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NAGORNO-KARABAKH

Tregua nel Caucaso, una vittoria politica russa

Armenia e Azerbaigian hanno accettato a Mosca di arrivare "quanto prima" a una soluzione del conflitto in Nagorno-Karabakh. L'Azerbaigian ha inflitto le perdite maggiori all'Armenia. Ma ha mancato il suo obiettivo: la "liberazione" del Nagorno-Karabakh. Dunque è una sconfitta politica per gli azeri e per Erdogan, loro sponsor. Ed è una vittoria diplomatica della Russia che riesce a rimettere ordine nella sua area di influenza senza esporsi nel conflitto

Esteri 11_10_2020
Tregua nel Nagorno Karabakh

Armenia e Azerbaigian hanno accettato a Mosca di avviare "trattative sostanziali" per arrivare "quanto prima" a una risoluzione pacifica del conflitto in Nagorno-Karabakh. Lo ha riferito il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, che ha guidato le trattative che hanno portato nella notte di venerdì al cessate il fuoco dopo due settimane di intensi scontri.

Lavrov ha accolto a Mosca i suoi omologhi azero e armeno, Jeihun Bayramov e Zohrab Mnatsakanian, convocati da Vladimir Putin, nel tentativo di porre fine al conflitto scoppiato il 27 settembre e Lavrov, dopo dieci ore di colloquio, ha annunciato l’entrata in vigore dalle 12 di ieri (le 10 in Italia)  di un cessate il fuoco per "ragioni umanitarie", che consentirà lo scambio dei prigionieri e dei corpi dei caduti sotto la mediazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa.

Due gli aspetti più rilevanti: il primo è determinato dal fatto la tregua apre la strada a negoziati di pace che risolvano la contesa sul Nagorno Karabakh, il secondo vede armeni e azeri accettare che la mediazione dei negoziati abbia la supervisione del Gruppo di Minsk, la struttura creata nel 1992 dall'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) per prevenire il riaccendersi delle ostilità nel Nagorno-Karabakh. Il Gruppo è formato da Stati Uniti, Russia e Francia e nel 1994 riuscì a far cessare (non a risolvere) il conflitto che aveva provocato 30 mila morti e all’inizio delle ostilità, il 27 settembre scorso, il governo turco aveva giustificato l’attacco azero, avvenuto con il consistente appoggio di Ankara, proprio con l’incapacità della “troika” dell’OSCE di dirimere la diatriba. Per questo la riconferma del ruolo del Gruppo di Minsk nella gestione dei colloqui di pace significa che non sarà possibile per altri Paesi subentrare nella gestione negoziale tagliando fuori la Turchia dall’accesso al tavolo delle trattative. Elemento che permette di ipotizzare anche una convergenza tra Mosca, Parigi e Washington, determinate evidentemente a non lasciare ulteriori margini di manovra all’espansionismo turco.  

Del resto se i russi svolgono da tempo un ruolo di contenimento della Turchia, la Francia resta (insieme ad Atene) il più fiero e determinato avversario europeo di Ankara mentre gli Stati Uniti hanno rinnovato il 9 ottobre per un altro anno le sanzioni al governo turco (incluse quelle militari) per l’invasione della regione curda siriana. Il cessate il fuoco in Nagorno Karabakh rappresenta quindi un successo russo che però fa comodo a molti. Mosca vede premiato il suo atteggiamento quasi neutrale nel conflitto (gli aiuti militari russi all’Armenia hanno avuto poca visibilità), funzionale a mantenere la forte influenza russa sul regime azero ed evitando di gettarlo tra le braccia della Turchia. Non a caso il ministero degli Esteri turco ha emesso un comunicato in cui definisce il cessate il fuoco entrato in vigore oggi in Nagorno Karabakh "l'ultima chance per l'Armenia per ritirarsi da un'area che non le appartiene". Nel comunicato si ribadisce il sostegno incondizionato della Turchia "a tutte le decisioni che prenderà il governo dell'Azerbaigian", con Ankara che sosterrà Baku "sia politicamente che sul campo".

Il successo diplomatico di Mosca nasce dalla valutazione militare che l’offensiva azera sostenuta non sarebbe riuscita a conquistare in pochi giorni la regione contesa. La tenace resistenza armena ha limitato i successi conseguiti dagli azeri sulle due direttrici d’avanzata portando di fatto a una situazione di stallo in cui entrambi i contendenti rischiano di esaurire le risorse militari e finanziarie necessarie ad alimentare un conflitto convenzionale a medio-alta intensità.

