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RIFORME

Uno Stato sempre più accentratore

La riforma costituzionale che Renzi vuol portare a termine a tutti i costi disegna un processo di colossale accentramento statalista di ogni scelta di rilievo de jure nelle mani del governo e de facto in quelle dell’alta dirigenza statale e delle magistrature più politicizzate. E' incredibile che questo dibattito non interessi all'opinione pubblica.

Editoriali 06_09_2015
Senato

Mentre ci si avvicina alla riapertura delle Camere dopo la pausa estiva, e quindi alla ripresa a tutta forza di quella che si usa definire “la politica”, appare sempre più chiaro che la riforma generale della Costituzione presentata dal governo Renzi (di cui la riforma del Senato costituisce solo un elemento) è ormai divenuta semplicemente una pedina nel gioco delle due… guerre civili parallele che sono in corso  dentro il Pd e rispettivamente dentro l’area di centro-destra.

Anche se ai senatori dissidenti del Pd va comunque riconosciuto il merito di essersi chiaramente e stabilmente opposti all’annichilimento del Senato cui Renzi e Boschi puntano, resta il fatto che alla “politica” nel suo insieme il nocciolo della questione interessa sempre meno. Ciò che conta è quanto questa o quella presa di posizione possono pesare su tali scontri interni. D’altra parte la “politica” non potrebbe procedere così indisturbata per questa via, se il popolo si rendesse finalmente conto che la riforma costituzionale sul tappeto non è una questione da addetti ai lavori bensì qualcosa di molto concreto, qualcosa che andrà incidere sulla vita e sui legittimi interessi di ciascuno di noi.

La posta in gioco insomma è ben più alta delle liti da cortile del Palazzo. Schiacciato da un debito pubblico già enorme e che con Renzi non ha mai smesso di crescere, e spinto verso i margini dell’economia mondiale da uno Stato e una burocrazia inefficienti e perciò incapaci di reggere le sfide della globalizzazione, il nostro Paese deve cambiare strada al più presto. In tale prospettiva occorre procedere a una scelta di fondo che prima di ogni altra cosa è di filosofia politica. Si tratta insomma di decidere se puntare in primo luogo sulla libertà, sulla responsabilità e sulla creatività delle persone, delle comunità, dei soggetti sociali, dei territori; oppure se puntare sulla concentrazione di ogni scelta decisiva nelle mani di un potere centrale che presume di sapere meglio di tutti quale sia il nostro bene comune. Matteo Renzi e i suoi a parole si dicono per la prima ipotesi, ma nei fatti scelgono a tutta forza la seconda.

In tale prospettiva la riforma costituzionale che il governo ha presentato alle Camere, e che vuole a tutti i costi portare a termine, disegna un processo di colossale accentramento statalista di ogni scelta di rilievo de jure nelle mani del governo e de facto in quelle dell’alta dirigenza statale e delle magistrature più politicizzate; e quindi mette un macigno sopra qualsiasi prospettiva di autonomia e di sussidiarietà reali. In questo quadro con la scusa di superare un bicameralismo inutile il Senato viene ridotto a una specie di camera dei Lord senza alcun ruolo significativo. In realtà dagli Stati Uniti alla Svizzera, dalla Germania all’Australia il mondo è pieno di esempi di bicameralismo ben differenziato che funziona; e non si può fare finta di non saperlo. Viene allora da pensare che la guerra al Senato sia in certo senso un diversivo con cui il governo Renzi copre una riforma generale delle istituzioni intesa a riportare lo Stato italiano al centralismo post-unitario: una riorganizzazione anacronistica che, nella misura in cui si realizzerà, produrrà soltanto ulteriore inefficienza e ulteriore crescita della spesa. 

Senza negare l’importanza di quanto può portare a chiarimenti e a razionalizzazioni nel mondo della politica corrente, resta il fatto che una riforma costituzionale ha un impatto che per natura sua va ben oltre gli equilibri del momento. Se dunque, come per parte nostra siamo convinti, l’accentramento generale che caratterizza tale riforma è destinato ad avere per lungo tempo effetti negativi sulla vita pubblica del nostro Paese, ci si deve augurare che – anche a prescindere da opportunità momentanee - qualche soggetto sociale forte e credibile scenda in campo a dare adeguata voce e nerbo a progetti ad essa alternativi.