese “che ha raggiunto negli ultimi anni un’intensità così elevata che un civile correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio del paese o della regione interessati, un rischio effettivo di subire danni gravi”. La direttiva UE che nel 2004 ha introdotto la protezione sussidiaria prevede che gli stati membri possano verificare se i timori del richiedente asilo di essere perseguitato o di subire danni gravi e ingiustificati riguardano una zona circoscritta del paese di origine e quindi se il richiedente possa essere trasferito in un’altra parte del paese dove non ha motivo di temere per la sua persona. È il caso del Mali, dove estesi territori sono da considerarsi sostanzialmente sicuri. Tuttavia il tribunale ha deciso che i cittadini maliani hanno diritto a protezione sussidiaria a prescindere dalla regione di provenienza perché il contrasto al jihad è insufficiente nonostante la presenza delle forze Onu della missione di peacekeeping Minusma e di quelle regionali della iniziativa militare G5 Sahel a sostegno delle forze di sicurezza nazionali.   

Un ultimo caso, ma ancora altre sentenze si potrebbero citare, riguarda il tribunale di Perugia che il 30 luglio ha accolto un'istanza sospensiva di un decreto di espulsione a carico di un cittadino nigeriano, a suo dire condannato nel proprio paese per il reato di omosessualità. Lo ha fatto basandosi sulla recente giurisprudenza della Cassazione relativa al “beneficio del dubbio”. Secondo tale orientamento “il dubbio circa la credibilità deve essere risolto a favore del dichiarante”.

Merita ricordare che il gratuito patrocinio viene concesso ai richiedenti asilo in quanto indigenti. Quindi devono dimostrare di esserlo tramite certificazione consolare attestante la veridicità di quanto da loro dichiarato. Ma a partire almeno dal 2014 una serie di tribunali ha deciso che per dimostrare la mancanza di redditi nel paese di origine, e ottenere quindi il gratuito patrocinio, è sufficiente una autocertificazione con allegata l’istanza senza esito al proprio consolato.