Alla vigilia della tregua armeni e azeri  si sono accusati reciprocamente di continuare gli attacchi. Baku ha affermato di aver distrutto nelle ultime ore 13 tank armeni, 4 lanciarazzi e una serie di equipaggiamenti militari. Il ministero della Difesa armeno ha accusato i nemici per l'uso di droni con l'obiettivo di "modificare la situazione" sul terreno "prima dell'entrata in vigore del cessate il fuoco" e di aver lanciato altri razzi contro "quartieri abitati" della città di Stepanakert, capoluogo del Nagorno Karabakh. Anche dopo le 12 di ieri non sono mancati gli scambi di accuse Il ministero della Difesa armeno ha denunciato che gli azerbaigiani hanno lanciato un missile sulla cittadina armena di Kapan, notizia definita da Baku "una menzogna, una provocazione del nemico". Secondo il ministero della Difesa armeno, inoltre, droni azera hanno attaccato i villaggi di Yeritsvank and Artsvanik e l'aviazione azera ha aumentato l'attività sul fronte sud "causando pesanti perdite in termini di vite umane". Baku ha a sua volta accusato gli armeni di aver sferrato un attacco contro le aree di Tartar e Agdam Agdam, importante centro di pianura ai piedi delle montagne del Karabakh.

Si tratta a quanto sembra delle consuete dichiarazioni e provocazioni che accompagnano da sempre ogni cessate il fuoco in cui i contendenti devono mostrare alla propria opinione pubblica vantaggi e successi che giustifichino i sacrifici determinati dal conflitto. Sul campo gli azeri hanno conseguito con la guerra un successo territoriale limitato, ma hanno probabilmente dissanguato le risorse logistiche necessarie a continuare ad alimentare l’offensiva. Gli armeni hanno perso terreno, mezzi e truppe ma resistono su posizioni difensive favorite dalla geografia della regione. In termini tattici l’Azerbaigian è in vantaggio, ma in termini strategici sono gli armeni a vantare un buon punto avendo rallentato e arrestato la pesante offensiva nemica. Baku infatti non cercava solo una limitata esibizione muscolare poiché gli ambiziosi obiettivi dichiarati dal governo azero prevedevano che le ostilità cessassero solo con la liberazione dell'intero Nagorno Karabakh: il fallimento nel conseguire, al momento, questo obiettivo determina la sconfitta azera.

Lo stallo della tregua serve quindi a entrambi per riprendere fiato e rafforzare i propri dispositivi militari. Sul piano politico il vincitore è Vladimir Putin che si impone sulle pretese di Recep Tayyip Erdogan. Mosca si conferma nuovamente arbitro delle crisi alle porte di casa, dove da tempo in molti cercano di ridurne l’influenza sulle repubbliche ex sovietiche ai suoi confini, dall’Ucraina alla Georgia, dal Caucaso all’Asia Centrale. Ankara vede invece per il momento frustrato il tentativo di conseguire un successo militare eclatante in Nagorno Karabakh dove ha schierato al fianco degli azeri aerei, droni, consiglieri militari e qualche migliaio di mercenari jihadisti siriani già impiegati dai turchi come carne da cannone in Libia. Erdogan, alle prese con una profonda crisi economica e finanziaria, aveva bisogno di un successo eclatante che confermasse il valore della costosa e dispersiva politica “imperialistica” neo-ottomana che in un anno ha visto i turchi scendere in campo con le armi su sei diversi fronti.

Nell’ottobre del 2019 le truppe turche attaccarono e invasero parte della ziona di confine nel Kurdistan siriano (Rojava) costringendo i curdi a ritirarsi di una trentina di chilometri: la crisi è stata congelata da un un’intesa tra russi e turchi. Successivamente Ankara ha portato decine di migliaia di immigrati illegali e profughi siriani al confine terrestre con la Grecia per creare un altro esodo verso l'Ue ma la resistenza di Atene, che ha militarizzato il confine, ha frustrato le speranza di Erdogan. Ancora in Siria i turchi hanno invaso la parte settentrionale della provincia nord occidentale di Idlib per sostenere i ribelli jihadisti contro l’offensiva russa e delle forze di Damasco: anche qui la situazione è stata temporaneamente “congelata” da un accordo russo-turco dopo che le truppe di Ankara avevano registrato forti perdite. In primavera i successi conseguiti dai turchi al fianco delle milizie di Tripoli in Libia si sono fermati a una sorta di spartizione dell’ex colonia italiana che vede ancora una volta Mosca negoziare direttamente con Ankara.

In estate Erdogan ha aperto il fronte sul mare, nel Mediterraneo Orientale, provocando la reazione di Grecia e Cipro al cui fianco si è pesantemente schierata la Francia. Infine, nel Caucaso, Erdogan ha cercato il successo sostenendo quella che avrebbe dovuto essere la “blitzktrieg” azera arenatasi invece a ridosso dei monti del Nagorno Karabakh. Al di là dei risultati ottenuti ,sei fronti aperti sono forse troppi per le risorse di Ankara.