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EDITORIALE

Riforma del Senato era meglio una Costituente

Il Senato è paralizzato dalla riforma che riguarda direttamente la sua trasformazione. Nonostante l'ottimismo mediatico e di governo, siamo solo all'approvazione del secondo articolo su 35 della nuova legge. Era meglio affidare la riforma costituzionale a un'apposita Assemblea Costituente.

Editoriali 04_10_2015
Governo

Tra squilli di trombe mediatiche e grida di gioia ufficiale siamo arrivati al Senato all’approvazione dell’art. 2 di una legge di riforma costituzionale che di articoli ne ha 35. E siccome si tratta di un’approvazione in un testo modificato rispetto a quello ricevuto dalla Camera mancano ancora tre approvazioni (due della Camera e una del Senato) prima di arrivare teoricamente alla fine del percorso. Molto teoricamente, poiché ciò potrebbe essere solo nel caso in cui dall’attuale lettura in poi il testo del progetto di legge non subisse modifica alcuna. In realtà, tenuto conto di come stanno procedendo le cose, c’è il rischio che per tutta la corrente legislatura il Parlamento non si occupi di altro. Stando così le cose, è venuto il momento di domandarsi se il gioco vale la candela, e prima ancora se abbia senso che di una riforma di tale ampiezza sia investito il Parlamento invece di un’apposita Assemblea Costituente. 

Dalla lettura delle norme che la vigente Costituzione contiene, riguardo alle procedure per la sua modifica appare chiaro che i membri dell’Assemblea Costituente pensavano di avere varata una Magna Carta di portata secolare la quale nel tempo avrebbe avuto eventualmente bisogno solo di piccoli ritocchi. Perciò si immaginarono che a questo, in aggiunta ai suoi compiti ordinari, avrebbe potuto provvedere il Parlamento. Nel caso della riforma presentata dal governo Renzi siamo invece di fronte non a dei semplici aggiornamenti bensì a una sostanziale trasformazione dell’impianto istituzionale della Repubblica. Già in precedenza ci siamo detti contrari a tale trasformazione, di cui la riforma del Senato è soltanto uno degli elementi, che mira a riportare lo Stato italiano al centralismo statalista che caratterizzava il Regno d’Italia poi travolto dal fascismo nei primi anni ’20 del secolo scorso. Non è però su questo che vogliamo tornare qui.

I fatti stanno confermando che una riforma di questa ampiezza e di questa incisività non può comunque venire affidata al Parlamento. Non soltanto infatti ha altri compiti, che perciò deve trascurare, ma anche finisce inevitabilmente per piegare un dibattito su norme fondamentali alle urgenze immediate della dialettica corrente delle forze politiche in esso rappresentate e in particolare alla sorte del governo in carica. Accade così, come oggi si vede, che questioni di ampio respiro e di cruciale significato, come appunto il ruolo della Camera alta e il modo della sua elezione, vengano ridotte a semplici carte da giocare nello scontro tra Renzi e i suoi oppositori dentro il Pd. Se poi la situazione fosse più sana,  e dunque lo scontro fosse quello classico tra maggioranza di governo e opposizione, in sostanza si continuerebbe a stare su un campo sbagliato.

Beninteso, anche un’Assemblea Costituente si articolerebbe in diversi schieramenti, ma sui suoi membri  non graverebbero tutti i vincoli e tutti i condizionamenti che incombono sui parlamentari in quanto sostenitori o viceversa oppositori del governo in carica. Visto insomma come stanno andando le cose sarebbe meglio che il Parlamento votasse piuttosto una legge di riforma costituzionale della procedura di modifica della Costituzione stessa. Una legge la quale stabilisse che, in caso di modifiche ampie della Carta costituzionale, la questione passi alla competenza di un’Assemblea Costituente appositamente eletta dal popolo. Oggi come oggi sembra un sogno, ma sarebbe tuttavia la soluzione più ragionevole.

Governo e Parlamento potrebbero nel frattempo impegnarsi in riforme della legislazione ordinaria che sono forse anche più urgenti. L’altro giorno l’alluvione di Olbia, riaccaduta nelle medesime aree già alluvionate due anni fa, è venuta a ricordarci quanto inefficiente sia la pubblica amministrazione  in Italia. Lasciando ad altri di impegnarsi nella riforma della Costituzione sarebbe molto meglio che il governo si impegnasse a venire a capo del ginepraio di norme, di confusioni di competenze e di poteri di veto incrociato che sono all’origine di episodi scandalosi come la recente alluvione di Olbia. Anche qui, come già si disse a proposito della Sanità, la strada da imboccare è sempre la stessa, quella dell’autonomia responsabile. Che cosa si ottiene percorrendo la strada opposta è già stato abbondantemente dimostrato.