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CREATO

Se al Papa piace la decrescita felice

Il messaggio per la Giornata mondiale del Creato, con la sua sequenza di analisi economiche ed ecologiche e di assunti politici altamente discutibili, pone un problema cruciale: l'introduzione nel magistero di tesi scientifiche e di opinioni politiche per loro natura provvisorie e opinabili, arrivando a sposare un approccio che è la negazione del pensiero cristiano.

Editoriali 03_09_2020

«Non si può vivere in armonia con il creato senza essere in pace col Creatore, fonte e origine di tutte le cose». Questa affermazione di papa Francesco, che fa peraltro riferimento a una citazione di papa Benedetto XVI, dovrebbe essere centrale in ogni serio discorso che riguarda il rapporto dell’uomo con la natura, con la realtà che lo circonda. Invece si trova buttata lì, in mezzo al messaggio del papa per la Giornata mondiale del Creato diffuso l’1 settembre, che è un susseguirsi di affermazioni politiche, economiche, sociologiche molto discutibili e a tratti imbarazzanti. Non per niente il messaggio sulla Giornata del Creato ha fatto notizia soprattutto perché appare come il manifesto cristiano per la decrescita felice, condito con il solito schema ricchi contro poveri e Nord contro Sud, con l’esaltazione dell’indigenismo e dell’(improponibile) equilibrio che i popoli dell’Amazzonia vivrebbero con la natura, con i (discutibili) benefici ambientali dei lockdown seguiti alla pandemia da coronavirus.

Cioè, il riferimento a Dio creatore appare come un richiamo ideale e fuggevole che resta però isolato e slegato da tutti gli argomenti trattati, che hanno più a che fare con le campagne del WWF o con schemi vetero-marxisti. La realtà invece è molto più complessa e ad esempio – se stiamo al tema dello sfruttamento selvaggio dell’ambiente – dobbiamo riconoscere che il problema non sta tanto nel rapporto squilibrato tra paesi ricchi e paesi poveri, ma soprattutto nella negazione di Dio creatore, come diceva Benedetto XVI. Non per niente Unione Sovietica e Cina comunista, due regimi atei per definizione, sono quelli che maggiormente hanno provocato disastri ambientali: la distruzione del Lago di Aral e l’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl sono solo due tragici esempi che riguardano l’Unione Sovietica, e quanto alla Cina c’è solo l’imbarazzo della scelta: basti solo una testimonianza di questi giorni – documentata su facebook da un missionario italiano - sui disastri provocati in Centrafrica dalle società cinesi che cercano l’oro (sta accadendo in diversi paesi africani). Parliamo proprio di quella Cina che il cancelliere delle Pontificie Accademie per le Scienze e le Scienze sociali, monsignor Marcelo Sanchez Sorondo, ha definito il paese che meglio applica la Dottrina sociale della Chiesa.

Ma aldilà della discussione sulle singole analisi, si deve rilevare il vero punto critico di messaggi come questo, una questione già sollevata per l’enciclica Laudato Si’ e che probabilmente – stando almeno alle indiscrezioni – sarà ulteriormente accentuata nella nuova enciclica di prossima uscita: ovvero la tendenza a far diventare magistero tesi scientifiche e analisi politiche che per loro natura sono provvisorie e opinabili. Ovvero, da una parte si ignora la vera dottrina, materie di fede e morale che fanno parte del patrimonium fidei della Chiesa e costituiscono la verità sull’uomo, su Dio e sulla realtà; e dall’altra si fanno diventare dottrina quelle che nella migliore delle ipotesi possono essere delle conseguenze possibili di uno sguardo cristiano sulla realtà, ma che molto più spesso sono il frutto della mentalità di questo mondo.

È una questione altamente problematica perché in questo modo la Chiesa smette di annunciare verità eterne per gettarsi a capofitto nelle dispute politiche contingenti, creando maggiori divisioni e confusione nel mentre pensa di contribuire all’unità del genere umano.

C’è poi una conseguenza immediata sul piano dei contenuti. Se si abbandonano le categorie della fede nel giudicare il mondo (perché il mondo non le capisce) e, in nome del dialogo e della comprensibilità, si assumono invece categorie mondane, l’esito è scontato. Nella fattispecie, parlando di creato, si sposa un’antropologia ben distante, se non opposta, da quella cristiana: l’uomo smette di essere il vertice della creazione – chiamato da Dio a «soggiogare la terra» (vedi l’enciclica Laborem Exercens di san Giovanni Paolo II, 1981) – per diventare parte di un tutto, di una “comunità vivente”, come viene definita dalla Carta della Terra, i cui echi ritroviamo sia nella Laudato Si’ sia nel messaggio per la Giornata del Creato. La Carta della Terra è un documento approvato nel 2000 all’Unesco, che raccoglie i principi etici fondamentali e globali che avevano ispirato le Conferenze internazionali dell’ONU su ambiente e sviluppo e che sono alla base delle politiche globali attuali, in cui è l’attività e la stessa presenza dell’uomo a costituire un problema per gli ecosistemi.

È a sua volta uno dei frutti del “monismo” di Ernst Haeckel (1834-1919), il padre dell’ecologia, che applica il darwinismo sociale al rapporto tra uomo e natura. È la negazione della filosofia e dell’antropologia cristiana. Che faccia capolino in documenti magisteriali è quantomeno preoccupante.