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LA SENTENZA

Se in Vaticano la libertà di stampa è nel diritto divino

C’è qualche rapporto c’è tra il «diritto divino» e la «libertà di manifestazione del pensiero» e la «libertà di stampa»? Lo ha trovato il Tribunale vaticano che emesso la sentenza sul cosiddetto Vatileaks, riconoscendo il proprio difetto di giurisdizione, ha assolto i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi dal reato di divulgazione di notizie segrete. 

Editoriali 12_07_2016
Il Tribunale vaticano: in primo piano Francesca I. Chaouqui

Sabato scorso su queste colonne (clicca qui) mi sono soffermato su alcune evidenti anomalie della sentenza - della quale finora si conosce solo il dispositivo - con cui il Tribunale vaticano, riconoscendo il proprio difetto di giurisdizione, ha assolto i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi dal reato di divulgazione di notizie destinate a restare segrete, che avevano ricevuto dai coimputati  Angel Lucio Vallejo Balda e Francesca I. Chaouqui: costoro invece sono stati condannati. 

Dedico qualche parola in più al collegamento che il dispositivo - dopo aver riconosciuto il difetto di giurisdizione - ha operato tra il «diritto divino» e la «libertà di manifestazione del pensiero» e la «libertà di stampa», in nome delle quali i giornalisti sono stati assolti. Torno su questo passaggio, sollecitato dall’intervista che il presidente del tribunale Giuseppe Dalla Torre ha rilasciato al Corriere della sera di domenica scorsa: «Si parla di diritto divino nel senso del diritto naturale, posto all’atto della creazione e comune a tutti gli uomini. Nel diritto naturale è compreso il diritto alla manifestazione libera del pensiero e quindi anche all’uso dei mezzi di comunicazione sociale». A conferma di ciò, Dalla Torre ha citato un discorso rivolto da Papa Pio XII ai giornalisti cattolici nel 1950 e il decreto Inter mirifica del Concilio Vaticano II, il primo per sottolineare il carattere patologico del mutismo dell’opinione pubblica, il secondo per segnalare l’importanza del diritto alla informazione. 

Le ragioni di perplessità sono più d’una: 1) se le parole hanno un senso, giova ricordare che nell’insegnamento di S. Tommaso d’Aquino, che riprende una tradizione giuridica esistente da secoli, a cominciare da Aristotele, e informa di sé la sistemazione successiva, l’espressione «legge divina» non è utilizzata. Si usano i termini «legge eterna», «legge naturale» e «legge positiva».  La “legge eterna” viene definita «summa ratio in Deo exsistens»: è la causa prima di tutte le cose, da essa derivano le altre leggi, quelle che si possono chiamare le leggi delle scienze naturali fino alle leggi della ragione teoretica e pratica. 

La “legge naturale” non è qualcosa di essenzialmente diverso dalla “legge eterna”, ne è anzi una partecipazione: la partecipazione consiste nella inserzione in ogni creatura dei principi fondamentali del suo essere. Alla scuola di S. Tommaso taluno distingue poi fra “legge naturale” - che richiama le relazioni dell’uomo con tutti gli altri esseri - e “diritto naturale”, che fa riferimento esclusivo alle relazioni degli uomini fa loro. Con un po’ di buona volontà e con l’aiuto dello stesso presidente del Tribunale vaticano, si apprende che il “diritto divino” di cui parla il dispositivo della sentenza in realtà sta per “diritto naturale”: comunque qualcosa di serio e di impegnativo; 

2). Leggendo i documenti del Magistero chiamati in causa dal presidente Dalla Torre, si ha però  l’impressione che si riferiscano ad altro. Il discorso di Pio XII interviene qualche anno dopo la conclusione del secondo confitto mondiale e in coincidenza del consolidamento nel mondo dei regimi comunisti: il Santo Padre parla della condizione di mutismo dei popoli, come una delle caratteristiche dei sistemi totalitari. Nella stessa direzione si colloca Inter mirifica. Quale attinenza con la propalazione di documenti interni alla Città del Vaticano, destinati a restare segreti? 

3). Il punto decisivo è questo: Angel Lucio Vallejo Balda e Francesca Chaouqui sono stati condannati per aver divulgato documenti interni alla S. Sede; è stato leso un vincolo di riservatezza, a presidio del quale vi è addirittura la sanzione penale. Il che vuol dire che nella comparazione fra diritto a conoscere le informazioni contenute in quei documenti e diritto della Chiesa a tutelarne la segretezza prevale la seconda esigenza. Che senso ha allora richiamare, addirittura fondandola sul “diritto divino”, rectius “naturale”, la libertà di stampa e di manifestazione del pensiero per Nuzzi e Fittipaldi? Si attende risposta dalla motivazione della sentenza, la cui articolazione sarà prevedibilmente più ampia e approfondita di una intervista. É vero che la prassi diffusa fra i giudici italiani va in questa direzione, ma non è propriamente definibile una best practice. E neanche una pratica “divina”.