Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Bernadette a cura di Ermes Dovico
L'AGENDA LGBT AVANZA

Ungheria e Polonia, l'Ue attacca gli unici fronti di libertà

Una serie di nuvoloni si stagliano nel cielo di Bruxelles al primo giorno del Consiglio Europeo. Ancora una volta lo scontro titanico vede da un lato la Commissione e dall’altro Polonia e Ungheria. Nel mirino la difesa della famiglia dall'ideologia Lgbt. 

Editoriali 02_10_2020
Orban (di spalle) e Duda

Una serie di nuvoloni si stagliano nel cielo di Bruxelles al primo giorno del Consiglio Europeo. Uno di questi riguarda ancora una volta la disfida tra il rispetto degli Stati e delle culture nazionali e le istituzioni comunitarie, sempre più voraci di poteri e sempre più propense a imporre i propri ideali e (disvalori) a tutti i cittadini europei. Ancora una volta lo scontro titanico vede da un lato la Commissione e dall’altro Polonia e Ungheria, spalleggiate dagli altri paesi del centro est Europa.   

La Commissione e il Parlamento, nelle scorse settimane, hanno alzato il livello dello scontro con Varsavia e Budapest, dando prova di non riuscire a comprendere come, dietro ai Governi legittimamente eletti ed ai loro leaders, ci siano il popolo polacco e quello ungherese.

Alla Polonia, ancora una volta e dopo il taglio dei fondi europei alle comunità locali che hanno approvato la Carta della Famiglia (strumentalmente chiamate LGBTI free zones), 50 improvvidi ambasciatori, incluso quello italiano, hanno inviato una lettera pubblica per il rispetto dei diritti LGBTI. Nella lettera si lamentano privazioni e limitazioni dei diritti per le persone LGBTI, nonostante il leader del Partito Polacco LGBTI (Spring) Robert Biedroń abbia ottenuto solo 2,9% dei voti alle ultime elezioni presidenziali e non abbia sporto mai alcuna denuncia.

Tuttavia, in questo clima di caccia alle streghe, gli ambasciatori scrivono: «I diritti umani sono universali e tutti, comprese le persone LGBTI, hanno diritto al loro pieno godimento».   

Dunque? Nessuna denuncia esplicita, ci mancherebbe, solo un invito pubblico affinché il Governo polacco «sviluppi un clima di maggiore tolleranza verso persone e ideologia LGBTI».

La lettera degli Ambasciatori, oltre che falsa nei contenuti, è stata anche inopportuna (volutamente?). Infatti, negli stessi giorni della pubblicazione della missiva, il Presidente Duda si trovava in Italia ad incontrare, tra gli altri, anche Papa Francesco con il quale ha discusso su come promuovere il valore fondamentale del matrimonio e della famiglia naturale

La risposta a questa insultante iniziativa degli ambasciatori è venuta direttamente dal Governo: «La Polonia è un paese molto tollerante, ha bandito ogni discriminazione e sperimentato sulla propria pelle cosa voglia dire la sofferenza, anche perciò non accetteremo alcune pressione di alcun paese od istituzione internazionale per imporci alcuna ideologia di sinistra».

Veniamo all’Ungheria. Nei giorni scorsi, a seguito di un saggio del Primo Ministro Orban sulla crisi della democrazia liberale e la necessità di una rifondazione democratica e cristiana, pubblicato da diversi giornali in diverse lingue, si è scatenato il putiferio. Orban non fa altro che ripetere il concetto già espresso gli scorsi anni, durante i seminari estivi con i giovani del proprio partito Fidesz: la democrazia liberale è in crisi e da liberale si è trasformata in totalitaria, in Europa ci sono attori globalisti (Soros) che governano molte delle decisioni delle Istituzioni comuni e c’è la volontà di annichilire i popoli del centro Europa e soggiogarli sotto nuovi poteri di sinistra, anticristiani e anti nazionali. Apriti cielo! I commenti della stampa europea erano immaginabili (sconcerto, offesa, stupore).    

Inimmaginabile è stato invece il commento della Vice Presidente e Commissaria Europea per i Valori Vera Jurova  che, in una intervista a Der Spiegel ha spiegato come il vero problema europeo sia Orban e la sua «allergia verso i principi democratici, in Europa c’è rispetto per la democrazia, in Ungheria no».

Ebbene, Orban non ci ha impiegato un secondo e il 28 Settembre scorso ha inviato una ferma lettera al Presidente Von der Leyen chiedendo la rimozione della Jurova e dichiarando che, dopo gli insulti ricevuti da lui stesso e dai suoi concittadini, avrebbe chiuso tutti i rapporti con il suddetto Commissario Europeo. La Commissione ha risposto come si fa in queste circostanze, facendo trapelare che la Presidente Von der Leyen ha la piena fiducia nell’operato della Vicepresidente Jurova.

Negli ultimi due giorni (beata l’ingenua lingua della Jurova!) si sono dipanate le ragioni di entrambi gli attacchi, senza senso e fuori tempo, della Commissione verso Polonia e Ungheria: ieri sono trapelate le prime indiscrezioni sui rilievi della Commissione nei confronti dei 27 Paesi e del rispetto dello Stato di Diritto.

Le prime valutazioni sul rispetto dello Stato di Diritto, emerse con il Report del 30 Settembre hanno fatto andare su tutte le furie Polonia ed Ungheria. Per tutti gli altri paesi una semplice tirata d’orecchi o poco più, per polacchi e ungheresi sentenze senza appello. Non a caso i Ministri della Giustizia dei due paesi hanno congiuntamente commentato: «Il rapporto solleva serie preoccupazioni per quanto riguarda il suo concetto, metodologia, fonti e contenuto e non può servire come base per qualsiasi ulteriore discussione nell'Unione europea sullo stato di diritto».

Polonia e Ungheria non ci stanno ad essere imputati di un processo politico in stile neo-sovietico. La confusione è generale, tanto è vero che nel primo giorno di Consiglio europeo di ieri è stato un caos generale.