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II DOMENICA DI QUARESIMA

Trasfigurazione, spartiacque che ci apre al mistero

L’episodio della trasfigurazione di Gesù sul monte, tipico della seconda domenica quaresimale, ha contorni “pasquali”. Ai discepoli capita tutto ciò in un momento particolare della loro sequela di Gesù, una sorta di spartiacque. È ancora una volta una coraggiosa risposta ad una potente, seducente e strepitosa domanda: “ti fidi di me?”. Anche noi siamo invitati ad incamminarci pure per la via della bellezza: la Parola del Signore risuona nel nostro cuore e lo conquista, attirandolo con la nostalgia e la promessa di un bene autentico che finalmente colmi il vuoto dell’anima.

Ecclesia 08_03_2020

Prosegue il cammino penitenziale della Quaresima e il grande tema rimane l’anelito, che alberga nel cuore dell’uomo alla vita “per sempre” nel suo tragico confronto con la caducità e con il dramma della morte. È come se già sentissimo in sottofondo un’eco della sequenza pasquale: “Mors et vita duello conflixere mirando”.

Il racconto della vocazione di Abramo come anche l’intera sua esperienza di vita e di fede, centra puntualmente la visione dell’esistenza in rapporto al passaggio che ne determina senso e consistenza. “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre” (Gen 12, 1) non rappresenta una pura indicazione strategica data a un nomade di condizione affinché possa trovare terra e pascoli, ma piuttosto risuona in prospettiva vocazionale come un invito a fuggire dalla morte per camminare verso la benedizione e la vita, significati nella terra e nella posterità.

In effetti la famiglia di Abramo era stata pesantemente visitata dalla tragedia con la morte del fratello Aran, tanto da far decidere il padre Terach a trasferirsi con Abram e Nacor verso la terra di Canaan (cfr. Gen 11, 27-31). Terach muore a metà viaggio, a Carran, e la chiamata di Dio intercetta questo momento doloroso discretamente aprendo lo sguardo e il cuore di Abramo ad un “oltre”: l’espressione ebraica “vattene” non significa soltanto lo spostamento geografico, ma allude ad un viaggio che Abramo è chiamato a decidere verso se stesso e verso Dio che lo cerca. Di fronte alla sventura di una famiglia che si disgrega a causa della morte, Abramo è invitato a camminare non su vie di fuga, ma sulla strada indicata da Dio per raggiungere finalmente la pienezza della vita. Sintesi di questa prospettiva tipicamente religiosa si trova in Michea: “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio” (6, 8).

L’annuncio gioioso di San Paolo a Timoteo: “Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo” (2 Tm 1, 10) è riferimento esplicito al Mistero nascosto da sempre e finalmente rivelato in Cristo; si tratta dell’enigma della vita umana, tesa tra lo slancio verso il definitivo e la minaccia della provvisorietà. Il Mistero rivela lo stupendo progetto di Dio: “… perché Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l'esistenza” (Sap 1, 13-14).

L’episodio della trasfigurazione di Gesù sul monte, tipico della seconda domenica quaresimale, ha contorni “pasquali”: si tratta infatti di un segno offerto ai discepoli per prepararli al terribile e scandaloso momento della passione. Tutto ruota intorno alla corretta comprensione del termine mistero e più ancora ad un’adeguata esperienza dello stesso. Sant’Agostino, trattando dell’incarnazione del Verbo divino, ci aiuta ad entrare come nella nube, che “mostra” e “nasconde” nello stesso tempo: “Che è mai questo? Chi lo potrà dire? Ma anche chi tacere? Ed è questa la meraviglia: non siamo in grado di descriverlo, ma neanche possiamo tacerlo; ad alta voce annunciamo cose che, pensando, non riusciamo a comprendere. Davvero non sappiamo esaltare un dono così grande di Dio, perché siamo troppo piccoli per descriverne la grandezza; eppure siamo costretti ad esaltarlo, perché, tacendo, non restiamo ingrati. Ma, grazie a Dio, ciò che non può essere adeguatamente espresso può essere con sicurezza creduto” (Discorso 215, 3).

