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EDITORIALE

Chi fa il gioco dello Stato Islamico

Il problema con l'islam è solo quello di un piccolo gruppo fondamentalista: è ormai questa la parola d'ordine di opinionisti e filosofi cattolici che in questi giorni attaccano a testa bassa chiunque la metta in discussione. Ma la realtà è ben diversa, ed è chi la nasconde che fa un favore a chi ci vuole sottomettere con la violenza.

Editoriali 05_08_2016
Isis

In questi giorni abbiamo letto diversi commenti di opinionisti, vaticanisti, filosofi cattolici, lanciati a testa bassa contro chiunque abbia provato a mettere in discussione la nuova parola d’ordine secondo cui il problema con l’islam è solo la presenza di un piccolo gruppo fondamentalista. Secondo costoro, chiunque critica questo assunto è un pericoloso alleato dei terroristi perché fa di ogni erba un fascio (cioè di ogni musulmano un violento) e vuole trascinare il mondo in una guerra globale di religione, esattamente ciò che si prefiggono i terroristi dello Stato Islamico. Per questo il direttore di Avvenire ha addirittura coniato il termine di “cattivisti” (contrapposto a quello di “buonisti”, che ovviamente non esistono), e altri hanno individuato il nemico nel “cattolico identitario” che ha ridotto la fede a ideologia.

Bisogna dire che il contenuto di queste intemerate è arrivato a livelli imbarazzanti, che non fanno presagire nulla di buono per il nostro futuro se questo è il pensiero dominante. Imbarazzanti perché – sia per realpolitik o sia per semplice ignoranza - si nutre di menzogne che disinformano e perciò lasciano il popolo indifeso davanti ai reali pericoli che lo minacciano.

Proprio ieri in una intervista al Foglio l’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, richiamava a non prendere sottogamba il fondamentalismo religioso violento, la cui necessaria interpretazione corretta è oggettivamente ostacolata dalla «sordina» messa «alla potenza del cristianesimo, fenomeno a cui da qualche decennio purtroppo assistiamo in Europa». Per Scola la colpa è anche dei cristiani che hanno ridotto il cristianesimo a una fede staccata dall’esistenza di tutti i giorni. Per questo «è urgente recuperare tutti i contenuti specifici dell’esperienza cristiana», un’identità che non è ideologia, ma capacità di vivere e rendere ragione delle «implicazioni» della fede in Cristo morto e risorto. Esattamente il contrario di quanto vanno ormai predicando – anzi imponendo – i «nuovi padroni» della Chiesa, per i quali ormai la fede consiste solo nell’accogliere tutti gli immigrati senza se e senza ma.

Si arriva così a negare le verità più elementari. Sull’islam, ad esempio, sembra che il problema sia soltanto lo Stato islamico, che ovviamente non è il vero islam perché – si sa – tutti i musulmani vogliono la pace. Quindi basta isolare l’Isis, anche valorizzando tutti i musulmani che sono in Europa, e la vittoria della pace è garantita. Basta però guardare un pochino la realtà senza il paravento dell’ideologia per rendersi conto che il problema è ben più ampio di un piccolo gruppo fondamentalista, ammesso e non concesso che l’Isis possa essere definito tale.

In Arabia Saudita, ad esempio, vigono più o meno le stesse leggi dello Stato islamico, e non è certo un caso isolato. Laddove vige la sharìa, la legge coranica, non c’è molto spazio per quanto è diverso dall’islam. Si parla spesso di questo come del secolo della persecuzione contro i cristiani, in proporzioni senza precedenti nella storia: ebbene la stragrande maggioranza dei martiri moderni si registra nei Paesi musulmani, e l’Isis non c’entra niente, o perlomeno si è aggiunta recentemente a un trend molto ben consolidato. Basta solo ricordare che in Medio Oriente e Nord Africa i cristiani rappresentavano il 25% della popolazione all’inizio del ‘900, erano il 20% alla fine della Seconda Guerra Mondiale, oggi sono ridotti a circa il 5%. Non tutto si deve alla persecuzione, ma è un fatto che negli ultimi 60 anni circa 10 milioni di cristiani hanno dovuto lasciare questi Paesi e la totale cancellazione del cristianesimo nella terra in cui è nato, oggi diventa tragicamente possibile. Certo, ci sono anche esempi di convivenza ed è importante incrementarli, ma non è certo nascondendosi la realtà che questo diventa possibile.

Non è poi un mistero che i predicatori d’odio che da anni scorrazzano per l’Europa e le moschee punto di riferimento dei fondamentalisti sono finanziate soprattutto da Arabia Saudita e Qatar, ben prima che lo Stato Islamico – ma anche al Qaeda - prendesse forma.

L’arresto in questi giorni del giovane di origine pachistana, capitano della nazionale italiana di cricket, che pianificava un attacco all’aeroporto di Orio al Serio, dovrebbe poi spingere a riconsiderare anche certi discorsi sull’integrazione, che sarebbe la ricetta per tutti i mali.

Si potrebbe continuare ancora, ma bastano questi semplici dati per dimostrare che - seppure non possiamo definire violenti o, peggio, terroristi tutti gli islamici – non possiamo però liquidare il problema con la teoria del “piccolo gruppo fondamentalista”. 

È chi cerca di nascondere la reale portata del problema, chi vuole infiocchettare il tutto con dello stupido irenismo, chi pratica di fatto l’indifferentismo religioso (vedi quanto accaduto domenica scorsa in tante chiese italiane) e riduce il cristianesimo a qualche opera, che spalanca la strada al fondamentalismo e fa il gioco dello Stato Islamico.