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DOPO LA BREXIT

Theresa May, la lady di ferro compassionevole

Da ieri pomeriggio è la premier del Regno Unito: Theresa May. Sarà la prima leader donna, dopo Margaret Thatcher e traghetterà il paese fuori dall’Ue. Ecco chi è, dalla sua formazione cristiana alla lotta contro il fondamentalismo islamico. Una lady di ferro che però crede nella dimensione sociale del mercato.

Esteri 14_07_2016
Theresa May

Di lei si dice solamente che non ha figli e porta scarpe eccentriche. Da ieri pomeriggio è la premier del Regno Unito: Theresa May. Nella storia britannica è la seconda premier donna, dopo Margaret Thatcher, di cui condivide le iniziali, anche se alla rovescia. Sarà la donna che traghetterà le isole britanniche fuori dall’Europa.

“Brexit vuol dire Brexit”, ha dichiarato nel corso della votazione per la leadership nel Partito Conservatore, incominciata subito dopo l’annuncio delle dimissioni di David Cameron. Prima del referendum aveva fatto campagna per il Remain. Benché concedesse che su molti aspetti i separatisti avessero ragione, era favorevole a restare nell’Unione Europea. Dopo il referendum, parlando a nome di tutti i conservatori e ora anche a nome di tutti i cittadini britannici, dichiara di aver accettato l’esito del referendum e di volerlo mettere in pratica, “negoziando la miglior soluzione possibile per il Regno Unito nel momento in cui lasciamo l’Ue e forgiamo un nuovo ruolo per noi nel mondo”. Già dalle nomine dei ministri del suo governo, ha dimostrato di fare sul serio, creando un ministero ad hoc per la Brexit affidato a David Davis, conservatore liberale ed euroscettico della primissima ora. E poi, sorprendendo la stampa di tutto il mondo, ha nominato Boris Johnson agli Esteri. L’ex sindaco di Londra, protagonista della campagna per l’uscita dall’Unione, era stato eliminato dalla competizione per la premiership con un colpo di mano (meglio dire: un intrigo) del suo compagno di partito e di corrente Michael Gove, ex ministro della Giustizia. Gove ha pagato caro questo suo machiavellismo (sottrarre tutti i voti chiave a Johnson all’ultimo momento) ed è stato bocciato dai membri del partito quando si è trattato di scegliere il nuovo leader e premier. Indirettamente ha spianato la strada alla May e allo stesso Johnson. Siamo dunque in presenza di un vero governo di unità conservatrice, oltre che di unità nazionale, capeggiato da una Remainer convertita alla Brexit e di un ministro degli esteri che aveva sempre fatto campagna per l’uscita. Questa composizione può aiutare a garantire stabilità in un momento comunque difficile per Londra.

Che cosa ci si può attendere dalla politica della May? La sua più importante carica è stata quella di ministro degli Interni sotto il governo Cameron. Ha usato il pugno di ferro contro il fondamentalismo islamico, ottenendo dalla Commissione Islamica dei Diritti Umani il premio “Islamofoba dell’anno 2015”, ma garantendo più sicurezza al Regno Unito. Il suo maggior successo è stato l’espulsione di Abu Qatada, oltre che l’estradizione negli Usa di Talha Ahsan. Per questo è entrata direttamente in conflitto con la Convenzione Europea dei Diritti Umani (Cedu). “La Cedu – aveva dichiarato in quell’occasione – può legare le mani al Parlamento, non contribuisce per niente alla nostra prosperità, in compenso ci rende meno sicuri impedendoci l’espulsione di pericolosi individui stranieri. Al contrario non fa nulla per cambiare le abitudini di governi come quello della Russia, quando si tratta di difendere i diritti umani”. Benché fosse per l’Unione, era comunque dell’idea di ritirare il Regno Unito almeno dalla Cedu: “A prescindere dall’esito del referendum sull’Ue, la mia idea è questa: se vogliamo riformare la legge sui diritti umani in questo Paese, non è l’Ue che dobbiamo lasciare, ma la Cedu e la giurisdizione della sua corte”.