L’accezione comune del termine “mistero immediatamente conduce all’idea dell’incomprensibile e dell’oscurità, ma la sua vera radice, a partire dalla lingua ebraica, evoca la sensazione dell’ineffabile e della conversazione confidenziale; e proprio in questo consiste l’esperienza dei tre discepoli sul Tabor.

Essa ha a che fare con la percezione stupita della presenza di Dio; si narra infatti che un tempo la gloria del Signore abbia avvolto con una nube la Tenda del Convegno fatta costruire da Mosè nel deserto (Es 40, 34) e che abbia invaso il Tempio di Gerusalemme nel giorno della sua dedicazione da parte del re Salomone (2 Cr 7, 1). Tanto nel racconto della Trasfigurazione quanto nel brano dell’Annunciazione dell’angelo a Maria viene usato un particolare verbo greco, che evoca l’ombra (la nube), avvolgente colui o colei che viene avvicinato da Dio.

Ai discepoli capita tutto ciò in un momento particolare della loro sequela di Gesù, una sorta di spartiacque: Pietro, a nome di tutti, aveva appena confessato la vera fede nel Cristo, ma poco dopo, reagendo all’annunzio della passione da parte di Gesù, si era sentito redarguire aspramente, chiamato addirittura “Satana” e fortemente invitato a camminare dietro a Gesù, rinnovando il pensiero non secondo  la logica umana, ma secondo la sapienza di Dio (cfr. Mt 16, 13-23).

Gesù aveva proseguito nel suo insegnamento ribadendo le condizioni per seguirlo e per non rischiare di perdere la propria vita nella presunzione dell’autosufficienza o nelle effimere promesse del mondo.

Le parole di Gesù, così forti ed estreme, sono rimaste nel silenzio del cuore dei discepoli per un po’ di tempo e finalmente, dopo sei giorni, tre dei discepoli, Pietro Giacomo e Giovanni, vengono portati sul monte per una straordinaria e inaspettata esperienza.

È spontanea e naturale la reazione di Pietro, che pochi giorni prima, dopo aver confessato Gesù, aveva tentato di correggerlo: “È bello per noi stare qui!”. Possiamo considerala anche ingenua, inopportuna, impossibile, ma è l’intuizione giusta.

È ancora una volta una coraggiosa risposta ad una potente, seducente e strepitosa domanda: “ti fidi di me?”. Anche noi, in questi giorni quaresimali, insieme alla via della penitenza (ritorno al Signore) siamo invitati ad incamminarci pure per la via della bellezza: la Parola del Signore risuona nel nostro cuore e lo conquista, attirandolo con la nostalgia e la promessa di un bene autentico che finalmente colmi il vuoto dell’anima.

Non sarà possibile anticipare quel compimento rimanendo sul monte perché a valle ci attende ancora il cammino faticoso e lungo della sequela, ci attende il passaggio della croce, ci attende la missione di contagiare i tanti incrociati sulla strada per farli partecipi di una consapevolezza così decisiva, ci attende la fatica della gestazione, tuttavia quel lampo di bellezza ha ormai sedotto e incantato il cuore.

Anche nello smarrimento della passione, nel rimorso del tradimento e nella vergogna della fuga, Pietro - e noi con lui - rivedrà quel volto nella sua misteriosa bellezza, e allora saranno le lacrime del pentimento a lavare i suoi occhi per riconoscere il Signore della gloria in quell’uomo stravolto dal dolore: “Come molti si stupirono di lui - tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo - così si meraviglieranno di lui molte genti; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito” (Is. 52, 14-15).

Per concludere ricorro ad un’efficace sintesi di Mons. Luigi Giussani sul mistero della vocazione: “Il cuore di Giovanni e Andrea, quel giorno, si era imbattuto in una presenza che corrispondeva inaspettatamente ed evidentemente al desiderio di verità, di bellezza, di giustizia che costituiva la loro umanità semplice e non presuntuosa. Da allora, seppur tradendolo e fraintendendo mille volte, non l'avrebbero più abbandonato, diventando «suoi». Il cammino del Signore è semplice, come quello di Giovanni e Andrea, di Simone e Filippo, che hanno, cominciato ad andare dietro a Cristo; per curiosità e desiderio. Non c'è altra strada, al fondo, oltre questa curiosità desiderosa destata dal presentimento del vero”. 

* Vescovo di Sanremo-Ventimiglia

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