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I PRIMI CASI IN ITALIA

Virus, si è detto di tutto ma si è fatto poco. Ora paghiamo

I primi casi di coronavirus in Lombardia, il primo morto in Veneto e il panico che ne segue, sono il risultato di falle nel sistema di protezione. Sulla quarantena c'è un dibattito politico e ideologico che non ha nulla a che vedere con la medicina, con prese di posizione pericolose come quella della Toscana, che non ha controllato 2500 persone rientrate dalla Cina.

Creato 22_02_2020
Nuovi letti all'ospedale di Codogno, Lombardia, per i primi casi di coronavirus

Aggiornamento delle ore 7: in Veneto si registra la prima vittima italiana di coronavirus, uno dei due contagiati di Padova, Adriano Trevisan, 78 anni. In Lombardia, intanto, sono 16 i casi accertati. Grave il 38enne di Castiglione d'Adda. 

I casi di polmonite da nuovo Coronavirus stanno dilatando quell’epidemia da panico che la NBQ aveva paventato fin dagli inizi. Si parla ormai di mettere in quarantena decine di migliaia di persone, di chiusure di luoghi pubblici, di misure straordinarie. Ciò che sta accadendo in Lombardia tuttavia è spiegabile con quelle falle evidenti nel sistema di protezione dei cittadini del nostro Paese. Dovrebbe essere evidente a chiunque che essendo questa malattia trasmissibile solo ed esclusivamente attraverso soggetti contagiati in Cina e portatori del virus, il metodo più sicuro ed efficace per evitare l’insorgere di casi in Italia era e resta la sorveglianza sugli ingressi dalla Cina, sia che si tratti di persone cinesi o italiane o di qualunque altra nazionalità.

Per sorveglianza sanitaria si intende un insieme di accertamenti sanitari svolti dalle autorità competenti finalizzati alla tutela dello stato di salute e alla sicurezza della comunità. Niente di eccezionale: semplici visite di controllo, e possibilmente un isolamento di un paio di settimane dei soggetti in questione. Alla luce di quanto sta accadendo, si può dire che ciò non è avvenuto con la dovuta attenzione. Vanno dunque individuate le responsabilità, e i motivi di queste falle nel sistema di sorveglianza. Il soggetto da cui è partito il contagio nel lodigiano, sembra che non fosse stato sottoposto ad alcuna vigilanza dopo il suo arrivo in Italia. Nei giorni scorsi aveva fatto molto discutere la decisione della Regione Toscana di non sottoporre ad alcuna quarantena le 2.500 persone – un numero davvero significativo - rientrate dal Capodanno cinese. 2.500 persone potenzialmente infette, come peraltro dovrebbero essere tutte le persone in arrivo dalla Cina.

Per un mese sul Coronavirus si è letto di tutto, si sono fatte speculazioni di fantapolitica o fantamedicina, e probabilmente non si è fatto al meglio l’unica cosa che andava realmente fatta: attuare una attenta, scrupolosa, capillare sorveglianza. Il motivo? Probabilmente la paura di essere politicamente scorretti, di prendere misure interpretabili dai media come “razziste” (una lettura infondata perché, ripetiamo, la sorveglianza andrebbe attuata verso tutti coloro che provengono dalla Cina, indipendentemente dall’etnia). Il sistema di sorveglianza si è basato finora sulle sole segnalazioni di casi possibili, evitando le misure di isolamento, la cosiddetta “quarantena”, che consiste in una quindicina di giorni in casa senza contatti con l’esterno. Una misura che evidentemente si è temuto essere troppo impopolare, in particolare rispetto ai bambini frequentanti le scuole. Così, ad esempio, nelle scorse settimane l’assessorato al Welfare della Regione Lombardia aveva diramato una nota, “Indicazioni per la gestione di bambini e studenti che frequentano servizi educativi dell’infanzia e scuole secondarie di secondo grado, di ritorno dalle città della Cina a rischio per polmonite da nuovo coronavirus”, che riguarda tutti gli alunni che nei 14 giorni precedenti il rientro siano stati nelle aree cinesi interessate dall’epidemia. La nota chiede che il Dirigente scolastico, il Medico di medicina Generale o il Pediatra segnalino il nominativo del bambino all’ATS. L’Azienda sanitaria secondo le indicazioni regionali deve prendere contatto con la famiglia proponendo una permanenza volontaria fiduciaria al domicilio del minore per 14 giorni. Insomma: ci si rimette alla collaborazione e alla lealtà delle famiglie. La famiglia che aderisce su base volontaria fornisce un riferimento telefonico ad ATS ove essere contattata, e si impegna a rilevare giornalmente la temperatura, e in caso di comparsa di sintomi si suggerisce di chiamare il 112, il numero delle emergenze. Infine la circolare si chiude asserendo che “al termine della sorveglianza, il successivo rientro a scuola del minore non prevede alcun tipo di certificato” che attesti che il bambino stia bene.

Tutto questo per gli alunni delle scuole. E gli adulti? Nessun provvedimento di sorveglianza attiva: tutto è lasciato alla buona volontà e al senso di responsabilità del singolo. Tutto questo nella Regione all’eccellenza nella Sanità. Regione Lombardia potrebbe replicare che queste note seguono ulteriori indicazioni, provenienti dal Ministero. In effetti è dal Governo centrale, competente in materia di Salute Pubblica, che dovrebbero arrivare indicazioni operative molto concrete, comprendenti misure efficaci e verificabili di isolamento e quarantena. In caso contrario, non sarà  il buonismo o le manifestazioni di solidarietà alle comunità cinesi fatte da esponenti politici di spicco a sconfiggere l’epidemia.