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EDITORIALE

Sventata strage spiega cosa non va in certo dialogo con l'islam

Solo il coraggio di alcuni passeggeri ha impedito in Francia una strage assai peggiore di quella dello scorso gennaio. Gli atti di terrorismo fai-da-te in Europa aumentano, così come la pericolosità di certe frange dell'islam in Europa. Promuovere un dialogo che non parta da questa realtà è irresponsabile.

Editoriali 23_08_2015
Il terrorista fermato

La prontezza di riflessi e il coraggio di alcuni passeggeri – tra cui due militari americani in borghese – ha impedito che venerdì pomeriggio si compisse una strage sul treno ad Alta velocità Amsterdam-Parigi. Un 26enne marocchino, Ayoub El Qahzzani, salito alla stazione di Bruxelles, non appena varcato il confine con la Francia si è chiuso nella toilette caricando le sue armi – una pistola e un fucile kalashnikov – pronto a fare una strage sul treno affollato (554 persone a bordo). Circostanze fortuite e il coraggio di alcuni passeggeri lo hanno impedito, e il bilancio registra il ferimento di due dei passeggeri americani che lo hanno bloccato, di cui uno in condizioni gravi. Dai primi accertamenti si sa che El Qahzzani è legato ad ambienti dell’islam radicale; aveva vissuto in Spagna e poi era passato in Francia due anni fa non prima di aver fatto una puntata in Siria. E le autorità spagnole lo avevano già segnalato a quelle francesi.

Alla fine si può dire che sia andata bene, ma a nessuno sfugge che c’erano tutte le condizioni per una strage che per dimensioni avrebbe fatto impallidire quella di gennaio che aveva colpito la redazione di Charlie Hebdo e il supermercato ebraico.  E che si sta moltiplicando il rischio di attentati organizzati e attuati da singoli o piccole cellule che prendono decisioni autonome.

Con tutta evidenza la Francia, con i suoi 6 milioni di islamici, è a particolare rischio. Rispondendo alle critiche che parlano di flop dei servizi di sicurezza, questi rispondono affermando che in questo anno sono stati sventati altri sei attentati. È un dato che, nelle intenzioni, dovrebbe rassicurare, in realtà dà l’idea di quanto il pericolo di attentati fai-da-te sia diffuso. E di quanto sia difficile da controllare. È un discorso già affrontato altre volte: è più facile contrastare delle organizzazioni piuttosto che tante singole persone – o microcellule - che in qualsiasi momento possono trasformarsi in terroristi magari ubbidendo a qualche sermone di lontano imam. Non per niente, diversi analisti danno per scontata la necessità della popolazione occidentale di convivere con episodi di terrorismo fai-da-te, come quelli cui stiamo assistendo con un poco rassicurante crescendo.

La Francia, che ha circa 6 milioni di islamici, è da questo punto di vista il paese europeo più a rischio. Certo, non sono 6 milioni di potenziali terroristi, ma sono pur sempre migliaia quelli particolarmente sensibili al richiamo della guerra santa da portare nel cuore dell’Occidente. Non per niente è dalla Francia che partono il maggior numero di volontari alla volta della Siria per combattere al fianco dello Stato Islamico o del Fronte al-Nusra: 1.200, secondo le stime, con altre centinaia pronti a partire. Tra questi anche francesi convertiti all’islam. E quanti tornano sono ovviamente pronti a continuare la guerra santa in patria. È evidente che questa è solo la punta dell’iceberg di una presenza islamica che pone molte domande. Soprattutto, al fondo si deve fare i conti con una comunità – o con una parte consistente di essa – che non ha alcuna intenzione di integrarsi nella società europea. 

Proprio questa realtà evidenzia tutto il limite – per non dire la pericolosità – di una politica migratoria che non tenga conto di questo fattore; ma anche il limite e la pericolosità di un presunto dialogo interreligioso che censuri i dati di partenza, i fatti concreti. Come quello che purtroppo si è visto in apertura del Meeting di Rimini dove un discusso rappresentante islamico francese (di cui abbiamo già scritto qui, qui e qui) è stato lasciato libero di impartire una lezione di dialogo e convivenza come se il problema della violenza e del terrorismo riguardasse tutte le religioni allo stesso modo. Come se i problemi di cui stiamo parlando non abbiano a che fare con l’islam. Dando per scontato che ogni religione sia fattore di libertà e che ogni religione persegua la pace e la fratellanza. 

È un dialogo che ha ormai dimenticato la grande lezione di Ratisbona sul rapporto tra fede e ragione. Succedesse solo al Meeting sarebbe anche irrilevante, ma purtroppo il “politicamente corretto” in materia di religioni (e non solo) domina a tutti i livelli nella Chiesa, a partire da quelli che sono i più grandi organizzatori di incontri interreligiosi, la Comunità di Sant’Egidio. Per non parlare poi di quei vescovi, come Domenico Mogavero di Mazara del Vallo, che non più di 3 giorni fa parlava di “fandonie” sulla guerra santa e si scagliava contro chi sostiene che l’islam mette a rischio «le radici cristiane dell’Occidente». 

A forza di ripetere che l’islam è una religione di pace, che coloro che praticano violenza non rappresentano il vero islam, e di legittimare e riconoscere come interlocutori autorevoli solo leader fondamentalisti, non si fa altro che peggiorare il problema: ignorando e isolando coloro (e ci sono) che dall’interno dell’islam lavorano per una riforma, e consegnando così tutti i musulmani al controllo delle organizzazioni più estremiste.