Queste prese di posizione, oltre agli altri metodi adottati per combattere il fondamentalismo islamico (anche culturali, come la “promozione dei valori britannici) le hanno valso il nomignolo di “lady di ferro”. Al contempo preoccupano i media progressisti come il Guardian e l’Independent che mettono in dubbio la tenuta della garanzia dei diritti umani sotto il suo governo. Forse potrebbero essere rassicurati dalla presenza, nel suo governo, del ministro della Brexit, David Davis, che ha battagliato per anni in difesa dei diritti civili dagli abusi di potere, anche dell’antiterrorismo. I laburisti temono anche una deriva isolazionista sul tema dell’immigrazione, dove la May si è dimostrata inflessibilmente a favore di un forte controllo e anche più “a destra” rispetto ai suoi colleghi di governo. Si è opposta alla politica di allargamento dell’Ue ad Albania, Serbia e Turchia: “Ci dobbiamo chiedere se è corretto che l’Ue debba semplicemente continuare ad espandersi, conferendo a tutti i suoi nuovi Stati membri tutti i diritti della membership”.

A prescindere dal modo di abbigliarsi talvolta eccentrico (i vignettisti già la ritraggono come Crudelia Demon, la cattiva collezionista di pellicce di dalmata de La Carica dei 101), Theresa May è figlia di un vicario anglicano, il reverendo Hubert Brasier ed è una cristiana praticante. Nel 2012, quando si era riaperto il dibattito sull'aborto, aveva preso posizione per una sua restrizione: "Ci sono poche circostanze in cui l'aborto dovrebbe essere ammesso, per esempio in caso di stupro, o quando la vita della madre è in pericolo". Tuttavia, non si schierò del tutto a favore dell'abolizione. La sua è una posizione "pragmatica". E' votato sempre contro le leggi riguardanti eutanasia e ricerca sugli embrioni, altri due dibattiti fondamentali delle ultime due legislature. Era invece favorevole ai matrimoni omosessuali, nonostante il parere contrario del suo stesso partito.

Da suo padre dice di aver ereditato l’impegno per la società. Dichiara di aver intrapreso la carriera politica soprattutto per senso del dovere nei confronti del paese e della sua gente. “Non pensi a te stesso – ha dichiarato – l’enfasi è sempre sugli altri”. “Se sei nato povero – diceva prima della sua elezione – morirai mediamente nove anni prima degli altri. Se sei nero, sarai trattato molto più duramente dalla giustizia criminale rispetto a un bianco. Se un ragazzo bianco in una famiglia meno abbiente, avrai meno possibilità degli altri di arrivare all’università. Se frequenti una scuola statale, avrai meno probabilità di arrivare al vertice della professione per cui sei stato educato. Se sei una donna, guadagnerai sempre meno di un uomo. Se soffri di disagi mentali, molto spesso non avrai una mano ad aiutarti”. Questo suo ragionamento da conservatrice compassionevole è stato confermato dal suo primo discorso da premier, appena ricevuto l’incarico dalla regina Elisabetta II. Rivolgendosi “direttamente al popolo”, ha assicurato: “Il governo che ho formato sarà guidato non dagli interessi di pochi privilegiati, ma dai vostri. Noi faremo il possibile per garantirvi un maggiore controllo sulle vostre vite. Quando approveremo nuove leggi, non ascolteremo i potenti, ma voi. Quando si parlerà di tasse, non daremo la priorità agli interessi dei più ricchi, ma ai vostri. Quando si parlerà di opportunità, non consolideremo i vantaggi dei pochi fortunati, ma faremo quanto è possibile per aiutare tutti voi, indipendentemente dalla loro origine, ad arrivare lontano tanto quanto il vostro talento ve lo permetterà”.

C’è chi già la definisce una anti-Thatcher, o una socialista nascosta, ma nessuno ha ancora capito quali siano le sue idee sull’economia. Non si sa, insomma, se declinerà la sua visione di solidarietà cristiana in uno Stato sociale (difficile, essendo una conservatrice), o se promuoverà nuove forme di sussidiarietà, lasciando libera l’iniziativa individuale. Una cosa è certa: pur essendo una donna giunta al vertice del paese, si è sempre opposta alle quote rosa, che definiva “una forma di discriminazione alla rovescia”. E’ la seconda volta in quarant’anni che il partito che si oppone al femminismo militante elegge una donna al suo vertice e alla premiership. Anche questo è uno spontaneo manifesto d’intenti.