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IMMIGRATI

Una terza via tra indulgenza e repressione

A Calais la triste partita a “guardie e ladri”, che impegna da un lato la polizia e dall’altra circa i 5 mila migranti irregolari che assediano gli scali ferroviari dell’Eurotunnel e i porti dei traghetti, sta causando seri disservizi al collegamento tra Europa continentale e Gran Bretagna. E nel nel canale di Sicilia continua il trasbordo di clandestini.

Editoriali 26_07_2015
Migranti nel canale di Sicilia

A Calais la triste partita a “guardie e ladri”, che impegna da un lato la polizia e dall’altra circa i 5 mila migranti irregolari che assediano gli scali ferroviari dell’Eurotunnel e i porti dei traghetti, sta da diversi giorni causando seri disservizi al collegamento tra Europa continentale e Gran Bretagna. Nell’ambiguo contesto tecnico e normativo di cui già molte volte avemmo modo di parlare, nel canale di Sicilia continua il trasbordo concordato in mare aperto (mascherato da operazione di salvataggio) di migranti irregolari che, fatti affluire in Libia dall’Africa sub-sahariana e dall’Asia, vengono poi imbarcati su gommoni dai passatori criminali che ne gestiscono la tratta e portati al largo verso l’incerto appuntamento con i “soccorritori”.

Di quel che accade al confine italo-francese di Ventimiglia/Mentone e a quello italo-austriaco del Brennero non si parla più per non disturbare i sonni dei turisti (e quindi quelli degli albergatori), ma la situazione non è di certo normale. Trovandosi alle prese con un analogo afflusso di migranti irregolari, in questo caso via terra attraverso il suo confine con la Serbia, l’Ungheria, che non ha i mezzi di paesi come il nostro, come la Francia o come la Gran Bretagna, tenta di gestire il problema come sa e come può attirandosi le critiche dei salotti dell’intellighenzjia progressista. La Spagna per parte sua è invece abilissima nel non attirare l’attenzione di tali salotti sulle barriere elettrificate di filo spinato che da anni precludono ai migranti irregolari il passaggio dal Marocco alle sue “enclaves” di Ceuta e Melilla, e anche sulla sua gestione di coloro che dalle coste marocchine raggiungono via mare le isole Canarie. Il traguardo di tutti questi itinerari non sono comunque i paesi di primo arrivo bensì la Germania  e altri paesi del Nord Europa.

Il quadro è evidente: siamo di fronte a un problema di dimensioni continentali, anzi intercontinentali che può venire affrontato con buoni risultati soltanto se viene preso in considerazione al livello a cui si pone. Finora invece le reazioni degli Stati europei coinvolti e dell’Unione europea sono sconsolanti: è tutto un groviglio scoordinato e casuale di politiche fatalmente inefficaci perché senza capo né coda. Si oscilla tra una solidarietà astratta e il tentativo di risolvere con la polizia problemi che deve invece risolvere la politica. 

Maestro in quanto a solidarietà astratta è il nostro governo (erede in questo del peggio dei governi che l’hanno preceduto). Andiamo a prendere in mare aperto i migranti che gli scafisti ci consegnano e ce li portiamo in Italia, ma senza esserci attrezzati per filtrarli adeguatamente con tutto ciò che questo significa in quanto a centri di accoglienza, a procedure di identificazione e di verifica della fondatezza della richiesta d’asilo, a procedure efficaci di espulsione di chi non ha titolo per venire accolto. Perciò facciamo il possibile perché al più presto se ne scappino verso il nord Europa. Il meno che si possa dire è che non ci facciamo una grande figura. Chi però, come la Francia e la Gran Bretagna, crede di risolvere tutto schierando la polizia non è che ci faccia una figura migliore. Se si crea una situazione a causa della quale a Calais si aggirano 5 mila disperati che cercano appena possono di saltare su un autotreno, o sul tetto di un vagone ferroviario, non puoi pensare che, senza far venire meno le condizioni all’origine di un tale assembramento, basti schierare la polizia per risolvere il problema.

Stando così le cose diventa sempre più urgente convocare, possibilmente in sede Onu, una Conferenza internazionale con la presenza di tutte le parti interessate, ovvero non solo dei Paesi di arrivo ma anche di quelli di partenza e di transito, per mettere tutti di fronte alle loro responsabilità e vedere che cosa ogni Stato può fare perché questi flussi, che in certa misura sono irrefrenabili, avvengano in modo ordinato e non a principale vantaggio, come adesso accade, di organizzazioni criminali. È questo, infatti, il paradossale esito della politica di solidarietà astratta che governi come il nostro non cessano di mettere in atto. 

Perché poi tali flussi migratori restino comunque entro limiti accettabili, occorre che nei Paesi da cui questi migranti provengono si faccia una politica di pacificazione e di investimenti produttivi tale da far venir meno quel desiderio di migrare ad ogni costo che è oggi all’origine di tanto sfruttamento e di tante tragedie: un’impresa certamente gigantesca, ma tuttavia alla portata dell’economia internazionale del nostro tempo, afflitta da eccesso di capitali che non trovando adeguato impiego ripiegano pericolosamente verso la pura speculazione finanziaria.