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TERRORISMO

Strage a Chattanooga Paura di parlare di islam

Dà lezioni di islam sul suo blog personale, ricorda ai suoi lettori la guerra santa combattuta dai compagni di Maometto e poi compie una strage fra i militari americani: quattro marines morti a Chattanooga, nel Tennessee. Questo ha fatto Muhammad Yussuf Abdelaziz. Ma sia i media che le autorità stentano a riconoscere la natura islamica del terrorismo di questo ennesimo "lupo solitario".

Esteri 18_07_2015
Muhammad Yussuf Abdelaziz

“Nessun legame con il terrorismo islamico”. A giudicare da titoli e agenzie, la strage compiuta a Chattanooga, nel Tennessee, dal giovane Muhammad Yussuf Abdellaziz, è il gesto di un folle, paragonabile alla sparatoria nel cinema Aurora (a cui si è arrivati a una sentenza proprio nello stesso giorno) e a quella ancor più celebre nel Virginia Tech. Abdelaziz, armato di mitra, ha sparato contro il locale centro di reclutamento del Corpo dei Marine, poi ha guidato per 10 km e ha compiuto il resto della sua opera di distruzione in un centro di addestramento della riserva dei Marines. Prima di essere a sua volta ucciso, ha assassinato quattro marines e ha provocato almeno altri tre feriti.

Ma Muhammad Yussuf Abdelaziz non è paragonabile in alcun modo allo stragista del cinema Aurora o agli studenti ed ex studenti folli che compiono i massacri nelle scuole. Abdellaziz non era affatto pazzo. I suoi vicini di casa, ex professori, ex istruttori di arti marziali, lo ricordano come una persona lucida, solare, impegnato negli studi e brillante nei risultati, popolare fra i compagni sia a scuola che nello sport. Non era povero, non era in alcun modo un “emarginato”. Naturalizzato americano, dopo essere giunto nel paese da piccolo, era laureato in ingegneria elettronica. Il suo paese di nascita era il Kuwait, alleato di ferro degli Stati Uniti. Oltre alla cittadinanza americana conservava anche, per motivi di parentela, quella della Giordania, altro paese alleato. Non proveniva, dunque, da paesi assetati di vendetta contro gli Stati Uniti.

Le risposte alle domande sulla mattanza, a indagine appena iniziata, forse si possono già trovare nel blog personale di Muhammad Yussuf Abdelaziz. Due post, in particolare, sono stati pubblicati da Site (che monitora le reti del jihadismo sul Web) e ampiamente riportati dai media americani online. Nel blog troviamo soprattutto insegnamenti del Corano e dell’islam. Frequentatore del locale centro culturale islamico (la Islamic Society of Greater Chattanooga), Muhammad era conosciuto da tutti come un musulmano molto praticante. Nel suo articolo “Una prigione chiamata Dunya”, per spiegare il rapporto fra la vita in terra e l’aldilà, Muhammad Yussuf Abdelaziz paragona la vita in terra a un carcere di lusso, pieno di distrazioni. A un certo punto, nella vita del carcerato, irrompe una guardia (Maometto, ndr) portando un fascicolo pieno di istruzioni allo studio. Il prigioniero apprende che, a sorpresa, si terrà un esame e che deve prepararsi su tutto quel fascicolo. Se si farà distrarre dalle gioie del carcere di lusso, non passerà l’esame e passerà il resto della vita nel sotterraneo della prigione, con poco cibo, poca aria e niente luce. Se lo passerà, al contrario, sarà libero in una città a sua scelta. Così questo “imam da tastiera” spiegava il giudizio finale e approfittava per dare la sua visione della vita sulla terra: “per i credenti è una prigione, per i miscredenti sembra il paradiso”, perché si fanno distrarre dalle gioie della vita e non pensano alla vera libertà. A ben vedere è la spiegazione estesa di quel che dicono tutti i jihadisti: “vinceremo, perché amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita”.

Quali siano le istruzioni su come passare il giudizio, Muhammad Yussuf lo spiegava in parte nel post successivo: “Capire l’islam: la storia dei tre ciechi”, la metafora di tre ciechi che cercano di descrivere un elefante e litigano perché ciascuno ne ha toccato un pezzo diverso. Il vero islam, svelato al credente (vedente) include anche una parte che la gente non vuol vedere: combattere la jihad. “L’immagine dei Sahaba (i compagni di Maometto, ndr) che avete in mente è quella di preti che vivono nei monasteri, ma non è vera. Tutti loro, alla fine delle loro vite, erano alla guida di città, al governo di stati o guidavano gli eserciti. I Sahaba (RA) erano impegnati nell’instaurazione dell’islam nel mondo. La loro missione consisteva nell’instaurare l’islam, oltre che nel viverlo”. E alla fine dell’articolo pregava per trovare “la forza di sapere quale ruolo dobbiamo giocare per instaurare l’islam nel mondo”.

Col senno di poi, difficilmente queste lezioni di islam e la strage lucidamente compiuta poco dopo sono da considerarsi fatti slegati, anche se la polizia federale americana ritiene che non contengano alcun elemento utile. Quel che sia i media che le autorità non possono o non riescono a dire è che questo giovane ventiquattrenne di origine araba abbia ucciso in nome dell’islam, alla fine del Ramadan, dopo aver scritto pubblicamente la sua professione di fede e di impegno nella guerra santa. Un analista della Cnn, ex alto ufficiale di polizia, arriva ad affermare “non possiamo sapere se il nome (dello stragista, ndr) sia islamico”. Si chiama Muhammad (Maometto), ma potrebbe essere un arabo cristiano? Del Kuwait? La notizia che “non ci sono legami con il terrorismo islamico” è riferita al fatto che, almeno finora, non si è trovato alcun contatto diretto fra lo stragista di Chattanooga e lo Stato Islamico. Non è escluso che non li avesse, perché l’indagine sta ora spostandosi sul viaggio che Muhammad Yussuf aveva compiuto nelle sue terre d’origine. Ma cosa si potrebbe mai trovare? Stiamo infatti parlando dell’Isis, di un’organizzazione ancora più flessibile rispetto ad Al Qaeda, che invita al terrorismo, ma non lo organizza materialmente all’estero. Non c’è una catena di comando, non ci sono cellule strutturate, né ordini ben precisi, bensì appelli alla jihad e gruppi armati e lupi solitari che li recepiscono. L’ultimo appello dell’Isis era rivolto “a tutti i devoti” affinché uccidessero militari americani. Almeno un devoto ha risposto all’appello.