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MEDITERRANEO

Tunisia, un Nobel all'eccezione democratica araba

Il Premio Nobel per la Pace è stato assegnato al "quartetto" nazionale tunisino. Cioè a quei quattro elementi della società civile organizzata che ha fatto da argine al dilagare dell'islamismo, dopo aver guidato la rivoluzione contro Ben Alì. Si tratta di un premio di incoraggiamento, perché la Tunisia resti un'isola democratica in un mare di jihadisti.

Editoriali 10_10_2015
La bandiera tunisina in parlamento

“Questo premio ricompensa gli artigiani di una transizione democratica unica nella quale la società civile ha svolto un ruolo decisivo per preservare l’unità nazionale e la democrazia, consentendo l’adozione di una costituzione che tutela i principi di una società pluralista, dello Stato di diritto e i diritti dell’uomo”, così ha commentato Federica Mogherini, l’annuncio dell’attribuzione del Premio Nobel al Quartetto nazionale tunisino, creato nel 2013 quando, come si sottolinea nella motivazione ufficiale, “quando il processo di democratizzazione era sul punto di crollare sotto il peso di assassini politici e disordini.”

Ebbene, sia Comitato norvegese dei Nobel a Oslo sia Federica Mogherini a Bruxelles dimenticano che il principale merito del Quartetto, quando ancora non era denominato tale, e soprattutto della ben più vasta società civile tunisina è quello di avere dato vita alla protesta che ha portato alla fuga di Ben Ali, di avere fatto da contraltare alle richieste di islamizzazione della costituzione da parte del blocco di Ennahdha e, ma solo in ultima istanza, di avere portato tutti gli attori politici a un dialogo e a un agire comune per il futuro della Tunisia. 

I membri del Quartetto sono attori storici della società civile tunisina: l’Union Générale Tunisienne du Travail (UGTT), fondata nel 1946; l’Union tunisienne de l'industrie, du commerce et de l'artisanat (UTICA), fondata nel 1947; la Ligue tunisienne des droits de l'homme (LTDH), fondata nel 1976 e l’Ordre National des Avocats de Tunisie. 

Va comunque rammentato che non sono né gli unici attori né gli unici fattori dell’eccezione tunisina che sta ancora lottando per rimanere tale, per traghettare definitivamente verso una democrazia vera e stabile, per sconfiggere il terrorismo e la radicalizzazione dei propri giovani e per rilanciare l’economia.  L’eccezione tunisina affonda le proprie radici in una versione riformata dell’islam nata in Tunisia a partire dal XIX secolo, ma soprattutto in una società civile che ha sempre avuto la propria punta di diamante nell’associazionismo, in modo particolare quello femminile. Tutti questi fattori, nessuno escluso, hanno allontanato lo spettro del fallimento della transizione nella culla delle cosiddette primavere arabe. 

Ciononostante il Premio Nobel loro attribuito è meritato. Come scriveva l’accademico tunisino Cherif Ferjani nel 2013 “è raro vedere un sindacato di salariati e un sindacato patronale parlare a una sola voce come stanno facendo l’UGTT e l’UTICA dal dicembre 2012. Contro gli attacchi condotti dalle milizie autoproclamatesi ‘Leghe per la protezione della rivoluzione’ e da imam manipolati da Ennahdha, l’UTICA ha reagito come tutte le espressioni autonome della società civile e delle forze democratiche per difendere la centrale sindacale dei lavoratori.” Ebbene il Quartetto è riuscito a unire gli sforzi e a fare guardare avanti una nazione sull’orlo del baratro e ha costretto tutti, compreso il partito islamista Ennahdha, a fermarsi e a riflettere. Alcuni accusano il Quartetto di essere troppo compiacente proprio con Ennahdha, ma come ha dichiarato ieri Cherif Ferjani, che è professore all’Università di Lione e che è stato una delle anime del Manifesto degli intellettuali contro il terrorismo  lanciato lo scorso agosto da altri attori della società civile tunisina: “Il Quartetto ha imposto a Ennahdha e al Congres pour la Republique (CPR) il dialogo nazionale come sfondo indispensabile per concludere la stesura della costituzione e della transizione. Ennahdha è stata obbligata ad accettare. Non si può affermare che l'UGTT, l'UTICA, la LTDH e l’ordine degli avvocati siano strumenti di Ennahdha”. 

Ha ragione Ouejdane Mejri quando scrive che è “un premio che significa molto dopo anni in cui i pregiudizi vincevano e la sola idea di democrazia era negata alla Tunisia, primo Paese arabo che ha deciso di abbattere la dittatura e di camminare verso la libertà” e che si tratta di “un riconoscimento alla società civile (e non a un uomo politico o un partito)” che  viene dalla comunità internazionale. 

La principale sfida della società civile tunisina e del Quartetto sarà proprio quella di non farsi scippare l’onore e il merito né da un uomo politico né da un partito. Il Premio Nobel per la Pace non è stato conferito né a El Sebsi né a Ghannouchi, né a Nidà Tounes né a Ennahdha, bensì alla società civile che, grazie alla sua lunga esperienza sul campo e grazie alla sua volontà di agire per amore dei tunisini e della Tunisia che oggi ha la responsabilità di vegliare e tutelare sulla transizione e di fare in modo che l’eccezione tunisina rimanga tale senza ingerenze esterne né a livello economico – arginando investimenti qatarini e sauditi – né a livello ideologico – arginando l’infiltrazione dell’estremismo islamico della Fratellanza musulmana e del jihadismo. Il Quartetto, forte dell’attribuzione del Nobel, dovrà fare in modo di tutelare il modello tunisino e investire parte del premio in denaro per promuovere la nuova generazione della società civile affinché non venga irretita dall’islam organizzato e rimanga legata allo spirito che ha guidato la Rivoluzione del Gelsomino.