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ESTERI

Solo l'Eni sta facendo politica nel Mediterraneo

I governi che si sono succeduti rapidamente da Berlusconi a Renzi hanno brillato per assenza di una politica mediterranea degna di questo nome. Passi per Berlusconi che era in uscita allo scoppio delle primavere arabe, ma Renzi non ha scuse. Solo l'Eni, col progetto di sfruttamento del giacimento Zohr fa gli interessi dell'Italia.

Editoriali 10_12_2016
L'Italia vista dal Mediterraneo

Benché avesse inaugurato il suo governo scegliendo simbolicamente Tunisi invece di Washington quale meta della sua prima missione ufficiale all’estero, Matteo Renzi si è poi disinteressato del Mediterraneo. L’ideale richiamo a La Pira, numen loci della sinistra cristiana fiorentina e tema della sua tesi di laurea, in effetti non gli ha poi impedito di volgere tutte le sue attenzioni a Bruxelles (e quindi a Berlino) non senza ripetute strizzatine d’occhio alla Washington di Obama. Tra le molte eredità negative del governo Renzi la mancanza di una politica mediterranea è poco nota, ma resta ciononostante una delle più gravi. 

Il ritiro degli Stati Uniti dal Mediterraneo e dal Vicino e Medio Oriente - già iniziato con Obama ma cui di certo Trump darà ulteriore e forte impulso -  rende sempre meno giustificabile per il nostro  Paese la politica estera “strabica” cui lo costrinsero le potenze atlantiche vincitrici della Seconda guerra mondiale. Allora fu inevitabile, e magari anche salutare, aderire al Patto Atlantico e alla Nato, ossia all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico. Nondimeno avrebbe dovuto essere fin da allora chiara, e tanto più deve esserlo adesso, l’assoluta artificiosità di tale collocazione per un Paese come il nostro che si protende nel Mediterraneo e nient’affatto nel Nord Atlantico. Finché comunque il Mediterraneo era strettamente presidiato dal grande alleato nordamericano quello strabismo era più o meno sostenibile. Adesso invece sta diventando un lusso che non ci possiamo permettere.

Beninteso, non si può dare per questo la croce soltanto addosso a Renzi. In quanto a insensibilità alla prioritaria importanza che per noi riveste il Mediterraneo  Berlusconi non fu da meno. Basti ricordare l’acquiescenza sua e del suo governo all’attacco della Francia di Sarkozy alla Libia di Ghedddafi, che nel 2011 aprì sulla riva sud del Mediterraneo un vaso di Pandora che poi fino ad oggi non si è chiuso. Lo stesso dicasi del suo atteggiamento passivo di fronte alla crisi del regime di Assad quasi contemporaneamente scoppiata in Siria. Pure in questo caso, qui innanzitutto ad opera del governo di Washington, un momento di tensione non privo di giustificati motivi, ma fatalmente senza prospettive, non venne orientato ed aiutato a puntare solo ai risultati possibili nella situazione data. Si mirò invece cinicamente a farlo precipitare in una guerra civile dalla quale non poteva derivare altro se non quello che oggi è sotto i nostri occhi, ossia spargimento di sangue, distruzioni e instabilità. Se però Berlusconi non seppe o non volle resistere tempestivamente a queste dissennate avventure degli alleati, Renzi ha la responsabilità di aver continuato sulla medesima strada anche quando la gravità della situazione era divenuta lampante.

Adesso, mano a mano che gli Usa si ritirano dal Mediterraneo, alla persistente assenza dell’Unione Europea a guida tedesca fa riscontro l’avanzata della Russia che, dopo essere divenuta protagonista sul teatro della crisi siriana comincia ad affacciarsi anche in Libia, dove si è schierata a favore del governo di Tobruk e del generale Khalifa Haftar. Negli ultimi sei mesi Haftar, che gode anche dell’appoggio dell’Egitto, si è recato per due volte in visita a Mosca, dove ha avuto colloqui ad alto livello. Lo hanno ricevuto sia il ministro della Difesa Sergei Shoigu che il segretario del Consiglio di sicurezza Nikolai Patrushev. 

Haftar controlla la Cirenaica, ove si concentrano i grandi giacimenti di idrocarburi del Paese, e finora nessuna pace sembra possibile in Libia se non al costo di un compromesso tra lui e il governo di Tripoli, variamente sostenuto dall’Occidente; quindi  al costo della concessione alla Russia di una sin qui inedita influenza in Libia. Frattanto l’Isis è stata spazzata via dalla Libia, anche se a prezzo di grandi distruzioni e di un gran numero di morti e feriti. A giustificazione della sua richiesta all’Italia di allestire un ospedale di emergenza presso l’aeroporto di Misurata il governo di Tripoli ha dichiarato che sono circa 3200 i sopravvissuti a ferite riportate durante i combattimenti ai quali non riesce a fornire cure adeguate.

In questa complessa e cruciale situazione brilla l’assenza del governo di Roma, ulteriormente aggravata dalla crisi ora apertasi. Al momento chi difende, seppur a modo suo, gli interessi dell’Italia in Libia è l’Eni che continua imperterrita la sua attività di estrazione e di esportazione del gas verso il nostro Paese, forte del fatto che sono sue le centrali che forniscono energia elettrica a tutte le città del litorale libico. Da Tripoli a Tobruk tutti quanti sono dunque interessati a che i suoi impianti continuino a funzionare. L’Eni ha pure ingenti interessi in Egitto, dove nello scorso giugno ha trovato un altro grande giacimento di gas, che si aggiunge al giacimento Zohr, scoperto nel 2015 al largo del delta del Nilo, la maggiore riserva di idrocarburi mai scoperta nel Mediterraneo, circa 850 miliardi di metri cubi di gas, il cui quinto pozzo è stato perforato nella scorsa estate. Sulla base di queste risorse l’Eni progetta di creare una rete di gasdotti, con crocevia a Cipro, grazie alla quale organizzare in modo congiunto esportazioni verso l’Europa di gas libico, egiziano e israeliano. Quando poi ce ne fossero le condizioni, una rete del genere potrebbe anche, osserviamo, fornire energia per la ricostruzione post-bellica della Siria.

L’entità dell’operazione è tale da avere un’evidente dimensione politica: una dimensione che per natura sua eccede il ruolo di un gruppo industriale per grande e importante che sia.  Sia per dare il meglio che per restare nei suoi giusti binari un’operazione del genere non può che essere collocata in un disegno di politica estera. Già altre volte nella sua storia l’Eni dovette andare al di là del suo ruolo, ma non le fece bene. E’ un rischio che oggi più che mai sarebbe meglio non corresse, ma come fa se il nostro Paese continua a non avere una sua politica per il Mediterraneo?