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l'intervista

Alain Bauer: «Lo Stato francese si sta disgregando»

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Da cinque giorni la Francia è un campo di battaglia. A La Bussola il criminologo, consulente di Sarkozy, spiega l'accelerazione di una crisi di autorità risalente agli anni '70, di cui vediamo gli effetti che rischiano di espandersi a macchia d'olio.

Esteri 04_07_2023

Le colonne di fumo che s’innalzano dalle carcasse delle macchine, dei municipi, delle stazioni di polizia e dei negozi in fiamme oscurano il cielo di Francia da cinque giorni, ormai.  Mentre gli agenti in assetto antisommossa continuano a caricare per disperdere la folla, sui muri si scrive ovunque, «La polizia uccide». Scene da Paese sotto assedio si rincorrono. Ne parliamo con Alain Bauer, professore di criminologia al Conservatoire national des Arts et Métiers, oltre che a New York e Pechino, autore di una quarantina di libri sulla criminalità, è stato consigliere di Michel Rocard ed è stato consulente dell’ex presidente Nicolas Sarkozy e di Manuel Valls su questioni di sicurezza e terrorismo.

Gli oltre 40.000 poliziotti e gendarmi schierati durante le ultime cinque notti sono stati sopraffatti dalla violenza e sono stati istruiti a non opporsi. Professore, lo Stato francese sta crollando?
Diciamo che lo Stato centrale in Francia sta incontrando sempre più difficoltà ad affermare la propria autorità e che la sua disgregazione, da quando ha scelto di “diventare anglosassone” a metà degli anni '70 sta accelerando, in particolare nel campo della pubblica sicurezza.
La Francia è un vero e proprio Stato Nazione. Lo Stato ha creato la Nazione. Ovunque le nazioni hanno creato i loro Stati (spesso federalizzati).

Come spiega i violenti disordini e come giudica l’evoluzione delle proteste?
Ogni morte appare ingiusta e ogni morte violenta in uno scontro con la polizia lo è ancora di più. Di solito la reazione violenta si protrae per un periodo di poche notti. Ad eccezione della situazione eccezionale vissuta nel 2005.

C’è un legame tra i cosiddetti “territori perduti della repubblica” e le violente proteste che si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutto il Paese contro la polizia e ogni sorta di istituzione?
È molto possibile. Ma il problema che si sta diffondendo sul territorio è la generazione perduta di Tik Tok che sembra essere diventata il soggetto, la protagonista.

Crede che i social network abbiano una responsabilità in questa vicenda? 
I social network accelerano ed estendono la diffusione di qualsiasi cosa. Inoltre permettono e alimentano la competizione tra individui e gruppi...

La polizia è più presa di mira rispetto al passato? 
Effettivamente, la situazione, soprattutto per le forze dell’ordine, è molto peggiorata perché la polizia si trova a confrontarsi quotidianamente con giovani che sentono di subire vessazioni e controlli ingiustificati e si trovano a competere per il controllo del proprio territorio.

C’è davvero il rischio di una guerra civile?
C’è il rischio che le rivolte si diffondano e si espandano ancora di più. Ma la rabbia si sta trasformando in saccheggio, il che, paradossalmente, indica uno stallo nel confronto. Il prossimo obiettivo sarà ovviamente Parigi e la sua presunta “ricchezza”.

È una rivolta che vede come protagonisti i giovanissimi, sopratutto minorenni. Su chi si può contare per riportare la calma?
Le famiglie: le ultime, di solito, ad essere ascoltate.

In definitiva, cosa suggerisce di fare per la sicurezza nazionale?
Riabilitare e responsabilizzare i genitori e le famiglie. Togliamoli dal loro stato di infantilizzazione di meri “utenti” e rafforziamo il loro status di cittadini attivi.

La Francia è al cospetto di una frattura identitaria?
Siamo di fronte a una perdita dei parametri di regolamentazione e organizzazione della società, indipendentemente dalle origini.